Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sul Levitico

1. ( Lv 5,1 ) Timore di peccare e timore di denunciare lo spergiuro

Se una persona avrà commesso un peccato, e avrà sentito la parola di scongiuro e sarà stato testimone per aver visto o saputo, se non ne darà l'informazione e incorrerà nella colpa, cioè: se non ne darà l'informazione, incorrerà nella colpa.

Poiché l'aggiunta di e è un modo abituale di esprimersi nelle Scritture.

Siccome però il senso [ dell'espressione ] è oscuro, ci è parso doveroso spiegarlo.

L'espressione pare voglia dire che una persona commette un peccato se, all'udire qualcuno giurare il falso, sapendo che giura il falso, tace.

Egli poi lo sa se sarà stato testimone del fatto per cui si presta giuramento o lo vide o venne a conoscerlo; cioè se lo conobbe in qualche modo, o ne fu testimone oculare o glielo manifestò la stessa persona che presta giuramento: così infatti poté esserne consapevole.

Ma tra il timore di commettere un tale peccato e il timore di denunciare le persone c'è generalmente una tentazione non piccola.

Poiché possiamo distogliere dal commettere un peccato così grave ammonendo chi è pronto a spergiurare o proibendoglielo ma, qualora non ci ascoltasse e giurasse, in nostra presenza, riguardo a qualcosa che noi sappiamo essere falsa, è un problema assai difficile se debba essere denunciato poiché, se denunciato, potrebbe andare incontro anche alla morte.

Ma siccome in questo passo non è specificato a chi dev'essere deferito il fatto, se a colui per il quale si giura o al sacerdote o a chiunque altro che non solo non può perseguirlo infliggendogli il castigo, ma anzi può intercedere per lui, mi sembra che quest'uomo si possa ritenere libero anche dal vincolo del peccato se lo denuncerà a persone tali che, più che danneggiare, possono aiutare lo spergiuro correggendolo o riconciliandolo con Dio, se anch'egli prendesse la medicina della confessione.

2. ( Lv 5,2-6 ) Vietato offrire sacrifici per lo spergiuro

Dopo questo genere di peccato, quello cioè di non denunciare lo spergiuro di qualche persona, ricordato dall'agiografo, il Signore comandò di non offrire per tale peccato alcun sacrificio, ma subito dopo soggiunse: Chiunque a sua insaputa toccherà qualsiasi cosa impura, o il cadavere di un animale catturato da una belva sia di bestie morte sia di quelli che sono cadaveri delle abominazioni impure, sia le bestie domestiche impure, o toccherà qualcosa delle impurità umane, di qualsiasi impurità dell'uomo, se la toccherà si contaminerà, ma se in seguito ne sarà consapevole commette un peccato.

Neppure qui si ricorda il sacrificio da offrire per questo genere di peccato, ma l'agiografo continua dicendo: Chiunque farà un giuramento, proferendolo con le proprie labbra, di fare del male o del bene relativamente a tutto ciò che l'uomo può pronunciare con giuramento, se non se ne sarà reso conto e poi verrà a conoscerlo, e commetterà uno di questi peccati e confesserà il peccato con cui peccò contro se stesso.

Dopo aver finito di esporre tutte queste cose tra loro concatenate senza interporre [ alcun accenno ] del sacrificio, il testo soggiunge dicendo: e offrirà al Signore per le sue colpe, per il peccato che commise, una femmina del bestiame minuto, un'agnella o una capretta per il peccato e il sacerdote compirà per lui il rito di espiazione e gli verrà rimesso il peccato.

Che cosa vuol dire dunque che per uno spergiuro non rivelato da una persona e per il fatto che si tocca un cadavere non si menziona alcun sacrificio, mentre per il peccato di pronunciare involontariamente un falso giuramento il Signore ordinò di offrire un'agnella o una capra?

Si deve forse pensare che questo sacrificio [ ha da offrirsi ] per tutti i peccati menzionati prima?

L'agiografo infatti preferì enumerare prima tutti i peccati e dire poi con quale sacrificio potessero espiarsi.

Ma in tutti i generi di peccati elencati prima ci sono alcune frasi enunciate in modo non molto chiaro a causa degli idiomatismi [ della Scrittura ], come l'espressione: il cadavere dei giumenti.

Orbene, i greci chiamano κτήνη gli animali che la maggior parte dei nostri scrittori hanno tradotto con iumenta [ giumenti ]; ma questa parola, nell'uso comune della lingua latina, denota gli animali che con la loro fatica ci aiutano soprattutto a trasportare carichi pesanti, come i cavalli, gli asini, i muli, i cammelli e altri animali dello stesso genere; al contrario il termine greco κτήνη, che denota gli animali, ha un significato tanto esteso che abbraccia tutte o quasi tutte le specie di bestiame.

E perciò in greco, nel menzionare i giumenti, si aggiunse con un nuovo genere d'idiomatismi, a guisa di πλεονασμώ, l'aggettivo impuri, poiché ci sono anche animali puri, denotati come κτήνη; quelli invece che la lingua latina denota comunemente come giumenti sono i soli che, secondo la disposizione della Legge, sono impuri.

3. ( Lv 5,4-6 ) Spesso la Scrittura usa il verbo distinguere

Parimenti, riguardo all'espressione: Chiunque, distinguendolo con le labbra, avrà fatto un giuramento di fare del male o di fare del bene, si pone il quesito: che significa: distinguendo? Poiché spesso la Scrittura usa questa parola.

Per questo si trova anche l'espressione: adempirò i miei voti [ fatti a Dio ] distinti con le mie labbra; ( Sal 65,13-14 ) così, ugualmente a Ezechiele viene detto: Se io dirò a un malvagio: " Tu morirai di certo " e tu non hai distinto e non hai parlato; ( Ez 3,18 ) parimenti sta scritto: Se una donna vivente [ ancora ] in casa di suo padre, farà un voto, distinguendo con le sue labbra, contro se stessa. ( Nm 30,4 )

Sembra dunque che questa " distinzione " sia una specie d'indicazione precisa con cui si separa qualcosa dalle altre che non si mantengono solo con la parola.

Quelle frasi dunque si devono intendere come se fosse detto: La persona che avrà giurato indicando precisamente con le sue labbra di fare il male o fare il bene, secondo tutte le cose che uno indica con precisione con giuramento, non se ne sarà reso conto - cioè se avrà giurato di fare qualcosa senza sapere se deve o non deve farsi - e lo verrà a conoscere e avrà commesso uno di questi peccati - sia perché giurò prima di saperlo, sia perché fece ciò che giurò di fare e seppe in seguito che non era da farsi né si doveva giurare - e confesserà il peccato con cui aveva peccato - vale a dire il peccato che aveva commesso, poiché si tratta di un idiomatismo.

L'espressione aggiunta: contro di lui che cosa vuol dire, se non che confessò il peccato contro se stesso, cioè accusò se stesso confessando il proprio peccato?

E per i peccati commessi offrirà al Signore, per il peccato commesso una femmina delle pecore, un'agnella.

L'agiografo dice - con un idiomatismo - un'agnella femmina, come se potesse esserci un'agnella non femmina, o una capra tra le capre, come un'agnella tra le pecore, come se potesse esserci una pecora che non fosse una delle pecore o una capra che non fosse una delle capre.

Sorge poi un problema non irrilevante, anzi considerevole, quello cioè di sapere che cosa vuol dire l'espressione ricorrente: ma in seguito si sarà reso conto di ciò e avrà peccato, come se il peccato venisse commesso [ solo ] quando uno ne avesse coscienza.

O piuttosto vuol dire che non si può offrire soddisfazione per il peccato se non dopo averne avuta coscienza?

L'agiografo però non dice: " ma dopo questo ne avrà coscienza e si pentirà ".

Che vuol dire dunque: dopo ciò ne avrà coscienza e peccherà?

Vuol dire forse: " peccherà dopo esserne consapevole " di modo che, se farà ciò che non si sarebbe dovuto fare, allora il peccato dovrà essere espiato?

Prima però l'agiografo non si è espresso così.

Sembra infatti che [ il Signore ] castiga i peccati commessi da chi non ne ha coscienza e perciò non vuole commetterli.

Forse quindi l'espressione peccherà è un genere d'idiomatismo che vuol dire: " avrà coscienza che è un peccato ".

Oppure la frase è espressa con una costruzione inversa - poiché nella Scrittura si trovano anche tali specie di modi di esprimersi - mentre lo stesso concetto è espresso con la costruzione diretta in altri simili passi.

Poiché sebbene si trovi scritto tante altre volte così: e peccherà e ne avrà coscienza, soltanto qui - come ho detto - si dice prima: ne avrà coscienza, e poi: peccherà.

Secondo la costruzione dell'agiografo però si potrebbe dire: Qualunque persona che toccherà qualsiasi cosa impura, sia essa d'un cadavere o d'una bestia impura, agnello d'una bestia catturata da una belva, sia delle cose che sono cadaveri delle abominazioni impure, il cadavere di giumenti impuri o toccherà qualcosa dell'immondezza umana, di qualsiasi impurità umana con cui si contamina se verrà toccata, e se non se ne renderà conto in seguito però ne avrà coscienza. ( Lv 5,2-3 )

4. ( Lv 5,7 ) Offerta di due tortore per il sacrificio

Se però la sua mano non ha mezzi per procurarsi un animale del bestiame minuto per il peccato da lui commesso, offrirà al Signore due tortore o due piccioni: uno per il peccato e uno per l'olocausto.

Qui è risolto forse il quesito a proposito del quale in antecedenza avevamo dei dubbi, poiché pare sia usata l'espressione: uno per il peccato e l'altro per l'olocausto, in quanto il sacrificio per il peccato veniva offerto solo insieme con l'olocausto.

Inoltre, precedentemente, parlando a parte degli olocausti, l'agiografo menziona la tortora ma non dice che se ne offrissero due. ( Lv 1,14 )

Ora invece dice che se ne devono offrire due, poiché non si offriva un sacrificio per il peccato senza l'olocausto.

Quanto dunque a ciò che era detto più sopra, cioè: e lo porrà al di sopra dell'olocausto, ( Lv 4,35 ) non c'è dubbio che sull'altare prima si metteva l'olocausto e poi al di sopra si poneva l'altra vittima; ora invece a proposito di animali con le ali si parla diversamente: prima si offra un alato per il peccato e poi un altro per l'olocausto.

5. ( Lv 5,15 ) Anima sta per uomo

Quanto poi alla frase: Se a un'anima sarà sfuggito per dimenticanza, vuol dire: se per dimenticanza avverrà che sfugga a lui, cioè a un uomo [ eum ] o a lei [ eam ] se si riferisce a una persona, poiché qui chiama anime gli uomini, le persone.

6. ( Lv 5,15-16 ) Un peccato per inavvertenza

E commetterà involontariamente un peccato appropriandosi dei beni sacri del Signore.

Si ha l'impressione che questa specie di peccato sia stata espressa in maniera oscura, ma viene spiegata da ciò che si dice in seguito, dove, dopo aver accennato al sacrificio d'un capro di espiazione è detto: lo restituirà e ve ne aggiungerà un quinto.

Perciò commettere un peccato per inavvertenza sottraendo ai beni sacri del Signore significa: " appropriarsi inavvertitamente di qualcosa " destinato alle cose sacre o ai sacerdoti o alle offerte delle primizie o di qualsiasi altra cosa simile.

7. ( Lv 5,17-19 ) Mancanza di distinzione fra varie specie di peccati

E se una persona commetterà un peccato e compirà una delle azioni che il Signore vieta di fare e anche se non ne ha coscienza, commette il peccato e porterà il peso del proprio peccato e offrirà un capro senza difetti del suo bestiame minuto in valore di danaro come sacrificio per il peccato al sacerdote; e il sacerdote farà il sacrificio per il perdono del peccato involontario commesso senza saperlo e gli sarà perdonato; in effetti egli aveva commesso un peccato al cospetto del Signore.

A parte l'insolita abbondanza d'idiotismi che per la loro continua ripetizione dovrebbero essere ormai arcinoti, il senso di tutto questo passo è oscuro, poiché ci chiediamo come distinguere questa specie di peccato da quelli che più sopra l'agiografo ha raccolto in una certa maniera generica.

Sembra infatti che la ragione esiga che per determinate specie di peccati siano da offrire determinate specie di sacrifici con cui espiarli.

Ma il passo che ora ho ricordato non lascia capire di quale peccato in particolare si tratti, ma sembra restare nella generalità; prima di parlarne il Signore stabilì di offrire un vitello come sacrificio per il sacerdote e parimenti un vitello per tutta la comunità, un capro per il principe e per qualunque anima, cioè per qualsiasi persona, una capra o, se si preferisse, un capo di ovini, ma tuttavia bestiame di genere femminile. ( Lv 4 )

Poi l'agiografo prese ad esaminare alcune specie di peccati e a indicare quale sacrificio si dovesse offrire e per quali peccati, chiamandoli per nome; come per esempio lo spergiuro, udito ma non denunziato, di chiunque, il toccare un cadavere o una cosa immonda e il giuramento falso fatto inavvertitamente, per i quali doveva offrirsi un'agnella o un paio di tortore o due piccioni o un decimo di efa di fior di farina; ( Lv 5,11 ) invece, per il peccatore, che inavvertitamente si era appropriato ingiustamente dei beni santi, un capro e la restituzione, con l'aggiunta di un quinto in più, della roba di cui si era appropriato.

Adesso, al contrario, senza indicare chiaramente di quale specie di peccato si tratti, si aggiunge in modo generico: Qualunque persona che avrà peccato e avrà compiuto una delle azioni che i comandamenti del Signore vietano di compiere - così diceva in quella prescrizione generica una delle azioni che il Signore vieta di fare - e anche senza averne coscienza e commetterà il peccato, cioè se avrà peccato involontariamente per inavvertenza, il Signore ordina di offrire un capro, non una capra o una femmina delle pecore, come aveva ordinato [ parlando dei peccati ] in modo generico.

Che vuol dire dunque tale mancanza di distinzione [ tra le varie specie di peccati ]?

Salvo che, nell'espressione di questo passo: poiché commise un peccato davanti al Signore, l'inciso: davanti al Signore voglia significare il peccato che si commette nell'appropriarsi delle cose che si fanno davanti al Signore, cioè delle cose mediante le quali si compie il culto del Signore nella Tenda.

A proposito di ciò era stato detto qualcosa poco prima nell'espressione: commise un peccato detraendo [ qualcosa ] dei beni santi, ( Lv 5,15 ) e lo abbiamo nel seguente senso: " si appropriò di qualcuna delle cose sante " poiché il Signore aveva comandato anche di restituirla.

E perciò riguardo a tali cose non solo così può commettersi un peccato, se cioè uno si appropria di qualcosa di esse inavvertitamente, ma in molti altri modi può uno commettere un peccato, senza averne coscienza, riguardo alle cose che si offrono per il culto del Signore.

L'agiografo volle in seguito menzionare in maniera generale questa specie di peccati e perciò sia prima che adesso il Signore comandò di offrire un capro.

Le Scritture poi sono piene di espressioni come questa: davanti al Signore e non significano altro se non ciò che si offre al Signore come il sacrificio o le primizie o un servizio di culto con le cose sante.

8. ( Lv 5,7 ) Se sono prescritti sacrifici differenti secondo la differenza dei peccati

C'è anche quest'altro quesito: quello cioè di sapere se la frase: Se uno non ha i mezzi sufficienti per avere un animale del bestiame minuto, deve intendersi in ogni caso nel senso che egli deve offrire un paio di tortore o due piccioni e, se non riesce neppure a fare così, una determinata quantità di fior di farina.

Poiché, se s'intende che è lecito in ogni caso fare così, non può dirsi sicuramente che il sacerdote non ha [ da offrire ] un vitello né che non ha un capro o una pecora l'intera comunità, né il capo.

E se la cosa sta così, che necessità c'era di dire poi che uno spergiuro non denunciato di una persona o l'atto di toccare qualcosa d'impuro o lo spergiuro fatto per ignoranza si espia con il sacrificio di un'agnella o d'una capra, dal momento che i medesimi sacrifici sono prescritti anche in quella indicazione generale del peccato, alla quale avrebbero potuto appartenere anche questi peccati?

Se però questi peccati si distinguono per il fatto che per essi era lecito offrire tortore e piccioni o anche fior di farina in mancanza di questa offerta, mentre non era lecito dove non è specificato nulla, allora non sembra che si fosse venuto in aiuto dei poveri, poiché ci sarebbero potuti essere molti altri peccati non indicati particolarmente che potevano riferirsi all'indicazione generale, secondo la quale i poveri sarebbero stati oppressi, se fosse stato lecito solo offrire una capra delle capre o un'agnella delle pecore oppure uccelli e fior di farina.

Salvo che si dica che la sola differenza tra i peccati eccettuati e indicati con il proprio nome e quelli menzionati in modo generico deriva proprio dal fatto che qui si parla di un'agnella e lì di una pecora, in modo che l'età degli animali faccia risaltare una certa qual differenza, purché s'intenda che i poveri sono stati parimenti aiutati, sicché, se non possedessero alcun animale quadrupede, potessero offrire o i suddetti uccelli o fior di farina per i loro peccati commessi inavvertitamente.

Potrebbe però creare imbarazzo il problema di sapere perché il legislatore, avendo prima messo in generale tutti i peccati d'inavvertenza in un unico elenco e avendo distinto i sacrifici non in base alla differenza dei peccati ma in base a quella delle persone, volle poi distinguere anche i peccati e prescrivere sacrifici differenti secondo la loro differenza, come se tutti non rientrassero in quella generalità; bisogna tuttavia intendere che la distinzione fu fatta in seguito; in tal modo dobbiamo pensare che tutti i peccati che rimarranno, eccetto quelli menzionati nominatamente e particolarmente dal legislatore, si trovano compresi in quella generalità.

Questa forma di idiotismo non è possibile trovarla in alcun altro passo, ma nelle Sacre Scritture si trova qualcosa di simile, come nel passo ove l'Apostolo dice: Qualsiasi peccato commetta l'uomo è fuori del corpo.

Sembra che qui non è stato omesso alcun peccato dal momento che si dice: Qualsiasi peccato commetta l'uomo, e in seguito tuttavia eccettuò la fornicazione soggiungendo: chi però fornica, commette un peccato contro il proprio corpo. ( 1 Cor 6,18 )

Questa asserzione secondo il consueto modo di parlare sarebbe espressa così: qualsiasi peccato commetta l'uomo, eccetto la fornicazione, è fuori del corpo, chi però fornica pecca contro il proprio corpo.

Così anche qui, pur avendo parlato prima in genere di tutti i peccati commessi per inavvertenza, da espiare con i sacrifici da lui menzionati, l'agiografo tuttavia eccettuò quelli che, menzionati espressamente e distintamente, dovevano essere riparati con determinati sacrifici: in tal modo, eccettuati questi peccati, tutti i rimanenti dovevano rientrare in quella generalità.

9. ( Lv 6, 6.10 ) Si cerca un significato simbolico

Offrirà un montone del proprio gregge senza difetti, secondo il prezzo per il peccato commesso.

L'espressione non dev'essere separata come se secondo il prezzo per il peccato commesso, significasse: " secondo il prezzo per il qual prezzo peccò ", ma: " se offrirà un montone, lo offrirà secondo il prezzo ", cioè comprato.

In effetti sembra che il Signore volle che anche questo particolare avesse un qualche significato simbolico, in quanto non determinò il prezzo.

Mi spiego: se lo avesse determinato, sarebbe potuto sembrare che avesse ordinato di non offrire in sacrificio un animale di poco valore, in modo che, anche se colui che lo offriva non l'avesse comprato, avrebbe tuttavia offerto una cosa che avesse un valore equivalente.

Aggiungendo però non solo il prezzo, in modo che si offrisse un montone comprato, ma anche il prezzo in sicli santi - così infatti dice l'agiografo: al prezzo di sicli d'argento, valutati al tasso del siclo santo ( Lv 5,15 ) - il Signore volle che il montone fosse comprato per alcuni sicli, non per un solo siclo.

Riguardo a che cosa vuol dire: siclo santo abbiamo già esposto una nostra opinione quando ci è parso opportuno.

L'agiografo però, dopo aver detto: Per il suo peccato offrirà al Signore un montone del gregge degli ovini senza difetti, soggiunge: per il peccato da lui commesso, espressione che si deve intendere: " offrirà per ciò in cui peccò ", cioè " per quella cosa; a causa di quella cosa ".

E ritirerà l'holocarpoma - l'olocausto che il fuoco avrà consumato completamente - dall'altare.

Che cosa ritirerà se è stato consumato completamente?

Il Signore infatti ordinò al sacerdote di ritirare l'holocarpoma, cioè l'olocausto consumato completamente dal fuoco ch'era stato acceso tutta la notte.

E che cosa vuol dire anche la parola olocausto che l'agiografo aggiunse, dal momento che l'holocarpoma ha lo stesso significato di olocausto?

Solo che forse è vero ciò che si trova in un manoscritto greco, in cui non si dice: " ritirerà l'holocarposis " [ l'olocausto ], ma: ritirerà il catacarposis, cioè il residuo dell'olocausto consunto dal fuoco.

L'agiografo però chiamò holocaustosis [ olocausto ] quel residuo, come sono la cenere e il carbone, servendosi del nome della cosa consumata, chiamandola residuo della consunzione.

10. ( Lv 6,9 ) Come si completa il senso della frase

Poco prima l'agiografo dice: Ecco la legge dell'olocausto; poi, esponendo quale sia la medesima legge, aggiunge: dell'olocausto che starà sul fuoco del braciere [ posto ] sull'altare tutta la notte fino al mattino e il fuoco dell'altare brucerà su di esso; non dovrà spegnersi.

[ Questo passo ] sarebbe più chiaro se, conforme al nostro abituale modo di esprimerci, non avesse la congiunzione e, poiché, tralasciando tale congiunzione, il senso risulterebbe connesso così: Ecco l'olocausto che starà sul fuoco del braciere posto sull'altare; tutta la notte fino al mattino il fuoco dell'altare arderà su di esso, cioè sull'altare.

Poi, per completare il senso dell'enunciato viene aggiunto: non si spegnerà, sebbene ciò fosse indicato dalle parole: tutta la notte.

11. ( Lv 6,11 ) L'holocarpoma

E indosserà un altro vestito e porterà via l'holocarpoma fuori dell'accampamento in un luogo puro.

È chiamato holocarpoma ciò che è stato già consumato col fuoco, che però nel testo greco è detto κατακάρπωσις.

Alcuni autori latini invece hanno aggiunto: che è stato consumato col fuoco, e hanno tradotto così: e porterà via l'holocarpoma, consumato col fuoco, fuori dell'accampamento in un luogo puro.

12. ( Lv 6,12 ) Il fuoco arderà sempre sull'altare

E il fuoco arderà sull'altare dopo quello e non si spegnerà, cioè dopo il fuoco in cui bruciò l'olocausto fino al mattino.

Il Signore infatti non vuole che il fuoco si spenga del tutto, ma che dopo aver bruciato l'olocausto fino al mattino e dopo che sia stato portato via il residuo [ della vittima ] dell'olocausto consumato [ dal fuoco ], neppure così il fuoco si spenga ma sia alimentato perché ne vengano bruciate le altre vittime che vi si pongono sopra.

13. ( Lv 6,12-13 ) Significato dell'espressione al mattino

Il legislatore continua dicendo: E il sacerdote al mattino farà bruciare su di esso la legna e vi porrà sopra l'olocausto e vi collocherà al di sopra il grasso del sacrificio di salvezza; e il fuoco arderà sempre sull'altare; non si deve lasciare spegnere.

A proposito dell'espressione al mattino bisogna vedere se essa significa " ogni giorno " di modo che non si lasci passare alcun giorno in cui non si trovi l'olocausto e il grasso del sacrificio di salvezza, oppure al mattino significa che in qualsiasi giorno si ponga sull'altare la legna per il fuoco, si deve porre solo la mattina.

Poiché se intenderemo l'espressione nel senso di " ogni giorno ", che dire se nessuno portava l'offerta?

Se invece erano i sacerdoti a procurare gli olocausti giornalieri prendendoli dalle proprietà del popolo o dai propri beni, su di essi venivano poste le cose offerte dal popolo per i peccati e che il Signore aveva ordinato di porre sopra l'olocausto e non era necessario che la persona, che offriva sacrifici per il peccato, offrisse anche l'olocausto sul quale fosse posto il proprio sacrificio, se non quando veniva offerto un paio di tortore o due piccioni, poiché in quel caso era stabilito senza eccezioni che doveva essere offerto uno in sacrificio per il peccato e l'altro per l'olocausto, e prima quello in sacrificio per il peccato e poi quello per l'olocausto. ( Lv 5,7 )

Possiamo inoltre domandarci se l'olocausto che il Signore comandò di offrire la mattina doveva bruciare anch'esso per tutta la notte fino al mattino seguente o se l'olocausto che si dice debba bruciare tutta la notte fosse quello vespertino, a partire dal quale si comincia a parlare della legge dell'olocausto di modo che si inizi a partire dall'olocausto vespertino, ma sarebbe strano che non si dicesse né si ricordasse che quegli olocausti dovevano offrirsi la sera.

14. ( Lv 6,19-20 ) I sacrifici e il sommo sacerdote

E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Ecco l'offerta che Aronne e i suoi figli offriranno al Signore nel giorno in cui lo ungerai ".

Una cosa sono i sacrifici che l'agiografo menziona nell'Esodo, con i quali per sette giorni vengono consacrati i sacerdoti perché comincino ad esercitare il loro sacerdozio, ( Es 29,1 ) e un'altra cosa è quella menzionata adesso, cioè che cosa deve offrire il sommo sacerdote quando viene ordinato, ossia quando viene unto.

Il testo infatti continua così e dice: Nel giorno in cui lo ungerai.

Non dice: " li ungerai ", sebbene fosse comandato dal Signore di ungere anche i sacerdoti di grado inferiore.

Il legislatore poi parla dell'offerta da presentare per il sacrificio: la decima parte di un'efa di fior di farina come sacrificio perpetuo.

Qui sorge il problema in che senso un sacrificio è perpetuo, se da colui che riceve l'unzione viene offerto solo nel giorno in cui viene unto come sommo sacerdote.

Il problema si può risolvere pensando che quel sacrificio deve offrirsi sempre nel giorno in cui viene unto il sommo sacerdote, vale a dire che i sommi sacerdoti nel succedersi gli uni agli altri dovranno offrire sempre quel sacrificio il giorno della consacrazione.

Si potrebbe tuttavia intendere perpetuo anche se riferito non al sacrificio, ma a ciò di cui esso è simbolo.

15. ( Lv 6,20-21 ) Il sacrificio fatto di varie offerte

Di essa - è detto - metà al mattino e l'altra metà al pomeriggio, che il testo greco traduce con δειλινόν.

Sarà cotta alla teglia con l'olio; impastata e tagliata a fette la offrirà; è il fior di farina ciò di cui parla qui il legislatore.

Il testo poi dice fresa [ fior di farina ], seppure il termine rende bene quello greco: έρικτά, usato al plurale di genere neutro.

Il traduttore latino infatti non dice fresam, al femminile singolare, come se si trattasse della similaginem [ fior di farina ], che aveva detto mescolata con l'olio; egli invece denota con questo termine un sacrificio fatto di vari pezzi.

Non è dunque del tutto chiaro se il traduttore denoti come fresa i frammenti, cioè le piccole fette, oppure i granelli assai minuti del fior di farina.

16. ( Lv 6,21-22 ) Eterno ciò di cui il rito è simbolo

L'agiografo poi continua e dice: Sacrificio [ che è ] fragranza di buon odore per il Signore.

Lo farà il sacerdote, l'unto, che gli succederà tra i suoi figli.

Ecco perché forse l'agiografo aveva chiamato perpetuo il sacrificio, perché lo facesse ogni sommo sacerdote quando succedeva a quello defunto, il giorno in cui fosse unto; il testo infatti aggiunge l'espressione legge eterna, potendosi intendere come eterno ciò di cui il rito è il simbolo.

17. ( Lv 6,23 ) Consumazione totale dell'offerta

Il testo continua: Tutto sarà completato, così ha il greco έπιτελεσθήσεται alcuni traduttori hanno usato l'espressione: sarà posto tutto [ sull'altare ].

Con questa espressione l'agiografo vuol fare intendere che si tratta di un olocausto, poiché [ dell'offerta ] non ne resta nulla.

Di conseguenza l'agiografo aggiunge: e tutto il sacrificio del sacerdote sarà consumato interamente e non se ne potrà mangiare.

Giustamente [ prima ] aveva detto: Sarà completato tutto.

18. ( Lv 6,19 ) I residui del sacrificio appartengono al sacerdote

Parlando del sacrificio per il peccato l'agiografo dice: Il sacerdote che offrirà [ la vittima ] la mangerà.

Il sacerdote non mangerà dell'offerta che porrà sull'altare - poiché essa verrà consumata dal fuoco - ma di ciò che ne rimarrà, poiché non è un olocausto che debba bruciare interamente sull'altare.

Di poi l'agiografo dice: Di nessuna vittima per il peccato, di cui si sarà introdotto il sangue nella tenda della testimonianza per fare l'espiazione nel luogo santo, se ne mangi, ma essa verrà bruciata interamente col fuoco. ( Lv 6,23 )

In qual modo allora apparterranno ai sacerdoti i residui del sacrificio per il peccato e possono essere mangiati?

Ciò quindi occorre intenderlo nel senso che vengono escluse le vittime con il sangue delle quali si bagnano [ gli angoli ] dell'altare dell'incenso nella tenda della testimonianza.

Così infatti il Signore in precedenza aveva ordinato di fare a proposito del vitello che doveva essere offerto dal sacerdote per il proprio peccato e a proposito del vitello che doveva offrire per il peccato di tutto il popolo, che cioè le carni che fossero rimaste venissero bruciate fuori dell'accampamento; ( Lv 4,12.21 ) ciò viene ricordato brevemente anche adesso.

19. ( Lv 7,1 ) Offerta esclusiva del sacerdote

Questa è la legge del montone offerto per il peccato; si tratta d'una offerta sacrosanta, vale a dire che ne possono mangiare solo i sacerdoti.

20.1. ( Lv 7,7 ) Differenza fra il peccato e il delitto

Che cosa significa ciò che la Scrittura, dopo aver parlato del capro offerto in sacrificio e aver esposto la legge del rito relativo, dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto; una sola legge per esse?

Qui sorge il problema di sapere quale differenza ci sia tra il peccato e il delitto, poiché, se non ci fosse nessuna differenza l'agiografo non avrebbe detto affatto: Come la vittima per il peccato così anche quella per il delitto.

Sebbene infatti non ci sia alcuna differenza tra la legge e il sacrificio, poiché unica è la legge per ambedue, tuttavia se tra queste due colpe, per le quali esiste un'identica legge - cioè il peccato e il delitto - non ci fosse alcuna differenza e se fossero due nomi denotanti la stessa cosa, la Scrittura non si preoccuperebbe di sottolineare tanto diligentemente che il sacrificio per entrambi è lo stesso.

20.2. Il peccato dunque è forse compiere il male, il delitto invece è abbandonare il bene, così che, come in una vita degna di lode una cosa è allontanarsi dal male e un'altra è fare il bene - come siamo esortati dalla Scrittura che dice: Allontànati dal male e compi il bene ( Sal 37,27 ) - così in una vita degna di biasimo una cosa è allontanarsi dal bene e un'altra fare il male, e quella sarebbe un delitto, questa un peccato.

Se infatti esaminiamo anche questo vocabolo che cos'altro vuol dire delictum [ il delitto ] se non derelictum [ ciò che è stato abbandonato ]?

E che cosa abbandona chi delinque se non il bene?

Anche i Greci hanno denotato questo flagello con due vocaboli usuali.

Il peccato [ delictum ] in greco si dice sia παραπτώμτι che πλημμέλεια.

Proprio in questo passo del Levitico si trova πλημμέλεια.

Quando l'Apostolo dice: Se uno s'è lasciato sorprendere da qualche peccato, ( Gal 6,1 ) il testo greco ha παραπτώμτι.

Se analizziamo l'etimologia di questi nomi, vediamo che con παραπτώμτι s'intende che in un certo senso " cade in rovina " chi commette un peccato e da " cadere " deriva il termine " cadavere ", che i latini formano derivandolo da "cadere ", e in greco il fallo si dice πτώμα, che deriva da άπό τοϋ πίπτειν, cioè dal verbo che vuol dire " cadere ".

Chi dunque commette il male col peccare cade prima dal bene peccando.

Così pure πλημμέλεια è un nome simile a " negligenza ", poiché in greco " negligenza " si dice άμέλεια, in quanto non si prende a cuore ciò che si trascura.

Il greco infatti traduce l'espressione " non mi importa " con ού μέλει μοι.

In questo caso la particella πλημμέλεια, significa praeter [ al di fuori di; contro ], sicché άμέλεια, che denota la negligenza, sembra significare " senza diligenza ", πλημμέλεια invece " al di fuori della diligenza ", che è quasi la stessa cosa.

Ecco perché anche alcuni nostri scrittori1 hanno preferito tradurre il termine πλημμέλεια non con " delitto ", ma con "negligenza ".

Nella lingua latina inoltre, che cos'altro è negligitur [ si trascura ] se non ciò che non legitur, cioè non si sceglie?

Perciò anche gli autori latini hanno detto che legem [ la legge ] deriva da legere [ scegliere ].

Da questi indizi si deduce in certo qual modo che delinquit [ pecca ] chi derelinquit [ abbandona ] il bene e, abbandonandolo, decade dal bene poiché lo trascura, cioè non l'ha a cuore.

Per il momento però, quanto alla parola peccato, che in greco si dice άμαρτία, non mi viene in mente quale sia l'etimologia in nessuna delle due lingue.

20.3. Si potrebbe anche credere che è delitto quello che si commette inavvertitamente, cioè per ignoranza, peccato invece quello che si commette consapevolmente.

Con questa differenza sembrano accordarsi i seguenti testi della Scrittura: Chi comprende i propri delitti? ( Sal 19,13 ) e quest'altro passo: Poiché tu conosci la mia imprudenza, soggiungendo immediatamente: le mie colpe non ti sono nascoste, ( Sal 69,6 ) ripetendo - per così dire - in un altro modo il medesimo concetto.

E non contrasta con questa spiegazione la frase dell'Apostolo citata da me poco prima: Se uno si è lasciato sorprendere da qualche peccato. ( Gal 6,1 )

Per il fatto stesso che dice di essersi lasciato sorprendere da qualche peccato, indica che quel tale è caduto in fallo inavvertitamente.

L'apostolo Giacomo, al contrario, definendo in un certo modo il peccato come appartenente a uno che ne è consapevole, dice: Chi sa di dover fare il bene e non lo fa, commette peccato. ( Gc 4,17 )

Ma quale che sia la differenza - quella o questa o qualche altra - tra il peccato e il delitto, se tra essi non ce ne fosse nessuna, la Scrittura non avrebbe detto, come dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto un'unica legge per esse. ( Lv 7,7 )

20.4. Ciononostante le due parole si usano indifferentemente, sicché il peccato si chiama delitto, e il delitto peccato.

Così, quando si dice che nel battesimo sono rimessi i peccati, non significa che non siano rimessi anche i delitti; ciononostante non vengono nominati ambedue questi termini poiché con il solo termine peccato s'intendono entrambi.

Così anche il Signore afferma di versare il proprio sangue per la remissione dei peccati. ( Mt 26,28 )

Poiché non dice anche "dei delitti " oserà forse qualcuno dire che mediante il suo sangue non avviene la remissione dei delitti?

Parimenti il seguente testo dell'Apostolo: Poiché il giudizio provocato dal peccato di un solo uomo [ porta ] alla condanna, mentre la grazia concessa dopo tanti delitti ci portò alla giustificazione, ( Rm 5,16 ) che cos'altro vuol dire se non che sotto il termine " delitti " sono compresi anche i " peccati "?

20.5. Anche in questo stesso libro del Levitico, da cui ci vediamo obbligati a trovare o a credere qualche differenza tra il delitto e il " peccato " si legge quanto segue, che cioè Dio, parlando dei sacrifici da offrirsi per i peccati, disse: Se però l'intera comunità dei figli d'Israele avrà commesso un fallo per inavvertenza e il fatto rimarrà nascosto agli occhi della comunità e avrà fatto un'azione di quelle proibite dal Signore e così essi avranno commesso un delitto, se poi sarà riconosciuto come proprio il peccato commesso da loro contro il divieto. ( Lv 4,13-14 )

Ecco che l'agiografo, immediatamente dopo aver detto: e commetteranno un delitto, soggiunge: il peccato commesso da loro, cioè lo stesso delitto che essi avevano commesso.

E poco dopo l'agiografo dice: Se invece a peccare sarà il capo e commetterà, anche involontariamente, una delle azioni proibite dal Signore nostro Dio, anche in questo caso commetterà un delitto. ( Lv 4,22 )

Parimenti in [ uno dei ] passi susseguenti è detto: Se una sola persona del popolo del paese commetterà un peccato involontariamente facendo una delle azioni che il Signore proibisce di fare, e delinquerà e sarà poi consapevole del peccato commesso contro la prescrizione. ( Lv 4,27-28 )

Ugualmente in un altro passo: Se una persona, a viva voce, pronuncerà un giuramento di far del male o del bene in tutto ciò che l'uomo può proferire con giuramento e non si sarà reso conto della cosa, ma poi la riconoscerà e avrà commesso uno di tali peccati per il quale peccò contro se stessa e offrirà al Signore per quello di cui si rese colpevole, per il peccato che ha commesso. ( Lv 5,4-6 )

E poco dopo: E il Signore parlò a Mosè in questi termini: "Se qualcuno commetterà una mancanza e peccherà per errore riguardo a cose consacrate al Signore, porterà al Signore per il suo delitto un ariete senza difetto, preso dal gregge, che valuterai in sicli d'argento in base al siclo del santuario; risarcirà il danno fatto al santuario, aggiungendovi un quinto, e lo darà al sacerdote, il quale farà per lui il rito espiatorio con l'ariete offerto come sacrificio di riparazione e gli sarà perdonato ". ( Lv 5,14-16 )

Il testo prosegue ancora e dice: Quando uno peccherà facendo, senza saperlo, una cosa vietata dal Signore, sarà colpevole e dovrà scontare la mancanza.

Presenterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto, secondo la tua stima; il sacerdote farà per lui il rito espiatorio per l'errore commesso per ignoranza e gli sarà perdonato: È un sacrificio di riparazione; quell'individuo si era certo reso colpevole verso il Signore. ( Lv 5,17-19 )

E continua ancora, dicendo: E il Signore disse a Mosè: "Quando uno peccherà e commetterà una mancanza verso il Signore, rifiutando al suo prossimo un deposito da lui ricevuto o un pegno consegnatogli o una cosa rubata o estorta con la frode, o troverà una cosa smarrita, mentendo a questo proposito e giurando il falso circa qualcuna delle cose per cui un uomo può peccare, se avrà così peccato e si sarà reso colpevole, restituirà la cosa rubata o estorta con frode o il deposito che gli era stato affidato o l'oggetto smarrito che aveva trovato o qualunque cosa per cui abbia giurato il falso.

Farà la restituzione per intero, aggiungendovi un quinto e renderà ciò al proprietario il giorno stesso in cui offrirà il sacrificio di riparazione.

Porterà al sacerdote, come sacrificio di riparazione in onore del Signore, un ariete senza difetto, preso dal bestiame minuto secondo la tua stima.

Il sacerdote farà il rito espiatorio per lui davanti al Signore e gli sarà perdonato, qualunque sia la mancanza di cui si è reso colpevole ". ( Lv 6,1-7 )

In conclusione a proposito di quasi tutte le azioni che l'agiografo dice che sono peccati li chiama anche delitti.

È perciò evidente che in molti passi delle Scritture i due termini sono usati indifferentemente, ma d'altra parte, che tra di essi vi sia una qualche differenza lo attesta la stessa Scrittura quando dice: Come la vittima per il peccato, così anche quella per il delitto.

21. ( Lv 7,23-25 ) L'uso del grasso di un animale morto

D'ogni parte grassa dei bovini, ovini e caprini non ne mangerete.

E le parti grasse di un animale morto o sbranato da una belva serviranno per ogni uso, ma non saranno mangiate per nutrimento.

Chiunque mangerà qualche parte grassa degli animali che porterete come offerta al Signore perirà, rigettato dal suo popolo.

Prima la Scrittura aveva detto: Tutto il grasso è per il Signore, ( Lv 3,16 ) e ci eravamo posto il quesito se si trattasse soltanto del grasso d'ogni animale puro, senza eccezione - poiché riguardo agli animali immondi non c'è alcun problema - e che uso dovesse farsi del grasso che il Signore aveva proibito di usare come cibo.

Ora invece dice che uso deve farsi del grasso d'un animale morto e sbranato da una belva, che cioè può servire per qualsiasi cosa, naturalmente per qualunque cosa per cui sia necessario il grasso.

Per conseguenza rimane il quesito relativo a quale uso può farsi del grasso di tutti gli altri animali che sono puri e destinati ad essere mangiati.

Ma poiché il Signore dice che perirà, rigettato dal suo popolo, chiunque mangerà il grasso d'uno degli animali offerti al Signore, sembra che la proibizione di mangiare il grasso degli animali puri era limitata solo per gli animali offerti in sacrificio, sebbene abbiamo sentito dire che i Giudei non mangiano affatto nessuna specie di grasso.

Ma noi dobbiamo ricercare che cosa prescrive la Scrittura, non ciò che pensano i Giudei.

Questi inoltre non trovano quale buon uso fare del grasso da cui si astengono e in che modo possano gettarlo via, dal momento che la Scrittura dice: Ogni parte grassa [ degli animali ] appartiene al Signore, visto che vogliono che ciò s'intenda non solo del grasso degli animali sacrificati, ma anche di quelli che non vengono sacrificati perché immondi.

22. ( Lv 7,29-31 ) Dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima

Che cosa vuol dire l'agiografo in merito ai sacrifici di salvezza, poiché avverte di nuovo e dice che colui il quale fa l'offerta del proprio sacrificio di salvezza, deve dare ai sacerdoti il petto e la coscia della vittima, in modo tale però che il grasso del petto venga offerto al Signore con il lobo del fegato, mentre prima, parlando dei sacrifici di salvezza aveva anticipato che fosse offerto al Signore il lobo del fegato con il grasso del ventre, dei reni e dei lombi, ( Lv 4,9 ) ma non aveva parlato del grasso del petto?

Forse qui menziona ciò che ha tralasciato prima? Perché dunque parla del lobo del fegato tanto qui che prima?

C'è forse qualche differenza per il fatto che prima ha enunciato la prescrizione riguardo al sacrificio di salvezza, ora invece aggiunge la " propria " salvezza, come se una cosa fosse "la salvezza " e un'altra " la propria salvezza "?

23.1. ( Lv 4,3-7; Lv 8,2.14-15.28-29 ) Si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote

La prima volta che l'agiografo parla dei sacrifici per i peccati, dice che si deve offrire un vitello per il peccato del sacerdote che avesse fatto peccare il popolo; ( Lv 4,3-7 ) anche in seguito, quando la Scrittura narra come erano stati eseguiti gli ordini dati dal Signore nei riguardi di Aronne e dei suoi figli, si dice che fu offerto un vitello per il peccato. ( Lv 8,2-14 )

Più sopra però il Signore ordina di bagnare con il sangue del vitello i lati dell'altare dell'incenso e di spargerne in direzione del velo santo, e versare il resto del sangue alla base dell'altare degli olocausti. ( Lv 4,6-7 )

Poi, però, quando Aronne viene consacrato, ( Lv 8,14-15 ) non si dice nulla dello spargere il sangue in direzione del velo, mentre si parla dei lati dell'altare ma senza aggiungere: altare dell'incenso; ( Lv 8,15 ) si aggiunge tuttavia che si deve spargere il sangue alla base dell'altare; non si dice " alla sua base ", come se fosse necessario intendere che si trattasse dell'altare del quale aveva bagnato i lati col sangue.

Pertanto, sebbene il testo si presenti ambiguo, si è tuttavia liberi di pensare che il rito [ della consacrazione ] si debba svolgere come era stato ordinato prima riguardo al sacrificio del vitello per il peccato; in tal modo non siamo obbligati a pensare che furono bagnati con il sangue del vitello i lati dell'altare alla cui base fu sparso ma ne furono bagnati i lati dell'altare dell'incenso mentre il sangue fu sparso sulla base dell'altare dei sacrifici.

23.2. Più sopra, trattandosi di prescrizioni generali, era stato ordinato che, se il sacerdote avesse peccato, fosse lo stesso sacerdote unto e consacrato - cioè lo stesso sommo sacerdote - a offrire questi sacrifici; ( Lv 4,4-5 ) adesso, al contrario, quando viene consacrato Aronne, è Mosè che offre e allo stesso tempo riceve il petto, ( Lv 8,15.28-29 ) che prima l'agiografo dice doversi dare al sacerdote. ( Lv 7,31 )

Ora invece io penso che fosse chiamato " petto dell'imposizione " poiché se ne poneva il grasso [ sull'altare ] come l'agiografo ha detto più sopra a proposito del sacrificio di salvezza. ( Lv 4,10 )

Poiché dunque pare che il sommo sacerdozio cominciò con Aronne, cosa pensiamo che fu Mosè?

Se non era sacerdote, in che modo erano compiuti da lui tutti quei riti?

Se invece lo era, in che modo affermiamo che il sommo sacerdozio cominciò con suo fratello?

Sebbene anche il Salmo in cui è detto: Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti, ( Sal 99,6 ) elimini il dubbio che anche Mosè fosse sacerdote, tuttavia ad Aronne e ai sommi sacerdoti suoi successori ( Es 28,3-39 ) è ordinato di ricevere la veste sacerdotale che racchiude un gran mistero.

Nell'Esodo, prima che si prescrivesse alcunché circa la consacrazione e, in certo qual modo, l'ordinazione dei sacerdoti, allorché salendo Mosè sul monte, si ordina che non vi salgano i sacerdoti, ( Es 19,24 ) non possiamo pensare siano altri se non i figli di Aronne, non perché già lo fossero, ma perché lo sarebbero stati e perciò la Scrittura li ha chiamati così già da allora per anticipazione, come [ nella Scrittura ] si trovano molti esempi di simili modi di dire; così, per esempio, anche Giosuè, figlio di Nave, fu chiamato così, ( Es 33,11 ) anche se, come dice la Scrittura, questo nome gli fu imposto molto tempo dopo. ( Nm 13,17 )

Mosè e Aronne, dunque, erano allora ambedue sommi sacerdoti.

O piuttosto il sommo sacerdote era Mosè e Aronne invece lo era alle sue dipendenze?

Oppure era anche lui sommo sacerdote per la sua veste di pontefice e Mosè per il suo ministero più eccellente?

Fin dal principio infatti a Mosè il Signore disse: Egli parlerà per te quanto a ciò che concerne il popolo, e tu sarai per lui intermediario per le relazioni con Dio. ( Es 4,16 )

23.3. Può essere posto anche il quesito seguente: chi, dopo la morte di Mosè, ungeva il successore del sommo sacerdote, che naturalmente poteva succedere solo a quello defunto?

Forse perché era già stato unto tra i sacerdoti di secondo grado - in quanto era il medesimo l'olio con cui si ungevano tanto il sommo sacerdote che quelli di secondo grado - ma soltanto il pontefice indossava la veste dalla quale appariva la suprema sua autorità?

E se la cosa sta così, la veste la indossava da sé oppure gliela metteva un altro, come Mosè la mise al figlio di suo fratello dopo la morte di questi?

Se dunque veniva vestito da un altro sarebbe potuto essere forse sommo sacerdote chi veniva vestito da un sacerdote di secondo rango?

Soprattutto poiché la veste era fatta in modo tale che per indossarla era necessario che fosse aiutato da un'altra persona.

Ci si vestiva forse così prima come anche dopo? Effettivamente non è che una volta indossata quella veste [ poi ] non se la togliesse o che, dopo essersela tolta, non tornasse poi ad indossarla.

Poteva dunque forse accadere che i sacerdoti di secondo rango vestissero quello di primo grado a titolo di ossequio, non di superiorità.

Ma da che cosa appariva chi dei figli doveva succedere al sommo sacerdote?

In realtà la Scrittura non ha determinato che fosse il primogenito o il maggiore, salvo il credere che la designazione soleva avvenire in base alla decisione di Dio, manifestata mediante un Profeta o in qualunque altro modo in cui si suole consultare Dio.

Sennonché sembra che la faccenda non risultasse priva di discussioni, sicché in seguito parecchi furono i sommi sacerdoti poiché nella disputa del potere supremo fra gli eccellenti, allo scopo di dirimere la contesa, si conferiva a molti quell'onore.

24. ( Lv 8,35 ) La locuzione stare seduti nell'uso delle Scritture

Che cosa significa ciò che dice Mosè ad Aronne e ai suoi figli quando vengono consacrati per iniziare il loro servizio sacerdotale: Per sette giorni starete seduti giorno e notte all'ingresso della Tenda della Testimonianza, altrimenti morirete.

È forse credibile che sia stato prescritto loro di rimanere seduti giorno e notte per sette giorni in un solo luogo, in una posizione, dalla quale non si sarebbero dovuti muovere affatto?

Da questo testo non segue tuttavia che siamo obbligati a pensare che sia indicato in senso allegorico qualcosa che non si debba fare ma solo capire; ma che piuttosto dobbiamo riconoscere un modo di esprimersi proprio delle Scritture quando usano la locuzione stare seduti invece di " abitare; trattenersi in un luogo ".

Così, per esempio, non per il fatto che la Scrittura dice che Semei sedette tre anni in Gerusalemme ( 1 Re 2,38 ) si deve credere che per tutto quel tempo restò seduto sopra una sedia senza alzarsi mai.

Per questo motivo si chiamano " sedi " anche i luoghi in cui dimorano coloro che vi risiedono; con questo nome fu denotata infatti l'abitazione.

25. ( Lv 9,1 ) Il termine senatus

E avvenne che Mosè nell'ottavo giorno chiamò Aronne e i suoi figli, e il senato d'Israele.

Quello, che alcuni nostri scrittori tradussero con il termine senato, il testo lo chiama γερουσίαν.

Il traduttore latino ricalcò dunque questo termine, poiché anche senatus [ il senato ] pare che derivi da senium [ vecchiaia ].

In latino però non sarebbe esatto dire: " chiamò la vecchiaia d'Israele " invece di: " [ chiamò ] i vecchi, gli anziani ".

Sennonché analogo sarebbe il modo di dire: " chiamò la gioventù d'Israele ", invece di: " [ chiamò ] i giovani "; ma questo modo di dire è usato in latino comunemente, quello invece no.

Poiché questo modo di dire sarebbe appropriato, se si potesse dire: " la vecchiaia " d'Israele.

Alcuni, perciò, pensando che talora si traduce anche con senato, tradussero l'ordine degli anziani.

Tuttavia si sarebbe forse potuto dire meglio brevemente: "chiamò gli anziani d'Israele ".

26.1. ( Lv 9,3-4 ) Tre specie di sacrifici

Mosè dice ad Aronne: E al consiglio degli anziani d'Israele parla in questi termini: prendi tra le capre un capro [ da offrire in sacrificio ] per il peccato, e un montone e un vitello e un agnello di un anno, senza difetto, per l'olocausto, e un vitello e un ariete per il sacrificio di salvezza davanti al Signore, e del fior di farina impastato con l'olio, poiché oggi il Signore si farà vedere in mezzo a voi.

In precedenza sono ricordate ( Lv 1-4 ) quattro specie di sacrifici di animali: l'olocausto, il sacrificio per il perdono dei peccati, il sacrificio per la salvezza e il sacrificio della perfezione; ma il sacrificio della perfezione era quello offerto per la consacrazione del sacerdote.

Qui dunque si prescrive che vengano offerte le tre rimanenti specie di sacrifici e ciò viene detto agli anziani d'Israele affinché arrivasse a tutto il popolo.

In questo passo però, al sacrificio per il perdono dei peccati sono destinati tre animali: un capro, un montone e un vitello; all'olocausto invece è destinato un agnello, e al sacrificio della salvezza il vitello e l'ariete.

Non si devono perciò separare [ le parole del passo ] in modo da intendersi destinato al sacrificio per il peccato solo il capro, e invece le rimanenti tre specie di animali, cioè il montone, il vitello e l'agnello destinate per l'olocausto, ma piuttosto le prime tre specie riservate per il peccato, in modo che nell'espressione: Prendete un capro tra le capre per il peccato e un ariete e un vitello, si sottintenda per il peccato, rimanendo così l'agnello per l'olocarposi, cioè per l'olocausto.

Ci è parso doveroso fare questa osservazione poiché le parole della frase potrebbero essere separate anche in modo che, dopo l'espressione: prendete un capro tra le capre per il perdono dei peccati, il resto della frase potrebbe riguardare solamente l'olocausto.

Al contrario l'espressione aggiunta: senza difetto, potrebbe riferirsi a tutti gli animali.

Siccome dunque non è sicuro quale sia il modo migliore di dividere le parole della frase, i primi tre animali ci sembrano destinati al sacrificio per il peccato, dato che prima è comandato di offrire un capro per il peccato d'un capo, ( Lv 4,23 ) ma per il peccato personale di ciascuno, fatto al cospetto del Signore, cioè un'azione di quelle proibite, il Signore comandò di offrire un montone, ( Lv 5,18 ) mentre per il peccato di tutta la comunità un vitello. ( Lv 4,14 )

Era pertanto conveniente che, dicendo Aronne agli anziani che cosa tutto il popolo dovesse offrire, fosse ordinato di offrire un capro per i capi, un montone per il peccato personale di ciascuno e un vitello per il peccato di tutta la comunità.

Infatti una cosa è che ciascun membro del popolo abbia un suo peccato personale - e tutti possono avere peccati personali - un'altra cosa è quando il peccato è comune e si commette con la stessa intenzione e con il medesimo sentimento da una folla adunata insieme.

26.2. Quanto invece al fatto che Mosè ordina di offrire un vitello e un montone come sacrifici di salvezza, ordina di offrire gli animali più importanti poiché si tratta di tutto quanto il popolo.

In precedenza però, parlando dei sacrifici di salvezza, comandò di offrire animali di qualsiasi specie, sia maschi che femmine, purché fossero offerti bovini, ovini o caprini. ( Lv 3,1-11.12-17 )

Se però si cerca di sapere il motivo per il quale sia prescritto di offrire due animali, un vitello e un montone, è difficile trovarlo, salvo forse pensare che fu prescritto di offrire un vitello come sacrificio di salvezza di tutto quanto il popolo; il montone invece per ciascun individuo in particolare come se si trattasse di tutti, presi singolarmente; poiché sembra che anche prima era stato comandato di offrire - per così dire - due specie di sacrifici di salvezza: uno che in un certo senso fosse di tutti quanti, e lo chiamò sacrificio di salvezza, ( Lv 3,1 ) e un altro quando disse: Se uno offrirà il sacrificio della propria salvezza. ( Lv 7,29 )

In questo testo notavamo anche una differenza, poiché in quel passo in cui si parla del sacrificio di salvezza, non si accenna che il grasso del petto della vittima dev'essere offerto al Signore e che lo stesso petto e il braccio destro devono darsi al sacerdote; ( Lv 7,30-31 ) ma in quel passo è ordinato di fare ciò che poi è chiamato sacrificio della propria salvezza,2 che forse si pensa essere un sacrificio privato, offerto dalle singole persone, non pubblico, di tutti quanti.

Poiché anche Mosè offrì sacrifici di salvezza - ma allora non erano qualificati come della propria salvezza - credo che li offrì per tutto il popolo, poiché dove sono tutti c'è anche ciascuno, dove però è ciascuno non ne segue senz'altro che ci siano tutti quanti.

Poiché le singole persone possono esistere senza la totalità, mentre la totalità non può non essere composta delle singole persone, in quanto le singole persone radunate insieme o contate nella somma fanno la totalità.

26.3. Naturalmente si deve osservare che, quando si offrono i sacrifici per il popolo viene ordinato anche di offrire sacrifici per il peccato, l'olocausto e i sacrifici di salvezza; per il sacerdote invece è offerto il sacrificio per il peccato, l'olocausto e il sacrificio della consacrazione rituale, ma non quello di salvezza.

Il sacrificio della consacrazione però veniva offerto quando i sacerdoti venivano consacrati perché esercitassero il sacerdozio e questi sono i sacrifici offerti da Mosè per Aronne e i suoi figli. ( Lv 8 )

In seguito però allo stesso Aronne, già consacrato e nell'esercizio del sacerdozio, fu ordinato di offrire per se stesso un vitello per il peccato e un montone per l'olocausto, ma non gli fu comandato di offrire il sacrificio della consacrazione rituale, perché questo era stato offerto per essere consacrato sacerdote e potere esercitare il sacerdozio; ma, poiché già lo esercitava, non era necessario che fosse consacrato di nuovo.

27.1. ( Lv 9,7-21 ) Prima si deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l'olocausto

E Mosè disse ad Aronne: " Accóstati all'altare e offri il sacrificio per il tuo peccato e il tuo olocausto e compi il rito di espiazione per te e per il tuo casato ".

È sorprendente come l'agiografo prima dice che si deve fare il sacrificio per il peccato e poi l'olocausto, dal momento che poco prima è prescritto di porre le cose da sacrificare per i peccati al di sopra degli olocausti, ( Lv 4,35 ) eccetto quando si ordina di offrire degli uccelli.3

Oppure forse l'agiografo qui menziona dopo il sacrificio che si offriva prima cioè l'olocausto?

Non dice infatti qui come aveva detto degli uccelli: fa' prima questo e poi quello, ma: fa' questo e quello.

Che cosa, d'altra parte, si debba far prima lo indica l'istruzione esposta più sopra, ove si dice che ciò che si offre per il sacrificio per espiare i peccati si deve porre sopra l'olocausto.

Sennonché suscita un grande imbarazzo il fatto che la Scrittura dice che anche Aronne fece così come aveva udito di dover fare, ricordando che prima deve fare il sacrificio espiatorio per il peccato e poi l'olocausto.

Non si potrebbe ritenere come un fatto sicuro che facesse anche lui prima quel sacrificio o se la Scrittura ha detto prima ciò che fu fatto dopo, come è solita fare in molti casi, se ciò che ho detto non si leggesse prima, quando essa tratta del sacrificio per il peccato.

In realtà vi si legge così: E il sacerdote porrà l'offerta sull'altare al di sopra dell'olocausto del Signore e il sacerdote farà l'espiazione per il peccato commesso da lui e gli sarà perdonato. ( Lv 4,35 )

In qual modo dunque potrebbe ciò essere posto sopra l'olocausto, se prima non vi fosse posto l'olocausto?

Ma anche a proposito del sacrificio per la salvezza era prescritto che fosse posto sopra l'olocausto. ( Lv 3,5 )

Ma siccome ciò non si dice in tutti i passi né per tutti i sacrifici di salvezza, né per tutti i sacrifici per l'espiazione del peccato, si può forse affermare che ciò non era comandato come una regola generale, ma è detto che si facesse in quel modo soltanto in quell'occasione, vale a dire nel sacrificio di salvezza, quando si sacrifica un giovenco - poiché così era ordinato per quel caso - e nel sacrificio per il peccato, quando si sacrifica una femmina degli ovini; non è invece necessario che siano poste sopra l'olocausto tutte le altre vittime da sacrificare sia per il sacrificio di salvezza, sia per il peccato.

27.2. Si rimane imbarazzati anche dal fatto che quando Aronne fa l'offerta per il popolo, menzionata più sopra, non viene ricordato che furono immolate tutte le vittime che erano prescritte, ma solo il capro per il peccato e l'olocausto, e tuttavia in quel caso non si parla chiaramente dell'agnello, e al contrario non si parlò di altre due vittime che abbiamo detto4 appartenere al sacrificio per il peccato piuttosto che all'olocausto, cioè il montone e il vitello, salvo che per caso l'agiografo volesse intendere la parte per il tutto e così, parlando solo del capro, capissimo che erano state immolate anche quelle altre vittime.

27.3. L'agiografo, raccontando in qual modo Aronne compì i sacrifici di salvezza del popolo, a proposito del vitello e dell'ariete dice: E sgozzò il vitello e il montone per il sacrificio di salvezza del popolo e i figli di Aronne gli portarono il sangue ed egli lo sparse intorno all'altare, poi il grasso preso dal vitello e dal montone, il lombo e il grasso che ricopre il ventre e i due rognoni e il grasso che li ricopre e il lobo del fegato; e pose quei grassi sopra il petto [ delle vittime ] e fece porre quei grassi sull'altare; e Aronne prelevò il petto e la spalla destra, come prelevamento davanti al Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosè.

L'agiografo, parlando dei due animali, il vitello e il montone, parla talora al singolare, tal'altra al plurale.

Quando dunque parla di due rognoni si deve intendere presi da ambedue gli animali e perciò i rognoni sono quattro; e così è di tutti gli altri.

Che significa però la frase: e pose quei grassi sopra il petto [ delle vittime ], dal momento che [ Aronne] non pose i petti sull'altare, poiché erano dovuti al sacerdote con le spalle destre? ( Lv 7,31-34 )

Si deve forse intenderla nel senso seguente: e pose i pannicoli adiposi che sono sul petto [ degli animali ]?

In effetti furono essi quelli che egli pose per collocarli sull'altare dopo averli tolti dai petti.

Così infatti era stato comandato anche prima.

L'agiografo poi continua dicendo: e pose i pannicoli adiposi sull'altare e Aronne prelevò il petto e la spalla destra come un prelevamento davanti al Signore, introducendo ora al singolare e dicendo appunto il petto dei due animali, mentre prima aveva detto i petti.

28. ( Lv 9,22 ) Come celebrare il culto divino all'altare

L'agiografo poi dice: E Aronne, elevate le mani sul popolo li benedisse, e discese dopo aver sacrificato la vittima per il peccato, gli olocausti e gli animali della salvezza.

Che significa ciò? Dove compì quei riti se non sull'altare? Cioè stando in piedi presso l'altare e servendo all'altare?

Discese dunque da dove stava.

Questo testo sembra senza dubbio confermare la soluzione del quesito posto da noi a proposito di un passo dell'Esodo, in cui ci chiedevamo come si potesse celebrare il culto divino all'altare che era alto tre cubiti.

In quel passo non ci era lecito ammettere che [ all'altare ] fosse annesso un gradino poiché Dio lo aveva vietato, affinché sopra l'altare non rimanessero scoperte le parti vergognose del celebrante, cosa che sarebbe potuta accadere se ci fossero stati dei gradini facenti corpo con l'altare, se cioè con esso fossero stati saldamente uniti.5

Ciò fu proibito quando si parlava d'un altare composto di varie parti, poiché l'altare sarebbe risultato una sola cosa con i gradini, che ne sarebbero stati una parte e perciò furono proibiti.

Al contrario, dove l'altare era tanto elevato che, se il sacerdote non fosse potuto stare in piedi su qualche supporto, non avrebbe potuto officiare convenientemente, si deve intendere che qualunque supporto si poneva e si toglieva durante l'officiatura rituale, non era parte dell'altare e non era quindi contro il comandamento con cui era proibito che l'altare avesse il gradino; la Scrittura però non indicò quel particolare - qualunque cosa fosse - e perciò è sorto il problema.

Ma ora quando la Scrittura dice che il sacerdote discese dopo aver compiuto i sacrifici, cioè dopo aver posto sull'altare le vittime immolate, senza dubbio dice apertamente che egli era rimasto ritto in piedi su qualche sostegno dal quale era disceso e, poiché era stato lì in piedi, aveva potuto quindi servire all'altare di tre cubiti officiando il rito sacro.

29. ( Lv 9,24 ) Significato di estasi

E tutto il popolo vide e divenne come dissennato; altri traduttori hanno detto: si spaventò, cercando di trasportare dal greco in latino la forma verbale έξέστη da cui deriva anche la parola έκστασις, termine spesso usato dalle Sacre Scritture latine con il senso: il fatto di uscire fuor di sé.

Indice

1 Cod. Lugdunensis
2 Quest. 3,22
3 Lv 5,8-10;
Quest. 3,4
4 Quest. 3,26,1
5 Quest. 2,113