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Teoria del verso

Teoria generale del verso

1.1 - Il verso si distingue dal metro …

M. - Fra i letterati antichi si discusse con accesa polemica sulla natura del verso e il buon esito non è mancato.

Ne fu specificato il concetto che, trasmesso mediante la letteratura alla conoscenza dei posteri, è stato convalidato non solo dalla tradizione ma anche da una teoria scientificamente autorevole.

Gli antichi dunque hanno rilevato che tra metro e ritmo esiste questa differenza, che ogni metro è un ritmo, ma non ogni ritmo è un metro.

Infatti ogni regolare contesto di piedi è numeroso e poiché il metro lo ha, esso non può non essere numero, cioè non essere ritmo.

Ma non è la medesima cosa essere svolto con piedi, sia pure regolari, ma senza un limite determinato ed avere sviluppo, sempre con piedi regolari, ma esser conchiusi in un limite determinato.

Quindi le nozioni dovevano essere distinte anche col nome, in modo che il primo fosse chiamato con significato proprio soltanto ritmo e il secondo fosse tanto ritmo da essere chiamato anche metro.

D'altra parte, tra i ritmi che hanno un determinato limite, cioè i metri, ve ne sono alcuni, nei quali non si ha la regola di una divisione verso il mezzo ed altri, nei quali si ha costantemente.

Si doveva dunque segnalare con dei nomi anche questa differenza.

Perciò quella forma di ritmo, in cui non si ha questa regola, prende propriamente il nome di metro, hanno invece chiamato verso quel metro in cui si ha.

Il ragionamento stesso ci mostrerà forse l'etimologia di questa denominazione mentre avanziamo nell'esame.

Ma non pensare che la norma sia così tassativa da non permettere di chiamare versi anche altri metri.

Però un conto è l'abusare di una parola sul fondamento di una somiglianza e altro il significare un oggetto col proprio nome.

Ma basta con la terminologia.

In materia hanno valore determinante, come abbiamo appreso, l'accordo dei dialoganti e la tradizione dell'antichità.

Col nostro metodo esaminiamo dunque, se vuoi, queste altre strutture con l'udito che le fa percepire, con la teoria che ne fa avere conoscenza.

Riconoscerai così che gli antichi non hanno stabilito le nozioni in parola, come se esse non esistessero già interamente e compiutamente nelle cose, ma che le hanno soltanto scoperte col ragionamento e designate con un nome.

2.2 - … perché proporzionalmente divisibile in due cole

Dunque ti chiedo prima di tutto se un piede diletta l'udito per una ragione diversa da quella che in esso le due parti, poste una in levare ed una in battere, si implicano con ritmica proporzione.

D. - Ho avuto già in precedenza una conoscenza certa del tema.

M. - E si dovrebbe supporre che il metro, il quale evidentemente è formato da un insieme di piedi appartiene alla categoria delle cose indivisibili?

Intanto l'indivisibile non potrebbe estendersi nel tempo e del tutto irrazionalmente si penserebbe che è indivisibile ciò che è formato di piedi divisibili.

D. - Non posso non ammettere questa divisibilità.

M. - E tutte le cose divisibili non sono forse più belle se le loro parti, anziché essere discordi e dissonanti, si armonizzano in una determinata proporzione?

D. - Senza dubbio.

M. - E quale numero è operatore di una divisione proporzionale? Il due?

D. - Sì.

M. - Abbiamo accettato allora che il piede si divide in due parti proporzionali e proprio per questo diletta l'udito.

Se troviamo dunque un metro di tale fattura, non dovrà esser considerato giustamente più perfetto di quelli che non lo sono?

D. - Sono d'accordo.

3.3 - Differenza e non invertibilità dei due cola

M. - Bene. Ed ora rispondimi sul tema seguente.

In tutte le cose che si misurano secondo una porzione di tempo, ve n'è una che precede, una che segue, una che dà inizio ed una che pone fine.

Ora secondo te, esiste una differenza fra la porzione che precede all'inizio e quella che segue alla fine?

D. - Sì, credo.

M. - Dimmi dunque quale differenza esiste fra questi due emistichi, dei quali uno è: Cornua velatarum e l'altro: Vertimus antennarum.1

Noi non usiamo, come il poeta, la parola obvertimus.

Se dunque il verso si enuncia così: Cornua velatarum vertimus antennarum, ripetendolo più volte non diviene incerto forse quale sia il primo e quale il secondo emistichio?

Infatti il verso si regge ugualmente se si pronuncia così: Vertimus antennarum cornua velatarum.

D. - Secondo me, è proprio incerto.

M. - E pensi che si debba evitare?

D. - Sì.

M. - Osserva se in quest'altro verso è stato sufficientemente evitato.

Il primo comma: Arma virumque cano e il secondo: Troiae qui primus ab oris.

Essi differiscono fra loro a tal punto che se cambi la disposizione e li pronunci così: Troiae qui primus ab oris, arma virumque cano, bisogna scandire piedi diversi.

D. - Capisco.

M. - Esamina se tale proporzione è stata osservata nei seguenti.

Puoi avvertire infatti che la scansione del comma: Arma vi/rumque ca/no// è la medesima di:

Itali/am fa/to//, Littora/ multum il/le et//, Vi supe/rum sae/vae//, Multa quo/que et bel/lo//, Infer/ retque de/os//, Alba/nique pa/tres//.

Per non farla lunga, esaminane altri finché vorrai e troverai che questi commi iniziali hanno la medesima misura, cioè costituiscono un comma al quinto semipiede.

Assai raramente si dà l'eccezione, sicché non meno proporzionali sono fra di loro i commi che seguono ai precedenti: Tro/iae qui/ primus ab/ oris, Profu/gus

La/vinaque/ venit, Ter/ris iac/ tatus et/ alto, Memo/rem

Iu/nonis ob/iram, Pas/sus dum/ conderet/ urbem, Lati/o

genus/ unde La/tinum, At/que altae/ moenia/ Romae.2

D. - È chiarissimo.

3.4 - Etimologia del termine verso

M. - Dunque cinque e sette semipiedi dividono in due cola il verso epico che, come è ben noto, si compone di sei piedi di quattro tempi ciascuno.

E non si dà verso senza una proporzione, questa o altra, fra i due cola.

E in tutti i versi, come la nostra argomentazione ha verificato, si deve osservare questa norma che non si può mettere il primo emistichio a posto del secondo né il secondo a posto del primo.

Altrimenti, non si chiamerà verso, se non con abuso del nome.

Sarà un ritmo o un metro, come quelli che qualche rara volta si interpongono in lunghe composizioni poetiche e non sono privi di bellezza, ad esempio il metro che ho ricordato poco fa: Cornua velatarum vertimus antennarum.

Pertanto non sono d'opinione che sia chiamato verso, cioè volto, dal fatto che, come molti ritengono, da una fine determinata si torna a ripetere il medesimo ritmo.

Il nome deriverebbe così dall'atto di chi si volge per tornare indietro sulla via.

È evidente però che questa proprietà gli è comune con metri che non sono versi.

Piuttosto forse per opposizione ha avuto il nome, allo stesso modo che i grammatici hanno chiamato deponente il verbo che non depone la lettera finale r, come lucror e conqueror.

Così il metro che si compone di due commi, dei quali l'uno non può essere messo a posto dell'altro, nel rispetto della legge dei ritmi, è chiamato verso perché non può subire l'inversione.

Ma anche se tu accetti l'una o l'altra etimologia o le riprovi tutte e due e ne cerchi un'altra, o se disprezzi, come me, tutte le questioni di questa portata, per ora non ha alcuna importanza.

Giacché è evidente il concetto stesso che è significato dal nome, non ci si deve affannare a cercarne l'etimologia, a meno che non hai da dire qualche cosa in proposito.

D. - Io no, ma passa al resto.

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1 Virgilio, Aen. 3, 549
2 Virgilio, Aen. 1, 1-7