La Trinità

Indice

Libro XIV

7.10 Ecco perché ho voluto dare alcuni esempi circa il pensiero, al fine di poter mostrare come il contenuto della memoria informi lo sguardo di chi ricorda, e come si generi, quando l'uomo pensa, un qualcosa del tutto simile a ciò che si trovava, prima che pensasse, nella sua memoria; perché è più facile distinguere i due momenti, quando la conoscenza si produce nel tempo, e quando ciò che genera precede di un certo periodo di tempo ciò che è generato.

Se infatti ci riferiamo alla memoria interiore con cui lo spirito si ricorda di sé, all'intelligenza interiore con cui comprende se stesso, alla volontà interiore con cui ama se stesso, in questo centro in cui queste tre sono sempre insieme, sono sempre state insieme dal momento in cui hanno incominciato ad esistere, sia che fossero pensate, sia che non lo fossero, apparirà senza dubbio che l'immagine della trinità appartiene pure alla sola memoria; ma, poiché nello spirito non vi può essere verbo senza pensiero ( perché tutto ciò che diciamo, sia pure con quel verbo interiore che non appartiene ad alcuna lingua, è frutto del pensiero ), riconosciamo che questa immagine si trova piuttosto in quelle tre facoltà: la memoria, l'intelligenza, la volontà.

Quella che ora chiamo intelligenza, è quella con cui comprendiamo quando pensiamo, cioè quando il nostro pensiero è informato da ciò che scopriamo presente nella memoria, ma non era pensato; e quella che chiamo volontà, amore o dilezione, è il principio che unisce il termine generato a quello che genera, ed è in qualche modo comune all'uno e all'altro.

Così ho potuto, ricorrendo pure agli oggetti esteriori e sensibili che i nostri occhi di carne percepiscono, servire da guida ai lettori di rude ingegno, nel libro XI;20 e poi ho potuto addentrarmi con essi in quella potenza dell'uomo interiore con la quale si ragiona circa le cose temporali, rimandando a più tardi lo studio di quella potenza che ha il dominio supremo e contempla le cose eterne; ho consacrato a questo argomento due libri: il dodicesimo, in cui ho distinto queste due potenze, di cui l'una è superiore, l'altra è inferiore e deve essere sottomessa alla prima; il tredicesimo, in cui ho trattato della funzione di questa potenza inferiore, che comprende la scienza salutare delle cose umane, per consentirci, in questa vita temporale, di compiere ciò che ci conduce a quella eterna; l'ho fatto con la maggiore verità e concisione possibili, perché ho concentrato negli stretti limiti di un solo libro una materia così complessa ed abbondante, molte volte trattata in discussioni numerose e celebri da uomini non meno numerosi e celebri, mostrando anche in questa potenza inferiore l'esistenza di una trinità, ma che non è ancora quella che bisogna chiamare immagine di Dio.

8.11 - L'immagine di Dio si deve cercare nella parte superiore dello spirito umano

Eccoci giunti ora nella nostra ricerca alla fase in cui abbiamo intrapreso a considerare, per scoprirvi l'immagine di Dio, ( Gen 1,27; Gen 5,1; Gen 9,6 ) la parte più nobile dello spirito umano, parte con la quale esso conosce o può conoscere Dio.

Sebbene infatti lo spirito umano non sia della stessa natura di Dio, tuttavia l'immagine di quella natura che è superiore ad ogni altra deve essere cercata e trovata presso di noi, in ciò che la nostra natura ha di migliore.

Ma si deve considerare lo spirito in sé, prima che esso sia partecipe di Dio, e scoprirvi l'immagine di lui.

Anche quando lo spirito, abbiamo detto,21 è degradato e deforme per la perdita della partecipazione a Dio, resta tuttavia immagine di Dio; perché esso è immagine di Dio in quanto è capace di Dio e può essere partecipe di lui.

Un bene così grande non è possibile se non in quanto lo spirito è immagine di Dio.

Ecco dunque che lo spirito si ricorda di sé, si comprende, si ama: se contempliamo ciò, vediamo una trinità, che non è certo ancora Dio, ma già è immagine di Dio.

Non è dal di fuori che la memoria ha ricevuto ciò che deve conservare, né è dal di fuori che l'intelletto ha trovato ciò che deve contemplare, come fa l'occhio del corpo; né questi due elementi la volontà li ha uniti all'esterno, come unisce la forma del corpo alla forma che la riproduce nello sguardo di chi vede, né, quando il pensiero si è volto verso la memoria, vi ha trovato l'immagine di una cosa vista al di fuori, trasportata in qualche modo nel segreto della memoria per informare lo sguardo di colui che ricorda, mentre la volontà, come terzo elemento, unisce l'uno all'altro.

Ciò accade, come abbiamo mostrato, nelle trinità che scoprivamo nelle realtà corporee, o che dai corpi si introducono in qualche modo all'interno per mezzo dei sensi corporei.

Di tutto ciò abbiamo trattato nel libro XI.22

Qui non accade nemmeno ciò che accadeva o ci appariva quando trattavamo della scienza, che già è situata tra le potenze dell'uomo interiore e che abbiamo dovuto distinguere dalla sapienza.

Ciò che si apprende con la scienza è nell'anima come un qualcosa di avventizio: sia che si tratti dell'apporto delle conoscenze storiche, come i fatti e i detti che accadono nel tempo e passano o rimangono con una certa consistenza nella natura, nei loro luoghi o regioni, sia che si tratti dell'origine nell'uomo stesso di qualcosa che non esisteva, origine dovuta all'insegnamento altrui o alla riflessione personale, come la fede, che abbiamo raccomandato con tanta insistenza nel libro XIII,23 come le virtù, che, se sono autentiche, ci permettono di vivere bene in questa vita mortale per vivere felici nella vita immortale che ci è promessa da Dio.

Queste realtà, ed altre simili, si ordinano nel tempo, ed era per noi più facile discernervi la trinità della memoria, della visione e dell'amore.

Infatti alcune di esse precedono la conoscenza che se ne acquisisce.

Sono infatti conoscibili anche prima che vengano conosciute e generino in coloro che le apprendono la conoscenza che essi acquisiscono.

Sono cose che s'incontrano in luoghi determinati o che sono passate nel tempo, sebbene in quest'ultimo caso non si tratti delle cose stesse, ma dei loro segni che, visti ed ascoltati, fanno conoscere che queste cose esistettero e sono passate.

Questi segni si trovano in luoghi determinati, come le tombe ed altri monumenti simili, o negli scritti degni di fede, come ogni storia composta da autori seri e autorevoli, o nelle anime di coloro che li conoscono già; conosciuti da questi, sono per il fatto stesso conoscibili da altri, al sapere dei quali questi segni preesistono e possono venire da essi conosciuti per l'insegnamento di coloro ai quali sono noti.

Tutte queste cose, quando si apprendono, costituiscono una specie di trinità, formata dalla loro configurazione esteriore conoscibile prima di venir conosciuta, a cui viene ad aggiungersi la conoscenza di colui che le apprende ( conoscenza che comincia ad esistere nel momento in cui le si apprende ) e, come terzo elemento, la volontà che unisce quei primi due.

Una volta che questi oggetti sono stati conosciuti, si produce nell'anima stessa, quando se ne evoca il ricordo, una seconda trinità, già più interiore: trinità formata dalle immagini impresse nella memoria, al momento in cui furono appresi, dall'informazione del pensiero quando ad essi si volge lo sguardo di chi ricorda, e dalla volontà, che, terzo elemento, unisce quei due.

Quanto alle conoscenze che hanno origine nell'anima in cui non esistevano, come la fede o altre realtà simili, sebbene sembrino avventizie, perché vengono introdotte nell'anima con l'insegnamento, non sono tuttavia realtà situate al di fuori o che si svolgono all'esterno, come le cose che sono oggetto di fede; ma iniziano ad esistere esclusivamente all'interno dell'anima.

La fede infatti non è ciò che è creduto, ma ciò con cui si crede: l'oggetto della fede è creduto, la fede è vista.

Tuttavia, in quanto incomincia ad esistere nell'anima, che era già un'anima prima che la fede incominciasse ad esistere in essa, sembra un qualcosa di avventizio e sarà annoverata tra le cose del passato, quando, sostituendosi ad essa la visione, cesserà di esistere.

Ma ora la sua presenza nell'anima forma una trinità, perché è conservata, contemplata, amata; allora per mezzo del vestigio che lascerà di sé nella memoria scomparendo, formerà un'altra trinità, come è già stato detto prima.24

9.12 - Scompariranno le virtù nella vita futura?

Poiché le virtù che in questa vita mortale ci permettono di vivere bene hanno incominciato ad esistere nell'anima, che, pur essendo prima priva di esse, era tuttavia un'anima, ci si può chiedere se cesseranno di esistere una volta che ci avranno condotto alla vita eterna.

Certuni hanno pensato che cesseranno di esistere e, almeno per tre di esse: la prudenza, la fortezza e la temperanza, la loro opinione non è senza fondamento.

Ma la giustizia è immortale e, invece di scomparire, sarà allora che raggiungerà in noi la sua perfezione.25

Il grande maestro dell'eloquenza, Tullio,26 le considera tuttavia tutte e quattro, quando ne discute nel suo dialogo "Ortensio": Se, egli dice, quando avremo emigrato da questa vita, ci fosse concesso di condurre una vita immortale nelle isole dei beati, come raccontano le favole, a che ci servirebbe l'eloquenza, dato che non ci sarebbero dei giudizi, o le stesse virtù?

Non avremmo bisogno della fortezza perché non ci sarebbero più difficoltà e rischi; né della giustizia, perché non ci sarebbe più alcun bene altrui che susciti la nostra cupidigia; né della temperanza, per dominare le passioni inesistenti; non avremmo nemmeno bisogno della prudenza, perché non avremmo da compiere nessuna scelta tra il bene ed il male.

La sola conoscenza della natura e la scienza ci renderebbero beati, esse che costituiscono l'unico bene della vita stessa degli dèi.

Da ciò si può comprendere che il resto appartiene alla necessità, questo solo alla volontà.27

Così quel grande oratore, celebrando i meriti della filosofia, raccogliendo gli insegnamenti della tradizione filosofica, che espone con stile delizioso e sublime, ha affermato che tutte queste quattro virtù ci sono necessarie solo in questa vita, che vediamo piena di pene e di errori; nessuna di esse lo sarà più quando lasceremo questa vita, se ci è concesso di vivere là dove si vive felici; per essere beate basteranno alle anime buone la conoscenza e la scienza, cioè la contemplazione della natura in cui nulla vi è di più eccellente e di più degno di essere amato di quella natura che ha creato ed ordinato tutte le altre nature.

Ora, se è proprio della giustizia sottomettersi al governo di questa natura, la giustizia è certamente immortale, né cesserà di esistere in quella beatitudine, ma raggiungerà tale perfezione e grandezza da non poter essere più perfetta e più grande.

Forse anche altre tre virtù sussisteranno in quella vita beata, la prudenza senza più alcun rischio di errore, la fortezza senza la prova di mali da sopportare, la temperanza senza resistenza proveniente dalle passioni.

Così la prudenza consisterà nel non preferire né uguagliare alcun bene a Dio, la fortezza nel restargli assai fermamente uniti, la temperanza nel non abbandonarsi ad alcun compiacimento colpevole.

Ma il compito che svolge ora la giustizia nel venire in soccorso agli infelici, la prudenza nel guardarsi dalle insidie, la fortezza nel sopportare le difficoltà, la temperanza nel frenare i compiacimenti illeciti, non esisterà più là dove non ci sarà più assolutamente alcun male.

Per questo gli atti di queste virtù che sono necessari alla vita presente, come la fede alla quale vanno riferiti, saranno annoverati tra le cose passate.

Ora formano una trinità, quando li teniamo presenti nella memoria, li contempliamo e li amiamo; essi ne formeranno un'altra quando i vestigi che lasceranno, passando, nella memoria, ci ricorderanno che essi non esistono, ma sono esistiti; perché ci sarà ancora una trinità, quando quel vestigio, per quanto tenue, sarà ritenuto allo stato di ricordo, riconosciuto come vero, e la volontà, come terzo elemento, unirà questi altri due.

10.13 - La trinità dello spirito non gli è avventizia

Nella scienza di tutte queste cose temporali, di cui abbiamo parlato, alcune cose conoscibili precedono la conoscenza di un certo periodo di tempo, come quelle cose sensibili che esistevano già nella realtà, prima che fossero conosciute, così pure tutto ciò che la storia ci fa conoscere.

Alcune cose invece incominciano ad esistere nel momento in cui sono conosciute: così se un oggetto visibile, che non esisteva assolutamente, sorge sotto i nostri occhi, è chiaro che non precede la nostra conoscenza; o se un suono si fa sentire, là dove si trova qualcuno che lo ode, certamente è insieme, che incominciano, insieme che cessano il suono e l'audizione.

Tuttavia sia che la precedano nel tempo, sia che incomincino ad esistere con essa, sono le cose conoscibili che generano la conoscenza, e non sono generate da essa.

Ma una volta acquisita la conoscenza, quando le cose che abbiamo conosciuto, essendo depositate nella memoria, sono riconsiderate con il ricordo, chi non vede che l'immagine conservata nella memoria è anteriore nel tempo alla visione che risulta dal ricordo ed all'unione dell'una e dell'altra operate dalla volontà, come terzo elemento?

Ma nello spirito non è così; infatti lo spirito non è per se stesso un qualcosa di avventizio, come se allo spirito che esisteva già si presentasse, venendo dal di fuori, questo stesso spirito che non esisteva ancora, o come se non venisse dal di fuori, ma nello stesso spirito che già esisteva, nascesse lo stesso spirito che non esisteva ancora, allo stesso modo che nello spirito, che già esisteva, nasce la fede che non esisteva ancora; né, dopo essersi conosciuto, ricordandosi, si vede in qualche modo situato nella sua memoria, come se non vi fosse stato prima di conoscersi; non è così, poiché non c'è dubbio che dall'inizio della sua esistenza non ha mai cessato di ricordarsi, di comprendersi, di amarsi, come abbiamo già mostrato.

Per questo quando lo spirito con il pensiero si ripiega su di sé, si produce una trinità, in cui si può già comprendere che cos'è il verbo; esso riceve la sua forma dall'atto stesso del pensiero, mentre la volontà congiunge l'uno all'altro.

È là, dunque, che dobbiamo riconoscere di preferenza l'immagine che cerchiamo.

11.14 - C'è una memoria delle cose presenti?

Ma qualcuno dirà: "Non esiste questa memoria che permetta allo spirito di ricordarsi di sé, esso che è sempre presente a se stesso.

Infatti la memoria ha come oggetto le cose passate, non quelle presenti".

Alcuni infatti, tra cui anche Tullio,28 trattando della virtù, hanno distinto nella prudenza questi tre aspetti: la memoria, l'intelligenza, la preveggenza; hanno attribuito la memoria al passato, l'intelligenza al presente, la preveggenza al futuro.

Quest'ultima è infallibile solo in coloro che hanno in anticipo la conoscenza del futuro, cosa che non è privilegio degli uomini, a meno che non la ricevano dall'alto, come i Profeti.

Per questo il libro della Sapienza, trattando degli uomini, dice: Timidi sono i pensieri dei mortali, ed incerte le nostre previsioni. ( Sap 9,14 )

Ma la memoria è certa delle cose passate e l'intelligenza delle cose presenti, ma, si intenda bene, delle realtà spirituali presenti, perché i corpi materiali sono presenti agli occhi corporei che li vedono.

Ma chi afferma che non c'è memoria delle cose presenti, ascolti ciò che si dice nella stessa letteratura profana più attenta alla precisione dei termini, che alla verità delle cose: Ché l'empio delitto Ulisse non tollerò, né di se stesso fu immemore l'Itaco in quel rischio sì grande.29

Quando Virgilio dice che Ulisse non si dimenticò di sé, che altro volle far intendere, se non che egli si ricordò di sé?

Dunque, poiché egli era presente a sé, non si sarebbe in alcun modo ricordato di sé, se la memoria non avesse come oggetto le cose presenti.

Pertanto, come a proposito degli avvenimenti passati, si chiama memoria la facoltà con cui si ritengono e si ricordano, così a proposito della realtà presente, quale è lo spirito a sé, si deve, senza cadere nell'assurdo, chiamare memoria la facoltà che permette allo spirito di essere presente a sé al punto da poter comprendersi con il suo pensiero e unire con l'amore, che porta a se stesso, la memoria all'intelligenza.

12.15 - La trinità dello spirito è immagine di Dio quando lo ricorda, comprende ed ama; sapienza ed immagine

Dunque questa trinità dello spirito non è immagine di Dio, perché lo spirito ricorda se stesso, si comprende e si ama, ma perché può anche ricordare, comprendere ed amare Colui dal quale è stato creato.

Quando fa questo, diviene sapiente.

Se non lo fa, anche quando si ricorda di sé, si comprende e si ama, è insensato.

Si ricordi dunque del suo Dio, ad immagine del quale è stato creato, ( Gen 1,26-27; Gen 5,1; Gen 9,6; Sap 2,23; Sir 17,1 ) lo comprenda e lo ami.

Per dirlo in breve, esso onori il Dio increato che l'ha creato capace di lui e di cui può essere partecipe; per questo è scritto: Ecco: il culto di Dio, questa è sapienza. ( Gb 28,28 )

E non per la sua luce, ma per la partecipazione a quella luce suprema sarà sempre sapiente e regnerà beato là dove sarà eterno.

In questo senso la sapienza dell'uomo è anche sapienza di Dio.

Allora infatti è vera sapienza; perché se è umana, è vana.

Ma non si tratta della sapienza di Dio, per cui Dio è sapiente.

Infatti Dio non è sapiente perché partecipe a sé, come lo spirito lo è per la partecipazione a Dio.

Ma come si parla anche di giustizia di Dio, non solo per designare la giustizia per la quale Dio è giusto, ma per designare quella che egli dà all'uomo quando giustifica il peccatore, ( Rm 4,5 ) e che ci raccomanda l'Apostolo quando dice di alcuni uomini: Ignorando la giustizia di Dio e volendo stabilire la loro propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; ( Rm 10,3 ) così infatti si può dire pure di alcuni: "Ignorando la sapienza di Dio e volendo costituire la loro sapienza, non si sono sottomessi alla sapienza di Dio".

12.16 Dunque la natura increata, che ha creato tutte le altre nature, grandi e piccole, è senza dubbio più eccelsa di quelle che ha creato, e di conseguenza anche di questa, di cui parliamo, quella natura razionale e intelligente, che è lo spirito umano, creato ad immagine del suo Creatore.

Quella natura superiore a tutte le altre è Dio.

E certamente non è lontano da ciascuno di noi, ( At 17,27 ) come dice l'Apostolo, che aggiunge: In lui infatti viviamo, ci muoviamo e siamo. ( At 17,28 )

Se dicesse queste parole riguardo al corpo, si potrebbero pure intendere di questo mondo corporeo, perché anche in esso, in quanto corpi, viviamo e ci muoviamo e siamo.

Dunque bisogna applicare queste parole allo spirito, che è stato creato ad immagine di Dio, in un senso ben superiore, non più sensibile, ma spirituale.

Che c'è infatti, che non sia in Colui di cui il testo ispirato dice: Poiché da lui e per mezzo di lui e in lui sono tutte le cose? ( Rm 11,36 )

Perciò, se in lui sono tutte le cose, in chi possono vivere gli esseri che vivono, e muoversi gli esseri che si muovono, se non in Colui in cui sono? ( At 17,28 )

Non tutti però sono con lui al modo di Colui al quale è stato detto: Io sono sempre con te. ( Sal 73,23 )

E lui stesso non è con tutti nella maniera in cui diciamo: "il Signore sia con voi". ( Rt 2,4 )

Pertanto è gran miseria per l'uomo non essere con Colui, nel quale è, e tuttavia, se non si ricorda di lui e non lo comprende, né lo ama, non è con lui.

Ora ciò che qualcuno ha completamente dimenticato non si può certamente farglielo ricordare.

13.17 - Dimenticanza e ricordo di Dio

Per la nostra dimostrazione prendiamo un esempio dalle cose visibili.

 Qualcuno che tu non riconosci ti dice: "Tu mi conosci", e perché te ne risovvenga ti dice dove, quando, come tu lo hai conosciuto.

Se tuttavia, quando egli ha fatto uso di tutti i segni capaci di farti rievocare il ricordo di sé, non lo riconosci, la dimenticanza è tale, ormai, che ogni conoscenza di lui si è cancellata dalla tua anima e non ti resta altro che, o prestar fede a colui che ti dice che una volta lo conoscevi, o non ti resta nemmeno questo, se colui che ti parla non ti sembra degno di fede.

Ma se tu lo ricordi, certamente ricerchi nella tua memoria e in essa trovi ciò che non era stato totalmente cancellato a causa della dimenticanza.

Ritorniamo all'argomento a motivo del quale abbiamo fatto ricorso a questo esempio tolto dai rapporti umani.

Il Salmo 9 dice tra le altre cose: Si volgano i peccatori verso l'inferno, tutte le genti che si scordano di Dio. ( Sal 9,18 )

È scritto ancora nel Salmo 22: Se ne ricorderanno e si convertiranno al Signore tutti i confini della terra. ( Sal 22,28 )

Queste nazioni non avevano dunque dimenticato il Signore al punto di non ricordarsi di lui, almeno se lo si ricorda loro.

Dimenticandosi di Dio, come se si fossero dimenticate della loro vita, si erano volte verso la morte, cioè verso l'inferno.

Ma quando lo si fa loro ricordare, si convertono al Signore, come rivivificate ricordando la loro vita, di cui erano cadute in dimenticanza.

Si legge ancora nel Salmo 94: Comprendete ora, voi che siete stupidi fra il popolo; voi insensati, rinsavite.

Colui che ha piantato l'orecchio non udrà? ( Sal 94,8-9 )

Queste parole sono rivolte a coloro che, non comprendendo Dio, hanno avuto su di lui opinioni menzognere.

14.18 - Lo spirito non può amare rettamente se stesso, non amando Dio

Circa la dilezione di Dio, si trovano nelle divine Scritture molte testimonianze.

In queste testimonianze sono di conseguenza comprese anche le altre due facoltà, perché nessuno ama ciò che non ricorda e ciò che ignora totalmente.

Ecco perché il più conosciuto e il più importante dei Comandamenti è questo: Amerai il Signore Dio tuo. ( Mt 22,37-38; Dt 6,5; Mc 12,30; Lc 10,27 )

Lo spirito umano è così costituito che mai cessa di ricordarsi di sé, mai di comprendersi, mai di amarsi.

Ma, poiché colui che odia qualcuno si dà da fare per nuocergli, si ha ragione di dire che anche lo spirito umano, quando nuoce a se stesso, si odia.

Esso non ha coscienza di volere il suo male, quando non ritiene che ciò che vuole gli nuoce; ma tuttavia esso vuole il suo male, quando vuole ciò che gli nuoce.

Perciò è scritto: Colui che ama l'iniquità, odia la sua anima. ( Sal 11,6 )

Perciò colui che sa amarsi,30 ama Dio; invece colui che non ama Dio, anche se ama se stesso, cosa che gli è connaturale, si può dire a ragione che si odia, perché fa ciò che gli è contrario e persegue se stesso come suo nemico.

Errore certamente mostruoso: mentre tutti vogliono il loro bene, molti non fanno che ciò che è loro dannoso in grado supremo.

Il poeta descrive un male simile negli animali privi di parola: Gli dèi diano una migliore sorte a quelli che li onorano, e questo errore ai loro nemici!

Essi sbranavano a denti nudi le membra disfatte.31

Dato che si trattava di un male fisico, perché lo chiama errore, se non in quanto quel male consisteva nel fatto che gli animali sbranavano ciò che aspiravano a salvare, le loro membra, mentre ogni animale tende, in conformità alla sua natura, a conservarsi come meglio può?32

Ma quando lo spirito ama Dio, e di conseguenza, come ho detto, si ricorda di lui e lo comprende, è giusto che gli si comandi di amare il suo prossimo come ama se stesso.

Infatti esso non si ama più con amore colpevole, ma con rettitudine, quando ama Dio, per partecipazione del quale non solo esso è immagine, ma anche sorge rinnovato dalla vecchiaia, bello dalla sua deformità, beato dall'infelicità.

Sebbene infatti si ami a tal punto da preferire, nell'alternativa, di perdere tutti i beni che, inferiori ad esso, suscitano il suo amore, piuttosto che perire, tuttavia abbandonando Colui che gli è superiore, e verso il quale solo deve volgersi per conservare la sua fortezza e godere di lui come della sua luce - Colui a cui si indirizza il canto di questo Salmo: Volgendomi verso di te conserverò la mia forza; ( Sal 59,10 ) e quello di quest'altro: Avvicinatevi a lui e sarete illuminati -, ( Sal 34,6 ) esso è divenuto così debole e tenebroso che, allontanandosi anche da sé è trascinato miseramente verso le realtà, che non sono ciò che esso è ed alle quali esso è superiore, da amori che esso non ha la forza di vincere, da sviamenti da cui non sa come risalire.

Perciò già pentendosi, per la misericordia di Dio, esso grida nei Salmi: La mia forza mi ha abbandonato, e la luce dei miei occhi non è più con me. ( Sal 38,11 )

14.19 - Sebbene deformata l'immagine sussiste

Tuttavia, nonostante questi così grandi mali dovuti alla sua debolezza ed ai suoi sviamenti, lo spirito non ha potuto perdere la memoria, l'intelligenza e l'amore di sé, che gli sono connaturali.

Per questo, come sopra ho ricordato,33 il Salmista ha potuto dire: Benché l'uomo cammini nell'immagine, si agita invano.

Ammassa e non sa per chi raccolga. ( Sal 39,7 )

Perché infatti ammassa, se non in quanto la sua forza lo ha abbandonato, ( Sal 38,11 ) quella forza grazie alla quale, possedendo Dio, non mancava di nulla?

E perché ignora per chi raccolga, se non perché non è più con lui la luce dei suoi occhi?

E perciò non vede ciò che la verità dice: Insensato!

Questa notte stessa ti verrà richiesta la vita; e quello che hai preparato per chi sarà? ( Lc 12,20 )

Tuttavia, poiché anche tale uomo cammina nell'immagine e il suo spirito possiede la memoria, l'intelligenza e l'amore di sé, se gli si mostrasse che non può possedere tutti e due i beni e gli si concedesse di sceglierne uno, perdendo come contropartita l'altro - o la ricchezza che ha ammassato, o lo spirito -, chi sarebbe così pazzo da preferire di conservare le ricchezze, invece dello spirito?

Infatti le ricchezze possono, molto spesso, rovinare lo spirito; e lo spirito non pervertito dalle ricchezze può vivere, senza ricchezze, con più felicità e libertà.

Chi d'altra parte potrà possedere delle ricchezze, se non per mezzo dello spirito?

Se infatti un fanciullo appena nato, sebbene molto ricco per nascita, essendo padrone di tutto ciò che gli appartiene di diritto, non possiede nulla fino a quando il suo spirito non si sveglia, come può qualcuno, che non possiede più lo spirito, possedere ancora qualcosa?

Ma perché parlare dei tesori e dire che qualsiasi uomo, se gli si concede la scelta, preferisce esserne privato piuttosto che essere privato dello spirito, dato che nessuno li antepone, nessuno neppure li equipara agli occhi del corpo, che danno non ad alcuni uomini privilegiati il possesso dell'oro, ma a tutti gli uomini il possesso del cielo?

Con gli occhi del corpo infatti ciascuno possiede ciò che contempla con piacere.

Chi dunque, se non può conservare l'uno e l'altro bene insieme, e sia costretto a perderne uno, non preferirà gli occhi alle ricchezze?

E tuttavia se, con una nuova alternativa, gli si domanda se preferisca perdere gli occhi piuttosto che lo spirito, qual è l'uomo che non veda con il suo spirito che egli preferisce perdere gli occhi piuttosto che lo spirito?

Infatti lo spirito senza gli occhi di carne è uno spirito umano, ma gli occhi di carne senza lo spirito sono occhi di bestia.

Ora chi non preferirebbe essere uomo, anche se cieco nella carne, piuttosto che una bestia dotata di vista?

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20 Sopra 11,2,2-4
21 Sopra 14,4,6
22 Sopra 11,2,4
23 Sopra 13,1,2
24 Sopra 13,20,25-26
25 Cicerone, De invent. 2, 53, 160;
Agostino, De div. qq. 83 31, 1: NBA, VI/2;
Ep. 169, 2, 6: NBA, XXII
26 Lucano, Phars. 7, 62-63;
Agostino, De civ. Dei 10,1;
De civ. Dei 14,18: NBA, V/1-2-3;
De doctr. christ. 4, 3, 4: NBA, VIII;
Epp. 143, 3; 258, 1: NBA, XXIII
27 Cicerone, Hort., fragm. 50
28 Cicerone, De invent. 2, 53, 160;
Agostino, De div. qq. 83 31, 1: NBA, VI/2;
Ep. 169, 2, 6: NBA, XXII
29 Virgilio, Aen. 3, 628-629
30 Porfirio, Sent. 40, 5-6.
31 Virgilio, Georg. 3, 513-514
32 Cicerone, De fin. bon. mal. 3, 5, 6-19, 63
33 Sopra 14,4,6