Contro i Priscillianisti e gli Origenisti

Indice

Ad Orosio contro i Priscillianisti e gli Origenisti

1.1 - L'anima non è la sostanza di Dio

Carissimo figlio Orosio, non debbo rispondere a tutte le domande che mi hai poste nel tuo pro-memoria, né debbo astenermi del tutto dal rispondere, per non darti l'impressione che io non dia peso al tuo zelo, che invece mi è graditissimo, né che voglia dispiacerti con un gesto incontrollato.

Ebbene, in diversi miei opuscoli, che tu hai letto o puoi leggere, sono state dette molte cose utili per controbattere l'eresia dei Priscillianisti, sebbene non fosse mio proposito confutarli direttamente.

Ascoltando infatti da te quale sia il loro pensiero, sebbene trattassi altri problemi, mi accorgo ora che affrontavo anche questo.

Infatti nella polemica contro i Manichei ho toccato in molti luoghi il tema dell'anima, che, sebbene sia in un certo suo modo immortale, tuttavia regredendo verso il peggio e progredendo verso il meglio dimostra di essere soggetta a mutamenti.

Con ciò stesso si mostra in maniera inequivocabile che essa non è della sostanza di Dio; e così è rovesciata anche la dottrina di Priscilliano.

Posto infatti questo fondamento, unico ma solidissimo, che è verissimo e che da ciascuno può essere con estrema facilità riscontrato in se stesso, verrà a mancare agli uni e agli altri ogni argomento per imbastire le loro favole.

Che bisogno c'è infatti di mettersi a potare i rami di questo errore diffuso da parolai linguacciuti, quando ci si può limitare a estrarre ed estirpare la sua radice?

Tanto più che, come tu stesso ti compiaci, questi vaneggiamenti favolosi o peggio, presso di voi sono già stati confutati a dovere.

2.2 - Poiché l'anima è stata creata da Dio dal nulla, la volontà di Dio non è il nulla

Dici però che è ancora dibattuta la questione concernente l'anima.

Siccome è già assodato che non può essere una particella di Dio o una sua emanazione, ci si chiede se sia lecito affermare che Dio l'abbia creata dal nulla, per il fatto che appare inaccettabile, anzi empio, dire che sia da considerarsi un nulla la volontà di Dio, mediante la quale l'anima è stata creata.

Questo tuttavia non rientra nella confutazione dell'insipienza sacrilega di Priscilliano.

Tanto dunque se si ammette che l'anima sia stata creata dal nulla quanto se non lo si afferma per il fatto che essa è stata creata dalla volontà di Dio, la quale non può essere certamente il nulla, comunque, e perché è stata creata e perché non è della stessa natura di Dio, in tutti i casi risulta ovviamente confutata quell'eresia che sostiene che l'anima in principio era natura di Dio, [ e lo fa ] per avere degli agganci per tutte le altre falsità che aggiunge.

È però, questa, una questione che non si deve sottovalutare né lasciare fuori dei dibattiti.

Occorre presentarla a questi tali che non vogliono credere che l'anima sia stata creata dal nulla per non dover asserire che sia il nulla la volontà di Dio mediante la quale l'anima fu creata, e a loro chiedere se ritengano che non ci siano creature che sono state create dal nulla.

Se sono di questo avviso, c'è pericolo che essi tentino di tirare in ballo una non so quale natura che non sia né Dio né il nulla: una specie di materia che se Dio non l'avesse avuta a disposizione, non avrebbe potuto trovare modo di creare ciò che ha creato.

Quando infatti ci si chiede con che cosa Dio abbia fatto le sue creature, si cerca una specie di materia ( com'è per il falegname il legno o altro corpo ) senza la quale egli non avrebbe potuto fare in alcun modo le opere del suo mestiere.

Quando dunque si risponde: " Dal nulla ", cos'altro si dice se non che non ebbe a sua disposizione nessuna materia che non fosse stata da lui e così [ con essa ] avere una base per fare tutto ciò che avrebbe voluto fare, mentre senza di essa non sarebbe stato in grado di farlo?

In effetti, la materia del mondo, che riscontriamo comunque nelle cose che mutano, è stata originata da colui da cui ha origine il mondo.

Per cui anche quando Dio fece o fa qualcosa servendosi di qualcosa, non lo fece né fa da cose non create da lui.

Orbene, lasciamo da parte per un momento la [ questione sulla ] natura dell'anima …; e [ ragioniamo: ] se essi ammettono che Dio ha creato qualcosa dal nulla, vogliano riflettere e si accorgeranno che, di qualunque cosa si tratti, essa è stata da lui fatta per sua volontà, poiché non ha potuto fare qualcosa senza volerla.

Tuttavia dal fatto che egli ha creato una cosa dal nulla in forza della sua volontà, non deriva che la volontà in sé sia il nulla.

Perché dunque temere di affermare nei riguardi dell'anima ciò che non esitano ad affermare di tutte le altre cose?

Se poi dichiarano che solo l'anima è stata fatta dalla volontà di Dio, mentre le altre cose egli non le avrebbe fatte con la sua volontà, cosa si potrebbe dire di più assurdo e pazzesco?

Se viceversa tutto ciò che ha fatto l'ha fatto con la volontà, e dicendo questo non vogliamo dire che la volontà stessa sia il nulla, lo si intenda detto anche dell'anima.

3.3 - Prosecuzione dello stesso tema

Quando si dice: Dio ha creato tutto dal nulla, ( 2 Mac 7,28 ) non si dice se non questo: Nulla esisteva da cui creare e tuttavia, poiché lo volle, lo creò.

Dunque non si può dire che la volontà sia il nulla, anzi è proprio lei che viene inculcata quando si dice che Dio ha creato dal nulla.

Infatti a Dio si dice: puoi tutto col solo volerlo: ( Sap 12,18 ) sia che esista da dove trarlo sia che non esista; basta la volontà dove è sommo il potere.

Come si può dunque sostenere che in ciò che è creato dal nulla non sia altro che il nulla la stessa volontà del Creatore, quando proprio per questo una cosa può esser creata dal nulla perché basta la volontà del Creatore per crearla anche senza materia?

Supponiamo ora che essi vogliano sostenere che non solo l'anima, ma nessuna creatura in assoluto è stata fatta dal nulla, proprio perché ciò che Dio ha fatto, lo ha fatto con la sua volontà, la quale non è il nulla.

Riflettano però da dove, quanto al corpo, è stato fatto l'uomo.

Infatti con certezza, come attestato dalla Scrittura, Dio lo ha tratto dal fango o dalla polvere della terra e, senza dubbio, lo ha fatto con la volontà; ( Gen 2,7 ) ma la volontà di Dio non è né la polvere né il fango.

Come dunque non è il fango la volontà che ha creato l'uomo dal fango, sebbene costui sia opera della volontà, così non è il nulla la volontà che ha creato tutte le cose dal nulla, sebbene esse siano opera della volontà.

4.4 - I libri di Origene, utili per confutare il sabellianismo di Priscilliano

Ora una parola sulla nota dolorosa che hai aggiunto, e cioè che presso di voi ci sono stati certuni che dall'eresia di Priscilliano sono passati all'errore di Origene e che da quel male non li si è potuti guarire senza che la stessa medicina vi avesse arrecato qualcosa tocco dal contagio.

Il dolore che provate non è, effettivamente, da ritenersi colpa [ grave ], poiché, se la falsità dev'essere allontanata dalla verità e non dalla falsità ( questo infatti sarebbe scambiare un male con un altro, non evitare ogni male ), è vero tuttavia che dai quei libri la vostra provincia ha ricavato molto bene.

In effetti, come tu stesso riferisci, da coloro che ti hanno recato i libri di Origene sono tramandate cose conformi a verità: ad esempio, su Dio autore di tutto il creato, sulla Trinità eterna e immutabile.

In contrasto con tale verità, Priscilliano riaffermò l'antica dottrina di Sabellio che sosteneva che lo stesso Padre era anche Figlio e Spirito Santo; anzi egli aggravò l'errore dicendo, nei riguardi dell'anima, che essa non ha una natura sua propria ma deriva da Dio stesso, come una sua particella, però poi si è macchiata e deformata, cambiandosi in peggio.

Osando affermare cose come queste egli sta con i Manichei.

Gli errori [ di Priscilliano ] dunque vertono su argomenti molto seri, capitali; si accettano dottrine false e medicinali, che non toccano solo la creatura ma lo stesso Creatore.

Orbene, tanto se sono tornati alla [ vera ] fede coloro che se ne erano allontanati, tanto se attraverso la lettura delle dispute in parola hanno appreso [ la vera fede ] coloro che non la conoscevano, godano tutti per aver appreso dottrine salutari.

Riguardo poi a quanto di errato è anche in codesti libri, sebbene già veda che tu lo conosci, tuttavia il modo d'argomentare contro tali insegnamenti lo potrai apprendere meglio sul posto dove tempo addietro l'errore nacque e non fu contemporaneamente smascherato.

5.5 - Rifiuto dell'apocatastasi dei demoni

Per quanto mi è possibile ti raccomando anch'io di non pretendere di sapere assolutamente nulla sulla conversione del diavolo e dei suoi angeli e sul loro ritorno allo stadio originario.

Non perché nutriamo odio contro il diavolo e i demoni, e così facendo quasi li ripaghiamo della loro malvagità, dato che essi non per altro motivo se non perché sospinti dallo stimolo dell'invidia, vogliono turbare i nostri passi mediante i quali tendiamo a Dio, ma perché non dobbiamo aggiungere nulla, che provenga dalla nostra presunzione, alla sentenza definitiva del sommo e veracissimo Giudice.

Egli ha preannunciato che dirà a quelli simili ai demoni: andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e i suoi angeli. ( Mt 25,41 )

Né ci deve impressionare al segno che intendiamo il termine " eterno " nel senso di " diurno ", a ciò che sta scritto altrove: In eterno e per i secoli dei secoli. ( Sal 9,6; Sal 10,16 )

Il traduttore latino infatti non voleva dire: In eterno e per l'eterno dell'eterno.

E dato che quanto in greco si dice αίών può essere inteso sia nel senso di secolo, sia nel senso di eterno, altri interpreti per comodità tradussero: nel secolo e per il secolo dei secoli.

Però non è questo che si afferma nel luogo in cui si dice: andate nel fuoco eterno.

Non si legge αίώνα, ma αίώνιον. Il che, se lo si volesse derivato da secolo, in latino si dovrebbe dire " secolare ", non " eterno ", la qualcosa però non ha mai osato dirla nessun traduttore.

In latino si usa chiamare secolo ciò che ha una fine, mentre eterno ciò che non ne ha alcuna, invece il termine greco αίών significa a volte eterno e a volte secolo.

Però la parola αίώνιον, che deriva da quel termine, a quanto mi sembra, gli stessi greci non la usano se non per indicare ciò che non ha fine.

Noi non siamo soliti tradurre αίώνα e αίώνιον in nessun altro modo se non con eterno; ma mentre αίώνα significa anche secolo, αίώνιον non significa altro se non eterno, anche se vi sono alcuni che talvolta si azzardano a tradurlo anche con " eternale ", affinché non si pensi che in latino manchi un derivato da questo termine.

5.6 - Ancora su l'eternità

Forse gli origenisti trovano alcuni testi nei quali αίώνιον esprime, secondo l'uso della Scrittura, qualche cosa che non è senza fine.

Così Dio nei libri dell'Antico Testamento dice frequentemente: Questa sarà per voi una legge eterna. ( Es 28,43; Lv 16,29.34 )

Quanto al fatto che in greco si usi il termine αίώνιον quando a proposito di tali sacramenti si comandano spesso cose destinate ad aver fine, se prestiamo maggior attenzione a queste espressioni, si vede come probabilmente ciò che è significato in quei sacramenti non avrà fine.

Così poi, per non divagare ulteriormente, chiamiamo Dio eterno non perché lo siano queste due sillabe brevissime, ma perché lo è ciò che esse significano.

L'Apostolo chiama tempi eterni quelli precedenti e antichi ( 2 Tm 1,9 ) che in greco si scrive: Πρό χρόνων αίώνιον.

E nella lettera a Tito scrive: Dio, che non è menzognero, promise prima dei tempi eterni la speranza della vita eterna. ( Tt 1,2 )

Siccome però, guardando a ritroso, sembra che i tempi abbiano avuto inizio dalla costituzione del mondo, come possono essere eterni se non perché ha chiamato eterno ciò che avanti a sé non ha alcun tempo?

6.7 - Le pene dell'inferno sono eterne

Ma colui che procedendo saggiamente ammette che le parole: andate nel fuoco eterno, sono state dette di ciò che non ha fine, mediante lo stesso brano evangelico, preso dall'estremo opposto, è in grado di dimostrare come sia eterna la vita che riceveranno i giusti: la quale sarà anch'essa senza fine.

Infatti concluse: Quelli andranno nel fuoco eterno, i giusti invece alla vita eterna. ( Mt 25,41-46 )

In ambedue i casi si ha il termine greco αίώνιον.

Se, mossi da compassione, crederemo che il supplizio degli empi avrà fine, cosa dovremo credere riguardo al premio dei giusti, dato che in entrambi i casi, nello stesso punto, nella stessa affermazione e con la stessa parola si fa riferimento all'eternità?

Affermeremo anche che i giusti dal loro stato di santità e di possesso della vita eterna possano cadere di nuovo nell'impurità del peccato e nella morte? ( 1 Ts 4,7 )

Che ciò non contamini l'ortodossia della fede cristiana!

Dunque in entrambi i casi ciò che è senza fine viene detto eterno, cioè αίώνιον, affinché per compassione delle pene del demonio non succeda che si finisca col dubitare del regno di Cristo.

Infine, se eterno ed eternale, ovvero αίών e αίώνιον, vengono impiegati indifferentemente nella Scrittura una volta per significare ciò che non ha fine e una volta ciò che ha fine, che risponderemo a quelle parole del profeta, dove è scritto: I suoi vermi non moriranno e il suo fuoco non si estinguerà? ( Is 66,24 )

Qualunque sia la pena intesa con i termini verme e fuoco, certamente, se non muore né si estingue, è stata preannunciata una pena senza fine; né il profeta intendeva dir altro parlando così se non predire che quella pena sarebbe stata senza fine.

7.8 - Eternità del regno di Cristo

Si dice la stessa cosa anche del regno di Cristo, non secondo ciò che il Verbo era in principio Dio presso Dio, ( Gv 1,1 ) perché nessuno ha mai dubitato che sotto questo aspetto egli sia il re di tutti i secoli: ( Ap 15,3 ) ma è quanto al suo farsi uomo e al sacramento di mediatore ( 1 Tm 2,5 ) e all'incarnazione dalla Vergine che sta scritto in modo sommamente chiaro che il suo regno non avrà fine.

È là dove l'angelo, rivolgendosi a Maria, futura madre e sempre vergine, tra le altre cose dice: Sarà grande e chiamato figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine. ( Lc 1,32-33 )

In che senso il suo regno non avrà fine se non in quanto regnerà sulla casa di Giacobbe?

E certamente, avendo detto eternamente, a causa dell'ambiguità di questa parola, aggiunse che il suo regno non avrà fine, affinché nessuno pensasse che qui eterno significa la stessa cosa che secolo, il quale ad un certo punto ha fine.

Forse che si può intendere il suo regnare sulla casa di Giacobbe e sul trono di Davide in altro modo se non come imperio sulla Chiesa e sul quel popolo che è il suo regno?

A questo proposito anche l'Apostolo dice: quando consegnerà il regno a Dio e Padre ( 1 Cor 15,24 ) e cioè: quando condurrà i suoi santi alla contemplazione del Padre li condurrà anche alla contemplazione di se stesso, dato che è Dio uguale al Padre.

Non consegna però il regno in modo tale da perderlo, come anche il Padre ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso, ( Gv 5,26 ) né, certo, la perse egli stesso.

Per questo, se il suo regno non avrà fine, in verità i suoi santi, che sono il suo regno, regneranno con lui fino alla fine. ( Ap 22,5 )

Quanto al testo dell'Apostolo che recita: quindi la fine, quando consegnerà il regno a Dio Padre, si deve intendere questa fine in senso di perfezionamento e non di consunzione.

Così sta scritto: il termine della legge è Cristo perché sia data la giustizia a chiunque crede: ( Rm 10,4 ) un termine cioè dove risiede il perfezionamento della legge e non la sua abolizione.

La qual cosa è espressa anche dove si dice: non venni ad abolire la legge, ma ad adempierla. ( Mt 5,17 )

8.9 - Il mondo non è stato creato per espiare i peccati commessi prima della nostra vita

Non capisco con quale impudenza pretendano di suggerire alla Chiesa di Cristo quello che essi dicono riguardo alle creature razionali, cioè i santi angeli, i demoni immondi e gli stessi animi umani, che una colpa minore ha meritato un luogo maggiore.

Noi crediamo piuttosto che Dio non è stato mosso a creare il mondo dai peccati degli spiriti razionali, per non cadere nell'assurdo di dover porre due soli, tre, quattro, o quanti ne sarebbero a noi necessari: se la colpa commessa prima della creazione in virtù del libero arbitrio fosse di una molteplicità di spiriti, sarebbe necessario racchiuderli in altrettanti corpi della volta celeste.

Dalla bontà di Dio è stato creato il mondo grande e buono dal Bene sommo e increato, nel quale presero ad esistere tutte le cose assai buone secondo natura, alcune migliori delle altre, ordinate in diversi gradi, dalle creature superiori alle infime, affinché in questo modo non esistessero soltanto quelle di maggior dignità, ma tutte.

E la loro moltitudine trovò un limite stabilito da Dio, il Creatore di tutta la natura creata: egli la vide in se stesso e non la conobbe quando era già fatta, ma quando doveva ancora esser creata.

Quindi quelli che dicono che nella sua sapienza già fosse tutto creato prima ancora che tutte le cose si manifestassero nelle loro forme e nei loro modi propri e che apparissero nei loro rispettivi ordini, costoro non parlano in modo assennato.

Quando sarebbero state create infatti prima di essere create?

Nella sapienza di Dio poterono esservi le ragioni di tutte le cose che dovevano esser create, ma non erano ragioni create.

Tutte furono create mediante la sua sapienza, ma essa non fu creata, perché essa è il Verbo del quale si dice: tutto è stato fatto per mezzo di lui. ( Gv 1,3 )

Quindi Dio conosceva tutto ciò che fece prima di farlo.

Non possiamo sostenere che creò ciò che ignorava e che non l'avrebbe conosciuto se non l'avesse creato; che ignorava ciò che doveva fare e lo conobbe dopo averlo fatto.

Se dicessimo ciò di un qualsiasi artefice umano, diremmo una cosa stoltissima.

Dio conosceva dunque le cose da fare, prima che fossero fatte; le conosceva per farle e non perché le aveva fatte.

Pertanto quantunque gli fossero già note le cose da fare, perché se non le avesse conosciute non sarebbero state fatte, tuttavia le cose non cominciarono ad esser fatte perché erano conosciute per essere fatte solamente dopo essere state fatte, poiché per esser fatte in modo retto dovevano esser conosciute prima d'essere fatte.

8.10 - Perché sono stati promessi un cielo ed una terra nuovi

Or ecco che la Verità, riguardo alla quale non è lecito dire che ci sia sconosciuta né che possa ingannare qualcuno, ci promette la purificazione, ( Eb 1,3 ) anzi, sia pur dopo la resurrezione dei corpi spiritualizzati, la nostra futura perfezione che ci renderà uguali agli angeli.

Come si fa dunque a dire che gli stessi santi angeli, a cui ci assomiglieremo quando saremo stati sommamente purificati, ( Lc 20,33-36; Fil 3,11 ) dovranno ancora purificarsi dai loro peccati?

E se Dio promette un cielo nuovo e una terra nuova ( 2 Pt 3,13; Is 65,17; Is 66,22; Ap 21,1 ) quale dimora dei santi e di coloro che sono diventati puri da ogni macchia del mondo attuale, con quale coraggio si può in ultima analisi affermare che [ questo ] mondo, cioè il cielo e la terra [ nuovi ], non ci sarà se non perché ne hanno necessità, al fine di diventare puri, gli spiriti razionali, che non saranno in cielo o in terra se non in conformità con quanto hanno meritato peccando?

Perché mai coloro che sono stati purificati hanno bisogno di un cielo nuovo e di una terra nuova se, una volta purificati, tornano ad essere com'erano stati prima che ci fossero il cielo e la terra, cioè senza cielo né terra?

Se ciò fosse completamente vero, noi dovremmo estendere la nostra speranza fino a questo punto, che ci è promesso dalla Scrittura.

E se da lì dovremo essere trasferiti in uno stato migliore, sarà molto più logico che lo apprendiamo quando ci troveremo là che non crederlo ora a cuor leggero e così pure tentare di insegnarlo con sfacciataggine.

Cosa c'è infatti di più assurdo che dire: " Non ci sarebbero il cielo e la terra, se una tale configurazione del mondo non fosse necessaria a gente che deve purificarsi ", quando la Scrittura promette un altro cielo e un'altra terra a coloro che sono già diventati puri? ( 2 Pt 3,13; Is 65,17; Is 66,22; Ap 21,1 )

8.11 - Nell'uomo sono compendiate tutte le creature

D'altra parte constatiamo che il sole, la luna e gli altri astri sono dei corpi celesti, ma non sappiamo se sono animati.

Venga affermato dai Libri divini, e noi lo crederemo.

Quanto poi alla testimonianza della lettera dell'Apostolo ( Rm 8,20 ) che, come hai riferito, loro usano citare, può riferirsi anche solo agli uomini, giacché in ciascun uomo ci sono tutti gli esseri del creato, non nella loro autentica entità come lo sono il cielo e la terra e tutto quello che esiste in essi, ma in un qualche modo generico.

Nell'uomo infatti vi è anche la creatura razionale che si pensa o si crede l'abbiano gli angeli.

Inoltre [ nell'uomo vi è la creatura ], per così dire, sensitiva, che non manca alle bestie ( usano infatti i sensi ed hanno moti sensitivi per appetire le cose utili e per evitare quelle contrarie ), e anche quella vegetativa, cioè priva di sensi, come si può vedere negli alberi.

Infatti anche in noi il corpo cresce senza che lo avvertiamo, e i capelli non sentono nulla quando li tagliamo e poi ricrescono.

Veramente, l'intera creazione di ordine corporeo appare in noi in modo assai evidente e, quantunque sia fatta e formata di terra, si trovano in essa alcune parti di tutti gli elementi di questo mondo corporeo per l'equilibrio del benessere.

Infatti le membra si rinvigoriscono per il calore, il quale deriva dal fuoco, come dal fuoco procede anche la luce che si sprigiona dagli occhi.

Si riempiono di aria i percorsi delle vene che si chiamano arterie, e le cavità dei polmoni.

Se non vi fosse nulla di liquido non affluirebbero gli sputi e la mancanza di umori ci toglierebbe la vita.

Perfino il sangue, che riempie le altre vene, col suo scorrere umido si diffonde quasi in ruscelli e fiumi per tutte le parti del corpo.

Così non vi è alcun genere di creatura che non possa incontrarsi nell'uomo e per questo tutta la creazione geme e si affligge in lui, aspettando la rivelazione dei figli di Dio. ( Rm 8,22-23 )

Mediante la resurrezione del corpo, anche se non in tutti gli uomini, tutta la creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione, ( Rm 8,21 ) poiché essa è tutta in ciascuno.

E se anche un'altra interpretazione potrà rendere meglio questo passo della lettera apostolica, tuttavia dalle medesime parole non possiamo concludere che il sole, la luna e gli astri gemano fino a che, alla fine dei secoli, saranno liberati dalla schiavitù della corruzione.

9.12 - L'esegesi di un testo di Giobbe è convalidato da altri passi della Scrittura

Dissi giustamente che crediamo a ciò che viene affermato nei Libri divini.

Ma che non ti ingannino coloro che sostengono cose di questo genere, anche se usano citare il passo del libro del santo Giobbe, in cui sta scritto: come può giustificarsi un uomo davanti a Dio e apparire puro un nato da donna?

Ecco, se egli comanda alla luna e questa manca di chiarore, e se le stelle non sono pure ai suoi occhi: quanto meno l'uomo che è putredine, e il figlio dell'uomo che è un verme! ( Gb 25,4-6 )

Da qui, poi, pretendono di dedurre che le stelle hanno uno spirito razionale e non sono prive di peccato, ma proprio per questo stanno nei cieli perché spetta loro un luogo migliore o più alto a causa della loro minore colpa.

Credo che questa opinione non debba essere accettata come se fosse di autorità divina.

Infatti non la pronunciò lo stesso Giobbe ( del quale un'affermazione, in certo modo singolare, del testo ispirato recita che non peccò con le sue labbra davanti al Signore ( Gb 1,22 ) ), ma uno dei suoi amici, che sono detti tutti quanti consolatori di mali ( Gb 16,2 ) e sono condannati dal giudizio di Dio.

Come nel Vangelo, sebbene sia assolutamente vero che tutte le cose sono state dette, tuttavia non crediamo che tutto ciò che è stato detto sia vero.

In effetti, la scrittura verace del Vangelo riporta molti detti dei Giudei che sono falsi ed empi; allo stesso modo in questo libro, nel quale ci si dice che hanno parlato molte persone, si deve tener conto non solo di ciò che è stato detto, ma anche di chi lo ha detto.

"Non ammettiamo indistintamente come vero tutto quello che sta scritto in questo santo libro: lungi da noi, che sia vero e giusto quanto la moglie insensata suggeriva al suo santo marito, cioè di maledire Dio, e così morendo sarebbe liberato da quel tormento insopportabile. ( Gb 2,9 )

Non per questo sostengo che quegli amici di Giobbe, riprovati da Dio e incolpati a ragione dallo stesso santo servo di Dio, non poterono dire nulla di vero: ( Gb 42,7 ) sostengo, piuttosto, che non tutte le cose che hanno detto sono da ritenersi vere.

Sebbene infatti ciò che essi affermarono contro Giobbe non contenesse nulla di vero, tuttavia colui che saprà interpretare con sapienza i detti [ della Scrittura ] saprà prendere anche dalle loro parole alcune affermazioni corrette a favore della verità.

Ma, se nell'investigare vogliamo dimostrare qualcosa mediante la testimonianza degli scritti sacri, non ci si dica che si deve prestar fede a ciò che sta scritto, sia pur nel Vangelo, se per caso l'evangelista stesso precisa che a dirlo è stato uno a cui non dobbiamo dar credito.

Per esempio nel Vangelo si legge che i Giudei affermarono di Cristo Signore: Non diciamo a ragione che sei un samaritano e hai un demonio? ( Gv 8,48 )

Quanto più amiamo Cristo, tanto più detestiamo quest'insulto.

Comunque non possiamo dubitare che fu pronunciato dai Giudei, perché crediamo che la narrazione evangelica è verissima: noi insomma detestiamo i detti blasfemi dei Giudei ma non neghiamo la fedeltà dell'evangelista che scrisse il testo.

Non prestiamo fede, quasi ad un'autorità canonica, alle parole che vengono citate non solo degli empi e degli impuri, ma neanche di coloro che riguardo alla fede sono piccoli e ancora principianti e ignoranti.

Così non dobbiamo prendere come autorità evangelica la frase che il cieco nato, al quale il Signore aprì gli occhi, disse: sappiamo che Dio non ascolta i peccatori. ( Gv 9,31 )

Così facendo non ci opponiamo alla parola stessa del Signore, che troviamo nel Vangelo, là dove con voce divina confermò colui che lo aveva invocato con le parole: Signore, abbi pietà di me, che sono un peccatore, e concluse che questi uscì dal tempio più puro del fariseo, che ricordava i suoi meriti e se ne vantava. ( Lc 18,10-14 )

Non si irriti costui, recentemente illuminato nella carne, se diciamo che stava nel noviziato della sua fede, quando ignorava chi fosse colui che lo aveva reso sano e pronunciò quella frase poco sensata: Dio non ascolta i peccatori.

In effetti, risulta che gli stessi Apostoli, eletti tra tutti, in contatto diretto con il Signore, e pendendo dalle sue labbra, dissero molte cose riprovevoli che sarebbe lungo ricordare.

Perfino il beato Pietro, a causa di certe sue parole, non meritò solo di esser ripreso, ma addirittura di esser chiamato satana. ( Mt 16,23 )

10.13 - La giustizia degli angeli, paragonata a quella di Dio, non è giustizia

Non mi sembra una tesi inesatta sostenere che in confronto con la giustizia di Dio, non possono esser detti giusti nemmeno i santi angeli nei cieli.

Non perché abbiano perso la giustizia per diventare come sono, ma per il fatto di esser creati e di non essere Dio, per questo non possono avere tanta luce spirituale quanta ne ha colui che li ha fatti.

Dove vi è somma giustizia vi è anche somma sapienza, e questo è Dio, del quale si dice: A Dio solo sapiente. ( Rm 16,27 )

Ma un'altra questione è sapere quanto della giustizia di Dio siano capaci gli angeli e di quanto non ne siano capaci.

Coloro che sono giusti perché partecipano di lui, in confronto con lui non sono giusti.

11.14 - Agostino ignora in che cosa si differenzino le sfere celesti

Ma, come ho detto, questa è un'altra questione, un'altra è sapere se gli astri, il sole e la luna abbiano uno spirito razionale nei loro corpi visibili e luminosi.

Chi dubita che siano dei corpi, ignora del tutto cosa sia un corpo.

Né queste cose ci interessano a tal punto da volerle indagare con uno studio approfondito: infatti non solo sono lontane dai nostri sensi e dalla debole intelligenza umana, ma nemmeno la Scrittura ne parla così da comandarcene la conoscenza.

Piuttosto, perché a causa di un'opinione frettolosa non cadiamo in fole sacrileghe, la sacra Scrittura ci avverte: Non cercare quello che è sopra di te, e non volere indagare quelle cose che sorpassano le tue forze, ma quello che ti ha comandato il Signore meditalo sempre, ( Sir 3,22 ) affinché ci si accorga che in tali questioni è colpa più grave la presunzione temeraria che la prudente ignoranza.

Certamente l'Apostolo dice: Sia i Troni, sia le dominazioni, sia i Principati, sia le Potestà. ( Col 1,16 )

E io credo fermissimamente che nelle gerarchie celesti esistano i troni, le dominazioni, i principati, le potestà e ritengo con fede incrollabile che sono in qualche modo differenti tra loro.

Però, siccome tu mi consideri un gran dottore, io, per ridimensionarmi, ti dirò che non so cosa siano né in che cosa si differenzino tra loro.

Né credo di essere in un qualche pericolo per questa ignoranza, come lo sarei per la disobbedienza se trascurassi i precetti del Signore.

E per questo credo che è stata opera dello Spirito Santo se dai nostri autori che composero i testi sacri non ci è stata spiegata diffusamente ogni cosa ma soltanto toccata di striscio e succintamente: con la conseguenza che, se a qualcuno d'una maturità come la nostra fossero state mostrate con evidenza ( attraverso una rivelazione superiore ) cose di questo genere, costui non possa ritenere inferiori a sé quei personaggi per il cui ministero ci sono giunte le sante parole delle Scritture canoniche.

Quanto più uno si sarà perfezionato nel suo sapere, tanto più si riscontrerà inferiore a quegli scritti che Dio ha posto, come un firmamento, al di sopra di tutti i cuori umani.

Pertanto non è necessario sapere di più, ma sapere sobriamente, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato. ( Rm 12,3 )

Forse i più dotti ti insegneranno queste cose se manifesterai loro tanta capacità di apprendere, quanto è grande il desiderio di sapere che hai.

Ad ogni modo, non devi azzardare tesi sull'ignoto muovendo dal noto, affinché tu presti fede a ciò che non va creduto, o non creda a ciò a cui si deve credere.

Ti ammaestrerà quell'unico vero Maestro, ( Mt 23,10 ) o per mezzo di questi tali o nei modi che vorrà: quel maestro che vede come ti dài da fare per la sua chiesa nel tuo intimo lui stesso ti ha posto questo desiderio.

Egli stesso ti dischiuderà più generosamente la verità, egli che vede bussare la carità che lui stesso si è degnato donare.

Indice