La Trinità

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Libro IV

6.10 - Il triduo della risurrezione in cui pure appare il rapporto di semplice a doppio

Ora questo periodo di tre giorni non fu pieno ed intero, come testimonia la Scrittura.

Il primo giorno consta della sola fine di una giornata ed il terzo dell'inizio di una giornata ed ambedue si computano come due giorni interi.

Il giorno intermedio, cioè il secondo, è il solo perfettamente completo, di ventiquattro ore, dodici di giorno e dodici di notte.

Infatti il Signore è stato prima condannato alla croce dai clamori dei Giudei all'ora terza e si era nel giorno sesto della settimana. ( Mc 15,25 )

Poi fu appeso alla croce all'ora sesta e spirò all'ora nona. ( Mt 27,46-50; Mc 15,34-37 )

Fu invece sepolto quando era già sera, ( Mc 15,42-46 ) secondo il tenore delle parole del Vangelo, ossia: alla fine del giorno.

Comunque si consideri la questione, anche supponendo che si possa spiegare diversamente come non sia contrario al Vangelo di Giovanni porre la crocifissione all'ora terza, ( Gv 19,14 ) il primo giorno non lo prendi intero.

Dunque per il primo giorno si considera come un giorno intero la sua ultima parte, come per il terzo giorno la sua prima parte.

Infatti appartiene al terzo giorno la notte fino all'alba, quando fu resa manifesta la risurrezione del Signore, perché Dio, che ha detto che la luce brilla nelle tenebre, ( 2 Cor 4,6 ) affinché la grazia del Nuovo Testamento e la partecipazione alla risurrezione di Cristo ci facciano intendere queste parole: Eravate un tempo tenebre ma ora siete luce nel Signore, ( Ef 5,8 ) ci suggerisce in qualche modo che il giorno incomincia dalla notte.

Come infatti i primi giorni della creazione a causa della futura caduta dell'uomo si computavano dalla luce alla notte, ( Gen 1,4-5 ) così questi della risurrezione per la redenzione dell'uomo si computano dalla notte alla luce.

Perciò dall'ora della morte fino al mattino della risurrezione vi sono quaranta ore, comprendendovi anche la stessa ora nona.

Questo numero coincide anche con i quaranta giorni della sua vita sopra la terra dopo la risurrezione.

Ed è assai frequente nella Scrittura l'uso di questo numero per significare il mistero della perfezione del mondo diviso in quattro parti.

Perché il numero dieci ha una sua perfezione e moltiplicato per quattro dà quaranta.

Ora dalla sera della sepoltura fino all'alba della risurrezione sono trentasei ore, numero che equivale al quadrato di sei.

Questo rientra nel rapporto tra l'uno e il due, in cui si riscontra la proporzione più armoniosa.

Infatti il dodici sta al ventiquattro come l'uno al due e, sommati insieme, fanno trentasei; una notte intera, un giorno intero, un'altra notte intera; e da tutto questo non è assente il simbolismo che ho sopra ricordato.

Non è infatti assurdo paragonare lo spirito al giorno, il corpo alla notte.

Il corpo del Signore nella sua morte e risurrezione era figura del nostro spirito e modello del nostro corpo.

Anche così appare dunque il rapporto dell'uno al due in queste trentasei ore, se si pone il dodici in rapporto con il ventiquattro.

Per quanto riguarda le ragioni per cui questi numeri sono ricordati nella Sacra Scrittura, forse qualcuno ne scoprirà di preferibili alle mie, o altrettanto probabili o anche più probabili di queste.

In ogni caso nessuno sarà così sciocco e di cattivo gusto da sostenere che la loro presenza nella Sacra Scrittura è priva di importanza e che la loro frequenza non è caratterizzata da intenzioni mistiche.

Le ragioni che da parte mia ho offerto le ho ricavate dall'autorità della Chiesa, che ci hanno tramandato gli antichi, dalla testimonianza della Scrittura, dalle leggi dei numeri e delle proporzioni.

Ora contro la ragione non andrà mai il buon senso, contro le Scritture il senso cristiano, contro la Chiesa il senso della pace.

7.11 - Dispersi nella moltitudine, per mezzo di un unico Mediatore siamo reintegrati nell'Unità

Di questo sacramento, di questo sacrificio, di questo sacerdote, di questo Dio, prima che fosse mandato e fosse venuto nascendo da una donna, furono immagini sia tutte le sacre e mistiche apparizioni avute dai nostri padri per prodigi angelici sia le opere da essi stessi compiute, cosicché ogni creatura in qualche modo parlasse con i fatti di quell'uno che sarebbe stato l'unica salvezza di quanti dovevano essere strappati alla morte.

Poiché infatti distaccandoci dall'unico, sommo e vero Dio per reato di empietà ed opponendoci a lui ci eravamo dispersi e vanificati in una moltitudine di cose, distratti in esse, attaccati ad esse, occorreva che al cenno ed al comando del misericordioso Dio le stesse cose nella loro moltitudine invocassero la venuta di quell'uno,

che egli alla sua venuta fosse salutato dalle molte cose,

che tutte le cose lo testimoniassero come già venuto;

che noi, liberati dalle molte cose, ci serrassimo attorno a quell'uno;

che morti nell'anima per molti peccati e destinati a morire nel corpo in pena del peccato, amassimo quest'uno, morto per noi nella carne senza peccato;

che noi credendo in quell'uno risorto e con lui spiritualmente risorgendo per fede, fossimo giustificati diventando una cosa sola nell'unico Giusto; ( Col 2,12 )

che noi non disperassimo di poter risuscitare anche nella carne, ( 1 Cor 12,12 ) vedendoci preceduti, noi moltitudine di membra, da lui come unico capo; in cui, purificati adesso per mezzo della fede, e reintegrati in futuro per mezzo della visione, riconciliati con Dio per la sua funzione di Mediatore, dobbiamo aderire all'Uno, ( Gal 3,20 ) godere dell'Uno, perseverare nell'Unità.

8.12 - Cristo vuole riportarci all'unità

Così lo stesso Figlio di Dio, Verbo di Dio e nello stesso tempo Mediatore di Dio e degli uomini come Figlio dell'uomo, uguale al Padre ( 1 Tm 2,5 ) per l'unità della divinità e nostro simile per l'umanità che assunse, pregando il Padre per noi con la sua umanità, senza tacere tuttavia di essere con il Padre una sola cosa nella divinità, tra le altre cose dice: Non soltanto per questi prego ma anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola, affinché tutti siano una cosa sola, come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché anche loro siano una cosa sola in noi; affinché il mondo creda che tu mi hai mandato.

E la gloria che tu mi desti, io l'ho data a loro affinché siano una cosa sola, come noi siamo una cosa sola. ( Gv 17,20-22 )

9 - Natura dell'unità in Cristo

Non disse: "Che io e loro siamo una cosa sola", sebbene come capo della Chiesa ed essendo la Chiesa il suo corpo ( Ef 5,23; Col 1,18 ) potesse dire: "Che io e loro siamo, non una cosa sola, ma uno solo", perché il capo e il corpo è un solo Cristo. ( 1 Tm 2,5; 1 Cor 8,6; 1 Cor 12,20 )

Ma manifestando la sua divina consustanzialità con il Padre ( riferendosi a questo, in un altro passo dice: Io e il Padre siamo una sola cosa ( Gv 10,30 ) ), consustanzialità di un genere proprio a lui, cioè uguaglianza consustanziale nella medesima natura, vuole che i suoi siano una sola cosa, ma in lui.

Infatti in se stessi ne sarebbero incapaci, disuniti l'uno dall'altro dalle opposte volontà, dalle passioni, dalle immondezze dei peccati.

Per questo sono purificati dal Mediatore per essere una sola cosa in lui, non solo nell'unità della natura, nella quale da uomini mortali diventano uguali agli Angeli, ( Lc 20,36; Mt 22,30; Mc 12,25 ) ma anche per l'identità di una volontà che cospira in pieno accordo alla medesima beatitudine, fusa in qualche modo in un solo spirito dal fuoco della carità.

È questo il senso dell'espressione: Che essi siano una sola cosa come noi siamo una sola cosa; come il Padre e il Figlio sono una sola cosa non solo per l'uguaglianza della sostanza, ma anche per la volontà, così questi che hanno il Figlio come Mediatore tra sé e Dio, siano una cosa sola non soltanto perché sono della stessa natura ma anche per la comunanza di uno stesso amore.

Dopo il Signore ci indica che egli è il Mediatore grazie al quale siamo riconciliati con Dio, con queste parole: Io in essi e tu in me, affinché siano consumati nell'unità. ( Gv 17,23 )

10.13 - L'uomo schiavo del demonio

In questo consiste la vera pace e per noi il solido legame con il Creatore, una volta purificati e riconciliati ad opera del Mediatore della vita, così come macchiati e separati ci eravamo allontanati da lui ad opera del mediatore della morte.

Infatti come il diavolo superbo condusse alla morte l'uomo insuperbito, così Cristo umile ricondusse alla vita l'uomo obbediente, perché come quello cadde dall'alto del suo orgoglio e ha fatto cadere l'uomo consenziente, così questi si rialzò dalla sua umiliazione ed ha rialzato l'uomo credente. ( Gen 3,1ss; Sap 2,24; Eb 2,14 )

Il diavolo non era giunto fin dove aveva condotto l'uomo ( infatti, se era morto spiritualmente nella sua empietà, non era morto corporalmente, in quanto non aveva assunto la veste del corpo ), e così faceva figura agli occhi dell'uomo di principe in mezzo alla legione dei demoni attraverso i quali impone il regno delle sue imposture.

In questo modo gonfia vieppiù con vampate di orgoglio l'uomo, più desideroso di potenza che di giustizia; lo gonfia con la falsa filosofia oppure seducendolo con riti sacrileghi, precipitandovi anche, ingannate e beffate, anime troppo curiose degli artifici della magia e troppo presuntuose, e così tiene l'uomo in suo potere e promette perfino la purificazione dell'anima mediante un rito chiamato τελετή, mentre si trasforma in angelo di luce ( 2 Cor 11,14 ) per mezzo di una eterogenea messa in scena con miracoli e prodigi menzogneri. ( 2 Ts 2,9 )

11.14 - I prodigi dei demoni si debbono disprezzare

Infatti è facile agli spiriti del male operare per mezzo dei corpi aerei una moltitudine di cose che suscitano ammirazione nelle anime appesantite dai corpi di materia terrestre, anche in quelle meglio disposte. ( Sap 9,15; 2 Cor 5,4 )

Perché se anche i corpi di materia terrestre, ben addestrati con l'arte e il continuo esercizio, possono eseguire davanti al pubblico spettacoli teatrali ed esercizi così straordinari che a narrarli a uomini che non ne hanno mai visti sembrano quasi incredibili, che c'è di eccezionale per il diavolo e i suoi angeli nel trarre dagli elementi della materia, per mezzo di corpi aerei, prodigi di cui l'uomo si meravigli ed anche nel comporre per mezzo di segreti influssi fantasmagorie di immagini, capaci di ingannare gli uomini durante la veglia o durante il sonno, oppure di sovraeccitare i dementi?

Ma come può accadere che un uomo di condotta e costumi irreprensibili guardi degli individui perversi camminare su una corda e compiere molte cose straordinarie contorcendo in mille modi il loro corpo e tuttavia non desideri fare altrettanto, né per queste cose li consideri superiori a sé, così l'anima credente e pia può non solo vederli ma anche, per la fragilità della carne, provare davanti ai prodigi dei demoni un brivido di orrore, senza tuttavia rammaricarsi di non poter fare altrettanto o credersi inferiore ad essi, tanto più che essa fa parte della società dei santi i quali, uomini o Angeli, per la forza di Dio cui tutto è sottomesso, compirono cose per nulla ingannevoli e molto più importanti. ( 1 Cor 15,27-28 )

12.15 - Il diavolo mediatore di morte

Non sono dunque per nulla questi simulacri sacrileghi, queste curiosità empie, queste cerimonie magiche che purificano l'anima e la riconciliano a Dio, perché il falso mediatore non trascina verso le vette ma anzi vi pone ostacolo chiudendone l'accesso con le passioni che, tanto più pericolose quanto più orgogliose, ispira ai suoi complici.

Esse, incapaci di irrobustire le ali della virtù per volare, hanno come effetto di aumentare, per sommergere, il peso dei vizi dell'anima, che si inabissa tanto più in basso, quanto più in alto crede di essere giunta.

Perciò come fecero i Magi, divinamente istruiti, che una stella condusse ad adorare l'umiltà del Signore, così anche noi dobbiamo ritornare alla patria non per dove siamo venuti ma per un'altra strada, ( Mt 2,12 ) quella che ci ha insegnato il re umile e che il re superbo, nemico del re umile, non può intercettare.

Anche a noi infatti, per farci adorare il Cristo umile, i cieli hanno narrato la gloria di Dio, diffondendosi la loro voce per tutta la terra e le loro parole fino ai confini del mondo. ( Sal 19,5 )

In Adamo il peccato ci ha aperto un cammino di morte: Per mezzo di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e a causa del peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 )

Il mediatore di questa via è stato il diavolo che ci ha spinto al peccato e precipitato nella morte. ( Gen 3,1ss; Sap 2,24; Eb 2,14 )

Certo egli per perpetrare la nostra duplice morte ha avuto soltanto bisogno della sua unica morte.

Egli morì a causa dell'empietà nello spirito ma non morì nel corpo; però ha spinto noi all'empietà e a causa di essa ha fatto sì che meritassimo di giungere alla morte del corpo.

Una cosa abbiamo dunque desiderato per questa cattiva suggestione, l'altra ci ha perseguito per giusta condanna; ecco perché è stato scritto: Dio non ha fatto la morte, ( Sap 1,13 ) perché egli non fu causa della morte e tuttavia è per suo castigo che il peccatore fu condannato ad una morte legittima.

Nello stesso modo il giudice condanna il reo al supplizio, tuttavia causa del supplizio non è la giustizia del giudice ma il merito del crimine.

Dove dunque il mediatore della morte del corpo ci ha condotto e dove egli non è arrivato, cioè proprio alla morte del corpo, il Signore Dio nostro ha posto la medicina della nostra guarigione, che non fu concessa al diavolo per occulta e assolutamente impenetrabile disposizione dell'alta giustizia divina.

Come la morte venne da un solo uomo, così pure da un solo uomo doveva venire la risurrezione dei morti. ( 1 Cor 15,21 )

Poiché gli uomini si affannavano ad evitare ciò che non potevano evitare, la morte del corpo più che la morte dello spirito, ossia il castigo più che la causa del castigo ( perché di non peccare non ci si preoccupa affatto o ci si preoccupa poco; di non morire invece, sebbene sia una cosa irrealizzabile, ci si preoccupa disperatamente ) il Mediatore della vita, insegnandoci a non temere la morte, inevitabile nell'attuale condizione umana, ma piuttosto l'empietà da cui ci si può guardare con la fede, ci è venuto incontro verso il fine cui tendiamo, ma non per la strada per cui camminavamo.

Noi infatti siamo giunti alla morte per il peccato, lui per la giustizia.

Perciò mentre la nostra morte è pena del peccato, la sua morte diviene ostia per il peccato. ( Rm 5,12.18.21; Eb 10,12 )

13.16 - Cristo morì perché lo volle

Per questo motivo, se l'anima si ha da anteporre al corpo, se la morte dell'anima consiste nell'essere abbandonata da Dio mentre la morte del corpo consiste nell'essere abbandonato dall'anima, e se infine nella morte del corpo la pena consiste nel fatto che lo spirito lasci forzatamente il corpo in quanto ha lasciato volontariamente Dio, sicché, avendo abbandonato Dio per sua volontà abbandoni il corpo anche contro la sua volontà e per propria volontà non possa abbandonarlo se non facendo violenza a se stesso con il suicidio, l'anima del Mediatore ha provato che non era la pena del peccato che lo conduceva alla morte del corpo, perché egli non lo ha abbandonato contro la sua volontà ma perché lo ha voluto, quando lo ha voluto, come lo ha voluto.

Essendo composto in unità con il Verbo di Dio, ha potuto dire: Ho il potere di lasciare la mia vita e di riprenderla.

Nessuno me la toglie ma sono io che la lascio e la riprendo. ( Gv 10,18.17 )

E di questo rimasero sommamente stupiti, come narra il Vangelo, coloro che erano presenti quando, subito dopo quel grido ( che è figura del nostro peccato ), spirò. ( Mt 27,50; Mc 15,37; Lc 23,46 )

Infatti coloro che venivano crocifissi, morivano dopo una lunga agonia, come testimoniano i due ladroni ai quali furono rotte le gambe per affrettarne la morte e poterli deporre dalla croce prima del sabato.

Quanto a Cristo, parve straordinario trovarlo già morto. ( Gv 19,30-33 )

Anche Pilato, secondo il testo, ne fu meravigliato, quando gli fu chiesto il corpo del Signore per seppellirlo. ( Mc 15,43; Mt 27,58; Lc 23,52; Gv 19,38 )

13.17 - Vittoria di Cristo sul diavolo

E così quell'impostore che è stato causa di morte e si oppone alla vita sotto false parvenze di purificazione in riti e sacrifici sacrileghi che seducono i superbi, escluso dal partecipare con noi alla nostra morte e alla risurrezione spirituale, poté dare per la nostra duplice morte la sua unica morte, ma non poté dare in sé un'unica risurrezione che fosse sacramento della nostra rinascita ed esempio della risurrezione finale.

Al contrario, colui che vivo nello spirito ha risuscitato il suo corpo dalla morte, il vero Mediatore della vita, ha cacciato dalle anime dei suoi fedeli colui che era morto nello spirito e mediatore di morte, per non permettergli di regnare all'interno, lasciando così che attaccasse dal di fuori senza che mai potesse conseguire vittoria.

Cristo stesso si è offerto alle sue tentazioni per essere nostro mediatore, nel superamento delle tentazioni di lui, non solo con il suo aiuto ma anche con il suo esempio.

Il diavolo, dopo aver prima cercato di introdursi all'interno per tutte le vie di accesso ed essere stato cacciato, esauritasi nel deserto dopo il battesimo la tentazione piena di tutte le lusinghe ( poiché lui che era morto nello spirito non poté trionfare su quello spirito che era vivo ), avido di mandare l'uomo a morte si valse dell'attuazione di quella morte che è in suo potere, e il Mediatore di vita fu lasciato alla discrezione di lui in ciò che aveva assunto di mortale da noi.

Ma proprio lì, sul campo concesso alle sue imprese, il diavolo fu battuto completamente, perché fu proprio nel ricevere il potere esteriore di uccidere il corpo mortale del Signore che il suo potere interiore con cui ci teneva schiavi fu abbattuto. ( 2 Tm 2,26 )

Infatti è accaduto che le catene tra innumerevoli peccati e innumerevoli morti sono state rotte con la morte di uno solo, ( 1 Pt 2,22; 2 Cor 5,21 ) assolutamente libero dal peccato.

Il Signore soffrì per noi tale morte indebita, affinché non nuocesse a noi la morte a noi dovuta.

Non esisteva potere che avesse il diritto di spogliarlo del suo corpo; se n'è spogliato lui stesso.

Infatti Colui che avrebbe potuto non morire, se lo avesse voluto, senza alcun dubbio morì perché lo volle, dando così una bella lezione ai principati e alle potestà che egli aveva schiacciato totalmente nella sua persona. ( Col 2,15 )

Con la sua morte, l'unico sacrificio assolutamente vero offerto per noi, tutto ciò che c'era in noi di colpevole e che dava il diritto ai principati e alle potestà di costringerci a espiare con i supplizi, egli ha pulito, abolito, estinto, e con la sua risurrezione a una vita nuova ha chiamato noi, i predestinati, chiamati ci ha giustificati, giustificati ci ha glorificati. ( Rm 8,30 )

Ecco come la stessa morte corporale ha tolto al diavolo l'uomo, che egli dominava con pieno diritto dopo averlo sedotto con il consenso di lui, l'uomo troppo povero, troppo debole, che egli, libero perfettamente dalla corruzione della carne e del sangue, con l'aiuto della debolezza del corpo mortale schiacciava ( con uno sdegno tanto più grande quanto maggiore era, per così dire, la sua fortuna e la sua forza ) come un cencioso e un miserabile.

Dove infatti senza seguirlo spinse l'uomo peccatore nel momento della sua caduta, ivi ridusse con le persecuzioni il Redentore nel tempo della sua discesa.

Così il Figlio di Dio si degnò di farsi nostro amico condividendo con noi la morte per immunità dalla quale il nemico si stimava migliore e più grande di noi.

Dice il nostro Redentore: Nessuno ha amore più grande di colui che sacrifica la vita propria per i suoi amici. ( Gv 15,13 )

Il diavolo arrivò fino al punto di ritenersi superiore al Signore stesso in quanto il Signore gli aveva ceduto nella sua passione.

Così proprio del Signore si ha da intendere ciò che si legge nel Salmo: Lo hai reso un po' inferiore agli Angeli. ( Sal 8,6 )

Ed ecco il risultato di tutto questo: l'innocente Signore ucciso dal maligno che agiva contro di noi in forza di un diritto giustamente concessogli, trionfò del diavolo con pienissima giustizia, fece propria schiava la schiavitù prodotta dal peccato, liberò noi dalla servitù che giustamente ci spettava per il peccato, distrusse la condanna di morte ( Col 2,14 ) con il suo sangue giusto ingiustamente versato dal diavolo e redense i peccatori, che avevano bisogno di essere giustificati.

13.18 - La sovreminente Sapienza divina si serve del diavolo per la salvezza dei suoi fedeli

Per questo il diavolo si prende ancor gioco dei suoi ai quali si presenta con l'aria di volerli purificare con i suoi misteri ma in realtà per coinvolgerli e farli cadere, in quanto con grande facilità persuade il loro orgoglio a deridere e disprezzare la morte di Cristo: il diavolo è ritenuto da essi tanto più santo e divino quanto più è estraneo a questa morte.

Però sono molto pochi quelli che gli sono rimasti fedeli, dopo che i pagani hanno riconosciuto e bevuto con pia umiltà il prezzo della loro redenzione e, pieni di fiducia, abbandonano il loro nemico e corrono al loro Redentore.

Il diavolo infatti ignora che delle sue insidie e del suo furore si serve per la salvezza dei suoi fedeli la sovreminente Sapienza divina, che si estende con forza e dispone di tutto con soavità dall'estremo superiore, che è la prima delle creature spirituali, fino all'estremo inferiore, che è la morte del corpo, perché essa penetra dappertutto per la sua purezza e nulla di impuro penetra in lei. ( Sap 8,1; Sap 7,24-25 )

Ma per il diavolo, esente dalla morte del corpo ( e per questo incede con grande superbia ), è pronta una morte di altro genere nel fuoco eterno del Tartaro, dove possono essere torturati non solo gli spiriti rivestiti di materia terrena ma anche quelli rivestiti di materia eterea.

Quanto agli uomini superbi che disprezzano Cristo perché è morto, mentre egli con la sua morte ci ha riscattato a così caro prezzo, ( 1 Cor 6,20 ) essi anzitutto pagano con gli altri uomini il tributo della morte corporale dovuto alla condizione miserabile che la natura umana ha ereditato dal primo peccato, e poi saranno precipitati nella morte eterna con il diavolo.

Essi l'hanno preferito a Cristo perché li ha precipitati in una morte in cui per la differenza di natura il diavolo non è caduto e dove, per una immensa misericordia, Cristo è disceso.

Tuttavia si ritengono superiori ai demoni e non cessano di perseguitarli con ingiurie e con l'odio, pur sapendo perfettamente che sono esenti dal subire quella morte per la quale disprezzano Cristo.

Così si rifiutano di considerare come il Verbo di Dio, pur rimanendo identico a se stesso e immutabile per ogni verso, tuttavia per l'assunzione di una natura inferiore possa soffrire la morte che il demonio immondo non può soffrire per mancanza di un corpo terreno.

Perciò, sebbene essi siano superiori ai demoni, nondimeno sono soggetti alla morte perché hanno un corpo mortale, mentre i demoni non possono morire perché non l'hanno.

Essi fanno molto conto delle vittime dei loro sacrifici, ma non sospettano di immolarle agli spiriti ingannatori e superbi o, anche se lo sanno, pensano di trarre qualche profitto dall'amicizia di esseri perfidi e gelosi che non hanno altra preoccupazione che quella di impedire il nostro ritorno a Dio.

14.19 - Cristo unico Mediatore con il sacrificio della pace ci riconcilia con Dio

Costoro non capiscono che questi spiriti orgogliosissimi non avrebbero potuto compiacersi degli onori dei sacrifici se il vero Dio, in luogo del quale pretendono di essere adorati, non avesse diritto, lui solo, al vero sacrificio e che questo sacrificio non può essere offerto legittimamente se non ad opera di un sacerdote santo e giusto e se la materia dell'offerta non è presa da coloro per i quali è offerta e se non è una materia senza difetto perché possa essere offerta per la purificazione di esseri difettosi.

Questo certamente desiderano coloro che chiedono che venga offerto per loro un sacrificio a Dio.

E quale sacerdote è giusto e santo come l'unico Figlio di Dio, che non aveva bisogno di purificare con un sacrificio i suoi peccati, né quello originale né altri aggiunti dall'esistenza umana?

E che altro si può prendere dagli uomini e offrirlo per essi tanto convenientemente quanto la carne umana?

E che cosa c'è di tanto adatto, per questa immolazione, come la carne mortale?

E che cosa di tanto puro per purificare le immondezze dei mortali come una carne concepita e nata verginalmente, immune da ogni contagio della concupiscenza carnale?

E che cosa è tanto offribile e tanto accettabile quanto la carne del nostro sacrificio che è il corpo del nostro sacerdote?

Che se in ogni sacrificio sono quattro gli aspetti da considerare ( a chi si offre, da chi si offre, che cosa si offre, per chi si offre ), tutti e quattro convengono nel medesimo unico e vero Mediatore che ci riconcilia con Dio per mezzo del suo sacrificio di pace, ( Gal 3,20; 1 Tm 2,5 ) rimanendo egli tutt'uno con Dio a cui si offriva, facendo tutt'uno in sé coloro per i quali l'offriva, tutt'uno essendo lui che offriva con ciò che offriva.

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