Teologia dei Padri

Indice

L'ascesa dell'anima

1. - L'anima riconosce il peccato solo nella luce di Dio

I pensieri di certe persone, corrotti e uccisi dal peccato, sono sprofondati nel fango e nella terra: è morta, infatti, l'anima di costoro.

Come, dunque, gli israeliti gettarono nel fuoco vasi d'oro per farne un idolo, così, ai giorni nostri, l'uomo ha consegnato alla malizia i puri e onesti pensieri: questi allora, imbrattati dal fango del peccato, sono diventati, per l'uomo, il suo idolo.

Ora, così stando le cose, in che modo si potrebbero ritrovare questi pensieri nella loro integrità?

Come fare per distinguerli accuratamente e trarli via dal fuoco che imperversa in noi stessi?

Ebbene, l'anima ha bisogno della luce di Dio, cioè dello Spirito Santo, per rischiarare la sua dimora ottenebrata; ha bisogno del fulgido « Sole della giustizia », che sorga nel cuore e lo illumini; ha bisogno, infine, di quelle armi che le consentano di sortire vincitrice dal combattimento.

La vedova che aveva smarrito la dracma ( Lc 15,8-10 ), infatti, accese anzitutto la lucerna; spazzò poi la sua casa e, dopo aver fatto pulizia e acceso la lampada, ritrovò la dracma, imbrattata di sporcizia, di polvere e di terra.

L'anima, da parte sua, non è in grado, con le sole sue risorse, di ricercare e distinguere i suoi pensieri; una volta accesa la lucerna divina, però, la luce che irrompe nelle tenebre dell'interno consente all'anima di contemplare i suoi pensieri e di constatare come siano lordati dalla sporcizia e dal fango del peccato.

Sorge il sole: l'anima allora può guardare dentro di sé, cominciando ad emendare i propri pensieri e liberandoli dallo squallore del peccato.

Dopo aver trasgredito il comandamento di Dio, infatti, l'anima è stata privata della verace coscienza di se stessa.

Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 11,3-4

2. - La vicinanza di Dio ci illumina

Dica il misero Adamo e in Adamo ogni uomo: Quando disordinatamente voglio essere simile a te, ecco che cosa divengo!

Che almeno gridi a te dalla mia prigionia!

Io, che potevo vivere tanto bene sotto il buon re, sono divenuto prigioniero e schiavo del mio seduttore.

Grido a te perché sono caduto lontano da te.

E perché sono caduto lontano da te? Perché disordinatamente aspiravo ad essere simile a te …

L'uomo, se vuole essere qualcosa, si deve volgere a colui dal quale è stato creato.

Allontanandosene, infatti, si raggela; avvicinandosi si riscalda.

Allontanandosi si ottenebra; avvicinandosi si illumina.

Perché solo presso colui dal quale ha avuto l'essere, potrà trovare anche il suo bene.

Infatti, quel figlio minore che volle disporre a suo talento del proprio patrimonio, così ben conservato per lui negli scrigni del padre, una volta impadronitosene, partì per una regione lontana, si associò a un cattivo principe e dovette pascolare i porci.

Meno male che, affamato, rinsavì, lui che nella sazietà si era allontanato per superbia.

Ebbene, chiunque vuole essere simile a Dio, rimanga al suo fianco.

Affidi a lui, come sta scritto, la sua forza.

Non si allontani da lui!

Unendosi a lui, sia contrassegnato dalla sua impronta come la cera è segnata dall'anello: abbia l'immagine di lui fissa in sé.

Esegua quanto sta scritto: Per me è veramente buona cosa l'essere unito a Dio ( Sal 73,28 ).

Così davvero custodirà la somiglianza dell'immagine secondo la quale è stato creato.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 71,2,6-7

3. - Guarigione dalla cecità spirituale

Quando, dopo esserci esercitati in sante meditazioni e pensieri di salvezza di nuovo cadiamo, per il nostro stesso peso, negli abituali pensieri terreni, assomigliamo allora a quei malati d'occhi, che vengono posti d'improvviso dinanzi a una lampada.

Essi non avevano in precedenza la vista perfetta; poi hanno cominciato, piano piano, a recuperarla grazie alle cure dei medici.

Questi, per provare la bontà delle loro cure, cercano di mostrare loro ciò che essi desiderano vedere, ma senza risultato, perché sono come ciechi: a mano a mano che la loro vista si rafforza li mettono davanti alla luce.

Ma appena essi l'hanno fissata ne restano come abbagliati, e debbono dire al medico: ho visto, ma non posso continuare a guardare.

Che fa il medico? Ricomincia la stessa cura, applica del collirio per stimolare nel malato il desiderio di vedere ciò che ha visto, ma non ha potuto continuare a vedere, e perché proprio da questo desiderio sia curato pienamente; che se per fargli ricuperare la vista adopera metodi energici di cura, li sopporti pazientemente fino a poter dire, mosso dal desiderio della luce: Ma quando, finalmente, potrò vedere con occhio fermo questa luce sulla quale i miei occhi ammalati non sono riusciti a fermarsi?

Egli allora prega il medico, lo spinge ad affrettare la guarigione.

Fratelli, se voi avete provato qualcosa di simile nei vostri cuori, se in qualche modo avete elevato il vostro intimo per vedere il Verbo, e, abbagliati dalla sua luce, siete ripiombati nei comuni pensieri mortali, pregate il medico che vi dia un collirio efficace, e cioè i precetti della giustizia.

C'è, infatti, ciò che desideri vedere; ma tu non hai i mezzi per vederlo.

Prima non credevi che esistesse ciò che vuoi vedere: ma ora, sotto la guida della ragione, ti sei sì avvicinato, hai visto, ma sei rimasto abbagliato e sei fuggito.

Sai con certezza che esiste ciò che desideri vedere: ma anche che non sei ancora in grado di fissarvi lo sguardo.

Dunque, curati. Cos'è, in realtà, quello di cui il collirio è il simbolo?

Non mentire, non essere spergiuro, non essere adultero, non rubare, non ingannare.

Ti eri abituato a queste cose e provi dolore a staccartene: tutto ciò punge, ma risana.

Ora ti voglio parlare più apertamente a mio e a tuo timore: se cesserai la cura e rinunzierai a divenire capace di godere di questa luce, di godere cioè della completa guarigione degli occhi, significa che amerai le tenebre; e amando le tenebre, nelle tenebre rimarrai.

Restando nelle tenebre, finirai con l'essere gettato in quelle tenebre che stanno fuori dove ci saranno soltanto lacrime e stridore di denti ( Mt 22,13 ). Se non può niente su di te l'amore della luce, che almeno faccia qualcosa la paura del dolore.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 18,11

4. - Dobbiamo respingere ciò che passa e aderire ai beni eterni

Nella natura umana non v'è nulla di stabile e di costante, nulla di autosufficiente, nulla di assolutamente definitivo.

Le nostre considerazioni, al contrario, ruotano velocemente come un cerchio, mutando, talora, nello spazio d'un giorno o, addirittura, d'una sola ora.

C'è, insomma, da prestar fede più nell'incostanza dei venti, nella scia d'una nave che attraversa il mare, nel fugace piacere che recano i fantastici sogni notturni e nelle figure disegnate per gioco dai bimbi sulla sabbia, che non nella felicità degli uomini …

Il sapiente comprende queste cose, e le intende l'uomo saggio ( Os 14,10 ).

Chi riuscirà a sfuggire alle cose che passano?

Chi potrà affidarsi a qualcosa di stabile?

Chi sarà mai in grado di conoscere le cose presenti alla stregua di quelle trascorse?

Chi si affiderà ai frutti della speranza come a qualcosa di sicuro?

Chi riuscirà a distinguere la realtà dall'apparenza, confidando nell'una e senza tenere in alcun conto l'altra?

Chi riconoscerà la finzione dalla verità, la casa terrena dalla città celeste, il pellegrinaggio dalla dimora definitiva, le tenebre dalla luce, il fango dell'abisso dalla terra santa, la carne dallo spirito?

Chi saprà discernere Dio dal principe del mondo e l'ombra della morte dalla vita eterna?

Chi acquisterà i beni futuri a prezzo di quelli presenti, le ricchezze eterne in luogo di quelle che svaniscono, le realtà invisibili al posto di quelle materiali?

Beato colui il quale, dunque, giudicando e distinguendo tutto ciò con l'ausilio della spada del Verbo, che separa le cose migliori dalle peggiori, si dispone ad ascendere nel proprio cuore ( Sal 84,6 ), come afferma il divino Davide, e, fuggendo con tutte le forze da questa valle di lacrime, ricerca le cose di lassù.

Crocifisso, per il mondo, insieme con Cristo, con Cristo egli risorge per salire al cielo, erede di una vita non più fragile e ingannevole, ove il serpente non morde più sulla via né insidia il calcagno e il suo capo è schiacciato.

A noialtri, invece, lo stesso Davide, opportunamente, alla stregua d'un araldo fornito d'una sonora voce, si rivolge come in una solenne e pubblica proclamazione, chiamandoci duri di cuore e amanti della menzogna e raccomandandoci di non desiderare ardentemente i beni materiali né di ridurre tutta la felicità di questa vita unicamente all'abbondanza di grano e di vino, che non sono certo dei valori indistruttibili.

Anche il profeta Michea, da parte sua, accorgendosi del medesimo fatto e insultando coloro che strisciavano per terra e nutrivano un così alto concetto del bene, disse: Avvicinatevi ai monti eterni! Su, andatevene! Questo paese non è più per voi di riposo ( Mi 2,9-10 ).

Si tratta, pressappoco, delle stesse parole con le quali anche il nostro Signore e Salvatore ci esorta, allorché dice: Alzatevi, andiamo via di qui ( Gv 14,31 ) intendendo, con ciò, non soltanto portare via da quel luogo i discepoli che aveva a quel tempo, come qualcuno potrebbe ritenere, ma, al contrario, elevare dalla dimensione terrena a quella celeste tutti coloro che, in ogni tempo, avrebbero aderito a lui.

Gregorio di Nazianzo, L'amore per i poveri, 19,21

5. - La ricerca della vera felicità

Tutti amano la beatitudine; e perciò perversi sono gli uomini che vogliono essere malvagi mentre non vogliono essere infelici; e siccome indivisibile compagna della malvagità è la miseria, tali perversi non solo vogliono essere malvagi ma non miseri, il che è impossibile, ma addirittura vogliono essere malvagi per non essere infelici.

Che vuol dire quanto ho detto: dunque vogliono essere malvagi per non essere infelici?

Applicate un po' queste parole a tutti gli uomini che compiono il male: sempre vogliono essere felici.

Costui ruba: ti chiedi perché. Per fame, o per bisogno.

Dunque, per non essere misero è malvagio; e perciò è ancora più misero perché è malvagio.

Orbene, per scacciare la miseria e ottenere la felicità, tutti gli uomini compiono sia il bene che il male: sempre infatti vogliono essere felici.

Sia che vivano male, sia che vivano bene, vogliono essere felici.

Ma non capita a tutti essere ciò che tutti vogliono.

Perché tutti vogliono essere felici, ma non lo saranno se non quelli che hanno voluto essere giusti.

Ecco qui qualcuno che operando il male vuole essere felice.

In che modo? Con il denaro, con l'argento e l'oro, con i poderi, con le proprietà, con le case, con gli schiavi, con la pompa del secolo, con gli onori effimeri e perituri.

Possedendo qualcosa vogliono essere felici: tu cerca piuttosto ciò che è necessario per essere felice.

Essendo felice sarai senza dubbio migliore di quando sei misero.

Ma non può accadere che una cosa peggiore ti faccia migliore.

Sei un uomo: è peggiore di te quanto desideri e con cui brami di essere felice.

L'oro, l'argento e ogni cosa corporea che tanto brami acquistare, possedere, godere, sono inferiori a te.

Tu sei migliore, tu sei preferibile; eppure vuoi essere migliore di quanto sei, dato che vuoi essere felice mentre sei misero.

Infatti, essere felice è meglio che essere misero.

Vuoi essere migliore di te stesso, e cerchi, ti dai da fare per divenirlo con quelle cose che di te sono peggiori.

Tutto quanto cercherai in terra è peggiore di te.

É questo che ogni uomo desidera per il suo amico, così lo scongiura: Sii veramente migliore, così che, vedendoti veramente migliore, possiamo veramente godere per te.

E anche egli vuole ciò che desidera per l'amico.

Accetta il fedele consiglio.

Tu vuoi essere migliore, lo so, tutti lo sappiamo, tutti lo vogliamo; ebbene, cerca ciò che è migliore di te, per divenire migliore di quanto sei …

Non ti resta dunque che cercare ciò che è migliore della tua anima.

E cosa sarà, di grazia, se non il tuo Dio?

Non trovi altro che sia migliore dell'anima tua; perché quando la tua natura sarà perfetta, sarà uguagliata agli angeli.

Al di sopra non c'è altro che il Creatore.

Elevati dunque a lui, non disperarti, non dire: É molto lontano da me.

Ti è molto più difficile, probabilmente, avere l'oro che cerchi.

Anche se desidererai l'oro, forse non l'otterrai: invece se desidererai Dio, lo otterrai; perché ancor prima che tu lo volessi egli è venuto a te, sebbene la tua volontà si opponesse a lui, ti ha chiamato, quando ti sei convertito ti ha riempito di timore, e quando atterrito lo hai confessato, ti ha consolato.

Colui che ti ha dato ogni cosa, che ti ha fatto esistere, che anche ai malvagi che ti circondano dona il sole, dona la pioggia, dona i frutti, le sorgenti, la vita, la salute e tanto grandi consolazioni, riserba per te qualcosa che non darà ad altri se non a te.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 33,15.16

EMP I-45. - Le due opere della sapienza

La virtù non ha un solo aspetto.

L'esempio di Marta e di Maria ci mostra nelle opere dell'una la dedizione attiva, nell'altra l'attenzione religiosa del cuore alla parola di Dio.

Se questa attenzione è accompagnata da una fede profonda, è preferibile alle opere, come sta scritto: Maria ha scelto la parte migliore che non le sarà tolta ( Lc 10,42 ).

Sforziamoci dunque di possedere ciò che non potrà esserci tolto, ascoltando in modo attento, non distratto: perché accade che anche il seme della parola di Dio sia portato via, se è seminato lungo la strada ( Lc 8,5.12 ).

Sii dunque animato dal desiderio della sapienza, come Maria: è un'opera più grande, più perfetta.

Le preoccupazioni del ministero non ti impediscano di conoscere la parola celeste.

Non criticare e non giudicare oziosi coloro che si applicano alla ricerca della sapienza: perché Salomone, il pacifico, l'ha inviata perché dimori presso di lui ( Sap 9,10 ).

Non si tratta di rimproverare a Marta il suo servizio, tuttavia Maria ha la preferenza per aver scelto una parte migliore.

Gesù ha molteplici ricchezze e le distribuisce con larghezza: la più sapiente ha scelto l'essenziale.

D'altra parte gli apostoli non hanno ritenuto di dover abbandonare la parola di Dio per servire a mensa ( At 6,2 ).

Ma entrambe le cose sono opera della sapienza; perché anche Stefano era pieno di sapienza e fu scelto per il servizio.

Dunque, chi serve si riferisca a colui che insegna e il dottore esorti e animi colui che serve.

Perché il corpo della Chiesa è uno; e i suoi membri sono diversi ma hanno bisogno gli uni degli altri.

L'occhio non può dire alla mano: Non ho bisogno di te, né la testa ai piedi: Non ho bisogno di voi ( 1 Cor 12,21 ); e l'orecchio non può negare di appartenere al corpo.

Se certi membri sono più importanti, ciò non toglie che anche gli altri siano necessari.

La sapienza risiede nel capo, l'attività nelle mani.

« Il sapiente », dice L'Ecclesiaste, ha gli occhi nella sua testa ( Qo 2,14 ), perché il vero sapiente è colui che ha lo spirito nel Cristo e l'occhio interiore levato verso le altezze.

Ambrogio, Commento al vangelo di san Luca, 7,85-86

6. - Ascesa dell'anima

In quei giorni avvenne che egli se ne andò al monte per pregare, e passò la notte in preghiera a Dio ( Lc 6,12 ).

Non tutti coloro che pregano salgono sulla montagna - c'è infatti una preghiera che genera il peccato - ma colui che prega bene, elevandosi dai beni terreni a quelli celesti, raggiunge il vertice degli affetti sublimi.

Non sale invece la montagna chi ha cura delle ricchezze o degli onori del mondo, non raggiunge la vetta chi ha cupidigia dei beni altrui.

Sale la montagna chi cerca Dio, sale la cima chi implora, per la sua ascesa, l'aiuto di Dio.

Tutte le anime grandi, tutte le anime elevate raggiungono la vetta: il profeta non dice a uno qualsiasi: Sali sull'alta montagna, tu che dai la buona novella a Sion, eleva con forza la tua voce, tu che dai la buona novella a Gerusalemme ( Is 40,9 ).

Non con i passi del tuo corpo, ma con le tue azioni elevate sali questa montagna.

Segui Cristo, in modo che tu stesso possa divenire un monte.

Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 5,41

7. - L'elevazione dell'anima

Quando si dice che Dio è in cielo, occorre intendersi bene sul significato da attribuire a una simile affermazione.

Non vuol dire, infatti, che Dio rimane circoscritto in un determinato luogo - non sia mai! - né che lasci la terra priva della sua presenza; si intende, piuttosto, sottolineare la particolare familiarità e affinità che egli intrattiene con gli angeli.

Se anche noi, perciò, cerchiamo di avvicinarci a Dio, ecco che ci troviamo noi pure in cielo.

Che cosa m'importa, infatti, del cielo in sé e per sé, quando mi è consentito di vedere il Signore del cielo?

Quando io stesso sarò trasformato in cielo?

Verremo, disse infatti il Signore, io e il Padre mio, e prenderemo dimora in lui ( Gv 14,23 ).

Dell'anima, dunque, facciamo il nostro cielo!

Sereno e limpido è il cielo; anche durante il temporale, infatti, non diviene realmente scuro, poiché non è il suo aspetto a mutarsi, ma sono le nubi che sopraggiungono a nascondercelo.

Il cielo ha il sole; noi, a nostra volta, possediamo il sole della giustizia.

Ho affermato la possibilità di diventare come il cielo; ebbene, sostengo che si possa raggiungere una condizione ancor più bella e più nobile.

In che modo? Possedendo colui che è Signore anche del sole.

Il cielo appare, in ogni sua parte, terso e immacolato: né il freddo né la notte valgono a mutarlo.

Affinché così, allora, accada anche a noi, stiamo attenti a non lasciarci corrompere dalle sofferenze o dalla minaccia delle insidie diaboliche: perseveriamo, invece, nella purezza e nella continenza!

Il cielo è altissimo e assai distante dalla terra.

Cerchiamo, allora, di imitarlo, allontanandoci dalla terra e innalzandoci al di sopra di essa.

Come sarà possibile? Pensando ai beni celesti.

Il cielo rimane al di sopra dei temporali e delle tempeste e non ne subisce alcun effetto: anche noi lo potremmo, se soltanto lo volessimo.

Apparentemente, certo, sembra che i temporali investano il cielo; in realtà, però, esso non ne risente minimamente.

Ebbene, cerchiamo anche noi di non lasciarci trascinare dalle tempeste della vita, ancorché, esternamente, siamo costretti a subirle.

Come infatti, d'inverno, molti non riconoscono la bellezza del cielo, nella persuasione ch'esso possa mutar d'aspetto ( e i sapienti, d'altronde, sanno bene come alcun cambiamento non vi sia stato ); non diversamente accade anche a noi in talune circostanze dolorose: sono in molti, in tali occasioni, a ritenerci mutati, convinti come sono che le sventure abbiano toccato il nostro cuore.

Soltanto i sapienti, infatti, sanno che non è stato così.

Cerchiamo, allora, di diventare noi stessi cielo, salendo fino alla sua altezza; potremo vedere, così, che gli uomini non sono diversi dalle formiche e non distingueremo, non soltanto i poveri dai ricchi, ma, scorgendo un re e un governatore, non sapremo neppure dire se si tratti d'un sovrano o d'un privato cittadino.

Non riconosceremo né l'oro né l'argento né se un vestito sia di seta o di porpora.

Tutto ci apparirà piccolo come una mosca, se ci troveremo a quell'altezza, mentre lassù non ci turberà nessun tumulto, nessuna confusione, nessun clamore.

Ma come può accadere, mi si chiederà, che, camminando su questa terra, si possa ascendere a un'altezza così sublime?

Ebbene, non lo affermo solo a parole, ma vi mostro con i fatti coloro che sono realmente giunti a quell'altezza.

Chi mai sono questi? Paolo e i suoi seguaci, che, pur rimanendo sulla terra, salivano in cielo.

Ma che dico, in cielo? Si trovavano più in alto del cielo, e anche dell'altro cielo, e salirono sino allo stesso Dio.

Chi potrà mai separarci, scrisse infatti Paolo, dall'amore di Cristo?

La tribolazione, forse? Oppure l'angoscia o la persecuzione o la fame o la nudità o i pericoli o la spada ( Rm 8,35 )? …

Perché ti appaia chiaro, poi, che l'Apostolo era salito più in alto dei cieli, ascolta queste sue parole: Sono certo che né la morte né la vita né gli angeli né i principati né il presente né l'avvenire né altezza né profondità né qualsiasi altra creatura potrà separarci dall'amore di Dio che è in Cristo Gesù, Signore nostro ( Rm 8,38-39 ).

Vedi, allora, come la contemplazione, trascendendo tutte le cose, lo abbia condotto al di sopra, non soltanto di quest'universo materiale e di questi cieli, ma anche degli altri, se realmente vi sono?

Hai visto a quale altezza è salito il suo spirito

Che sublimi misteri ha contemplato, quando lo ha voluto, colui che aveva trascorso tutta la sua vita nei pubblici affari?

Allorché ne manifestiamo il desiderio, infatti, nessun ostacolo può impedire che chiunque si elevi.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei, 16,3

8. - La semplicità è un buon viatico per il cielo

Una facile esistenza che si smarrisca fra i piaceri si risolve in un penoso naufragio umano; la vita condotta dal volgo, infatti, alla ricerca di meschini godimenti, non è compatibile con l'autentico amore del bello e con il gusto di spiriti eletti.

Per sua natura, l'uomo è un animale dai sentimenti elevati e fieri, in cerca del bello: è la creatura dell'Unico realmente bello.

Una vita consacrata interamente al ventre è disdicevole, vergognosa, ripugnante e ridicola.

Nulla è più incompatibile con la natura divina del gusto del piacere, dell'essere affamati come dei passeri e dell'accoppiarsi come dei porci o delle capre.

Credere che il piacere rappresenti un bene, infatti, è sintomo d'una grossolanità senza limiti: l'amore per le ricchezze, poi, induce l'uomo ad allontanarsi dalla retta via per incamminarsi senza scrupoli verso la condotta più vergognosa, purché gli sia offerta la possibilità, come a una bestia, di nutrirsi d'ogni sorta di cibi, e ugualmente per le bevande, indulgendo ad ogni voluttuoso piacere.

Non a caso, infatti, è assai raro che il ricco possa farsi erede del regno di Dio.

Ma dove mai si preparano tante pietanze per riempire un solo stomaco?

Le cloache sono lì a rendere testimonianza della depravazione dell'ingordigia: il nostro ventre vi rigetta i resti del nostro pasto.

Perché raduniamo un numero così grande di coppieri, quando con un solo bicchiere si può soddisfare la sete?

Perché stipare gli armadi di vestiti? Perché gli oggetti d'oro?

E i gioielli, perché? Li teniamo in serbo per i ladri, per i malfattori, per gli sguardi invidiosi …

Ora, a noi che andiamo in cerca della verità, è necessario stare all'erta; ci dice, infatti, il Signore: Non portate borsa, né bisaccia, né calzari ( Lc 10,4 ), che sarebbe come dire: non procuratevi una ricchezza che non possa essere che ammassata in una borsa, non riempite le vostre casse come se metteste da parte la semenza in un sacco, ma dividete con i poveri ciò che possedete; non tormentate bestie da soma e animali domestici ( chiamati così in senso allegorico ), perché siano loro a trasportare i fardelli, come le scarpe dei ricchi.

Dobbiamo dunque sbarazzarci d'un mobilio troppo vistoso, delle coppe d'oro e di argento, della folla dei domestici e prendere con noi, in guisa di compagni belli e rispettabili raccomandati dal Pedagogo, la nostra personale operosità non disgiunta dalla semplicità; occorre, inoltre, marciare al ritmo del Logos, anche se abbiamo con noi moglie e figli: la famiglia, se la si sia educata a seguire una guida piena di saggezza, non rappresenta affatto un impedimento.

É altresì necessario che una donna che ami il suo sposo si procuri l'equipaggiamento idoneo per il viaggio, portando con sé, non diversamente dall'uomo, come buon viatico per il cammino verso il cielo, la semplicità e, al tempo stesso, una casta austerità.

Come il piede, infatti, rappresenta la misura di una calzatura, allo stesso modo il proprio corpo costituisce per ciascuno la misura di quanto gli è lecito possedere; il superfluo - ciò che chiamano « gioielli », ad esempio - e la mobilia sono piuttosto il fardello dei ricchi che non l'ornamento del corpo.

Colui che concentra ogni suo sforzo per salire al cielo dovrà servirsi della beneficenza come di un valido bastone di viaggio, dividendo quanto gli appartiene con chi si trova nella miseria: solo a questa condizione costui conseguirà il vero riposo.

Occorre ricordare, infatti, la Scrittura l'afferma, che la ricchezza d'un uomo rappresenta il riscatto della sua vita ( Pr 13,8 ), significando che, qualora egli sia ricco, sarà salvo nella misura in cui avrà reso anche gli altri partecipi dei propri beni.

Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 3, 37,1-41,2

9. - Fuga dal mondo in Dio

Siamo morti a questo mondo: perché ce ne preoccupiamo ancora?

Siamo morti con Cristo: perché ci preoccupiamo di questa vita?

Noi portiamo la morte di Cristo nel nostro corpo, affinché la vita di Cristo si manifesti in noi.

Non è dunque più la vita nostra, ma la vita di Cristo che noi viviamo: vita d'innocenza, vita di castità, vita di semplicità e di ogni virtù.

Siamo risorti con Cristo: viviamo in lui, con lui ascendiamo al cielo; così il serpente non potrà trovare su questa terra il nostro calcagno per morderlo.

Fuggiamo da quaggiù.

Puoi fuggire con l'animo anche se sei trattenuto col corpo: puoi essere qui ed essere insieme presente al Signore se l'anima tua a lui si unisce, se cammini con lui nei tuoi pensieri, se segui con la fede e non solo apparentemente le sue vie, se ti rifugi in lui.

É infatti rifugio e fortezza, come dice Davide: In te mi rifugiai e non fui ingannato ( Sal 77,3 ).

Dio è dunque il nostro rifugio.

Ma egli è nei cieli e sopra i cieli: lassù dobbiamo fuggire: là vi è pace, là vi è riposo da ogni fatica, là si banchetta nel grande sabato, come disse Mosè: I sabati saranno per voi giorno di banchetto sulla terra ( Lv 25,5 ).

É un banchetto pieno di letizia e tranquillità riposare in Cristo, contemplare la sua beatitudine.

Noi dunque che ci rifugiamo in Dio, ritorneremo al mondo?

Noi che siamo morti al peccato, ricadremo nel peccato?

Noi che abbiamo rinunciato al mondo e ai suoi usi, ci attaccheremo di nuovo al suo fango?

Fuggiamo da quaggiù, perché il tempo è breve.

Odi come fuggire: E chi ha moglie, come se non l'avesse; chi piange, come se non piangesse; chi gioisce, come se non gioisse; e chi compera, come se non possedesse; e chi usa dei beni di questo mondo, come se non ne usasse.

Passa infatti la figura di questo mondo ( 1 Cor 7,29-31 ).

Non passino dunque le nostre opere insieme con la transitoria figura del mondo, e neppure noi passiamo ma restiamo saldi nella verità.

Se restiamo in Cristo, restiamo nella verità; resteremo con lui e non passeremo in eterno.

Ambrogio , La fuga dal mondo, 44-46

10. - A chi sale interiormente Iddio appare sempre più in alto

Chi possiede un cuore puro, secondo la verace testimonianza del Signore, vede Dio ( Mt 5,8 ), riscuotendone una conoscenza sempre proporzionale alle proprie facoltà; a quanto, cioè, egli stesso sia all'altezza di recepire.

Ora la divinità, da parte sua, ha la proprietà d'essere infinita e indeterminata, giacché trascende qualsivoglia limite intelligibile.

Ciò che è insofferente di confini quanto alla grandezza della gloria, infatti, conformemente all'attestazione del Profeta, va considerato, da qualsiasi punto di vista, sempre nella medesima altezza.

Similmente, anche il grande Davide, compiendo nel cuore le sue belle ascensioni e salendo sempre più in alto, se ne uscì esclamando: « Signore, tu sei l'Altissimo in eterno! ».

Orbene, con siffatta espressione, come io ritengo, egli intendeva significare che, nel corso dell'eterno avvicendamento del tempo, colui che si eleva verso di te, trascende di continuo le dimensioni e l'altezza che gli sono proprie, crescendo di volta in volta, in virtù della sua benefica ascensione, proporzionalmente ai propri limiti.

Tu, però, sei l'Altissimo, eterno, né può accadere che tu venga mai scorto al di sotto di coloro che salgono, dal momento che, in rapporto ad essi, ti trovi sempre più in alto di quanti ascendono con le loro forze.

Riteniamo, perciò, che l'Apostolo voglia illustrare appunto queste cose riguardo alla natura dei beni ineffabili, allorché afferma che l'occhio, benché eserciti di continuo la sua facoltà, non ha tuttavia veduto quel bene: quest'organo, infatti, non percepisce gli oggetti nella loro reale dimensione, ma unicamente nella misura in cui esso riesce a comprenderli.

L'orecchio, a sua volta, pur ascoltando perfettamente ogni parola, non intende interamente il significato di quanto viene detto.

Il cuore dell'uomo, poi, non arriva a conoscerlo neppure chi è puro di cuore, per quanto vi si adoperi costantemente con tutte le sue forze.

Il concetto, infatti, è sempre più complesso di come viene inteso e non esaurisce in se stesso la ricerca: quello che viene considerato come il suo limite, diviene, per quanti vogliano salire in cerca di ciò che sta più in alto, il punto di partenza.

Gregorio di Nissa , Commento al Cantico dei cantici, 8

11. - Cristo al sommo grado

Non chiunque mi dice: « Signore! Signore! », entrerà nel regno dei cieli; ma colui che fa la volontà di Dio ( Mt 7,21 ).

E quest'ultimo, appunto, altri non è se non il solerte gnostico che, benché viva anch'egli ancora nella carne, ha tuttavia sconfitto le passioni mondane.

A riguardo, poi, degli avvenimenti futuri come di tutto ciò che ancora non si svolge al cospetto del suo sguardo, egli nutre una conoscenza così profonda e concepisce una visione talmente precisa da fargli ritenere che si stiano verificando sotto i suoi occhi meglio ancora che se ciò avvenisse realmente.

Ecco il bravo operaio, che si rallegra per quanto ha conosciuto, ancorché continui ad essere assillato e a dibattersi nella necessità di questa vita, non essendo ancora stimato degno di partecipare concretamente di ciò che ha conosciuto.

Perciò egli vive questa esistenza, fin quando vi si vede costretto, come qualcosa di estraneo che non gli appartiene.

Lo gnostico si rende altresì ben conto, peraltro, dell'ipocrisia rappresentata dal digiuno praticato il quarto giorno, mercoledì, e il sesto, venerdì: egli infatti « digiuna » per tutta la vita, allorché si astiene dalla cupidigia, dalla lussuria e dalle scaturigini di tutti i vizi.

Secondo la legge, si tiene lontano dalle cattive azioni; secondo la perfezione ispirata dal Vangelo, si astiene anche soltanto dai cattivi pensieri.

Lo assillano anche le tentazioni, non per suo emendamento, bensì, come abbiamo detto, per edificazione del prossimo che constata come lo gnostico, irretito anch'egli nei lacci delle fatiche e degli affanni, li abbia disprezzati e non se ne sia lasciato travolgere.

Parimenti riguardo alla voluttà: quanto mai esemplare, infatti, è il modello rappresentato da colui che, pur avendo avuto esperienza del piacere, se ne tenga poi lontano.

Cosa vi sarebbe di straordinario, altrimenti, nel fatto di astenersi da ciò di cui non si abbia conoscenza?

Lo gnostico, mettendo in pratica il precetto del Vangelo, trasforma in giorno del Signore quel giorno nel quale egli sradica il male e accoglie il bene nel proprio animo: così facendo, infatti, glorifica la risurrezione stessa del Signore.

E ancora, distogliendo il proprio sguardo dagli oggetti sensibili e, benché sembri vedere anche ciò che non vuole e sia tentato dalla cupidigia degli occhi, facendo violenza alla propria attitudine ad osservare la realtà materiale, consegue la verace contemplazione e ritiene di vedere il Signore.

Solo questo, infatti, vuole vedere e ascoltare; solo questo lo interessa davvero.

Attratto ormai solo dall'anima dei fratelli, può contemplare anche la bellezza della carne con l'anima stessa, divenuta avvezza a soffermarsi unicamente su ciò che è puro, lungi da ogni voluttà carnale.

Fratelli, poi, sono in realtà coloro i quali, in grazia del nuovo universo di eletti di cui sono entrati a far parte e in virtù della loro concordia e della comune essenza delle loro scelte morali, compiono le medesime opere e pensano e dicono cose sante e pure: è il Signore stesso che ha voluto che costoro, essendo stati eletti, si comportino a questo modo.

La fede, infatti, consiste nel compiere le stesse scelte; la conoscenza, nell'apprendere e nell'intendere le stesse cose; la speranza, infine, nell'agire in sintonia.

Se lo gnostico, ad esempio, per le esigenze della sopravvivenza, è costretto a dedicare una sia pur minima porzione di tempo alla propria alimentazione, si ritiene defraudato per il solo fatto di venir distratto da un'occupazione materiale.

Accade perciò talora che egli non dorma neppure, persuaso com'è che il sonno non sia conveniente a un eletto.

Ritiene, infatti, di essere un vero e proprio ospite e un pellegrino per tutto il corso della sua vita; pur vivendo in città, disprezza tutto quanto vi si trova e costituisce oggetto d'ammirazione per altri; vive nella città come in un deserto, affinché il contesto sociale, lungi dal condizionarlo, renda anzi palese la giustezza del suo modo di vivere.

Uno gnostico del genere, per dirla in breve, vivendo con rettitudine, esercitando scrupolosamente le proprie facoltà conoscitive, soccorrendo il prossimo e sollevandolo dalle sue difficoltà e rimediando alle insufficienze dell'anima altrui, compensa il fatto che gli apostoli non siano più fra noi.

Il che, tuttavia, non deve far dimenticare come ciascuno di noi sia, a un tempo, vigna e operaio di se stesso.

Mentre opera nel migliore dei modi possibile, lo gnostico ama tuttavia rimanere celato agli altri uomini: egli intende dimostrare al Signore e a se stesso di vivere secondo i comandamenti e di preferire la vita che ha scelto, in nome dei valori nei quali ha creduto.

Dice infatti il Signore: Dove si trova il cuore di un uomo, lì vi sarà anche il suo tesoro ( Mt 6,21 ).

In ossequio alla perfezione della carità, lo gnostico non esita di fronte a qualsiasi sacrificio: mai si tirerebbe indietro di fronte a un fratello assillato dal bisogno, nella consapevolezza di sopportare l'indigenza assai meglio di quel fratello.

Considera le sofferenze altrui come proprie e se, privandosi di quel poco che possiede per elargirlo in beneficenza, incorre in qualche danno, non soltanto sopporta di buon grado la sua sventura, ma aumenta altresì la sua generosità.

Possiede, infatti, una fede immacolata e schietta, dimostrandola concretamente: non soltanto a parole, ma anche con i fatti esalta il Vangelo, non ricevendo per questo lode dagli uomini, ma da Dio ( Rm 2,29 ), i cui insegnamenti mette costantemente in pratica.

La sua speranza lo ha separato dal resto del mondo, egli non gode delle cose belle che sono nella creazione, disprezzando con tutto il cuore quanto vi si trova; allo stesso tempo, però, ha pietà di coloro che, dopo la morte, saranno castigati e, a causa del supplizio, si vedranno costretti, contro la loro stessa volontà, a confessare Dio.

Lo gnostico ha sempre la coscienza tranquilla ed è ognora all'erta per la partenza, come « pellegrino e ospite » che si trovi fra beni lasciatigli in eredità, ma si preoccupi unicamente di ciò che davvero gli appartiene.

Ritiene come estraneo a lui tutto ciò che qui si trova, non soltanto rendendo ossequio ai comandamenti del Signore, ma partecipando, per così dire, con la sua stessa conoscenza, alla divina volontà.

Essendo giusto, è chiamato a conoscere intimamente il Signore e i suoi comandamenti e, come gnostico, gli è riconosciuto il diritto di regnare.

Disprezza, oltre l'oro, tutto ciò che si trova sopra e sotto la terra, da un confine all'altro dell'oceano: solo nel culto del Signore egli concentra le sue aspirazioni.

Perciò anche quando mangia, quando beve, quando prende moglie ( purché sia il Logos a volerlo ), persino mentre sogna, opera e pensa santamente, dedicandosi sempre, puro, alla preghiera.

Prega, anzi, in compagnia degli angeli; essendo ormai simile a loro; non si trova mai sottratto alla loro santa custodia e, benché preghi apparentemente da solo, un coro di angeli gli è accanto.

Clemente Alessandrino, Stromata, 7, 74,8-78,6

12. - Contemplare anche poco Dio è grande beatitudine

Giungere anche poco a toccar con la mente Dio è grande beatitudine; impossessarsene completamente è assolutamente impossibile.

Dio è oggetto della mente: lo si comprende; il corpo è oggetto degli occhi: lo si vede.

Ma credi forse di afferrare completamente il corpo con i tuoi occhi? Non lo puoi affatto.

Ciò che guardi, infatti, non lo vedi nella tua totalità …

Chi dunque può afferrare completamente Dio con l'occhio interiore?

Basta che lo tocchi, se il suo occhio è puro.

Ma se lo tocca, lo tocca con una specie di tatto incorporeo e spirituale, ma certo non lo afferra tutto; e ciò, solo se è puro.

E l'uomo diventa beato toccando col cuore ciò che è per sempre beato, ciò che è la stessa beatitudine eterna.

Ciò per cui l'uomo è vivo è la vita perpetua; ciò per cui l'uomo è sapiente, è la sapienza perfetta; ciò per cui l'uomo è illuminato, è il lume eterno.

Agostino, Discorsi, 117,3,5

13. - Dio, nutrimento dell'anima

O eterna verità e vera carità e cara eternità!

Tu sei il mio Dio, a te sospiro giorno e notte.

Quando ti conobbi la prima volta, mi sollevasti verso di te per farmi vedere come vi fosse qualcosa da vedere mentre io non potevo ancora vedere; respingesti il mio sguardo malfermo col tuo raggio folgorante, e io tutto tremai d'amore e terrore.

Mi scoprii lontano da te in una regione dissimile ove mi pareva di udire la tua voce dall'alto: « Io sono il nutrimento degli adulti.

Cresci, e mi mangerai, senza per questo trasformarmi in te, come il nutrimento della tua carne; ma tu ti trasformerai in me ».

Agostino, Le Confessioni, 7,10

EMP O-44. - « L'abbracciai e non lo lascerò più »

Tu che sei una di quelle vergini che fanno risplendere d'una luce spirituale la bellezza stessa del loro corpo; tu che giustamente sei paragonata alla Chiesa; tu, dico, che vegli durante la notte nella tua stanza: pensa sempre a Cristo e spera a ogni istante la sua venuta …

Cristo entra a porte chiuse e non può mancare di venire perché l'ha promesso.

Abbraccia dunque colui che hai cercato; avvicinati e ne sarai illuminata. Trattienilo.

Pregalo di non partire subito, di non allontanarsi.

La parola di Dio se ne va rapida; non si lascia prendere dai sonnolenti, né ritenere dai negligenti.

La tua anima le vada incontro.

Segui le tracce della parola divina poiché passa via rapidamente.

Che dice la sposa del Cantico? Lo cercai ma non lo trovai; lo chiamai ma non mi rispose ( Ct 5,6 ).

Tu che l'hai chiamato supplicandolo, tu che gli hai aperto, non credere di essergli dispiaciuta perché se n'è andato subito: egli permette che siamo provati.

D'altra parte, che dice nel Vangelo alla folla che lo reclama?

Anche alle altre città bisogna che annunci la buona novella del regno di Dio; infatti sono stato mandato per questo ( Lc 4,43 ).

Quanto a te, se ti sembra si sia allontanato, esci a cercarlo …

Ma chi altro se non la Chiesa potrà insegnarti come trattenere il Cristo?

Te lo ha indicato colle parole del Cantico: Da poco li avevo sorpassati, dice a proposito dei custodi, quando trovai l'amato dell'anima mia: l'ho trattenuto e non lo lascerò più ( Ct 3,4 ).

Come si trattiene Cristo? Non certo con le maglie di una rete, ma con i legami dell'amore.

Soltanto le corde dello spirito possono stringerlo, soltanto l'affetto del cuore lo può tenere.

Se anche tu vuoi trattenere il Cristo, cercalo continuamente senza temere la fatica.

Spesso lo si trova proprio tra i supplizi e sotto le mani stesse dei persecutori.

« Da poco li avevo sorpassati », abbiamo letto.

Soltanto pochi istanti dopo essere sfuggita alle mani dei persecutori, e affinché tu non soccomba alle potenze del mondo, Cristo ti verrà incontro e non permetterà che la prova si prolunghi.

Colei che cerca così Cristo, può dire: Lo abbracciai e non lo lascerò più finché non lo introdurrò alla casa di mia madre, nella stanza di colei che mi ha generata ( Ct 3,4 ).

La casa di tua madre o la sua stanza è l'intimità più segreta del tuo cuore.

Conoscila questa casa e tienila pulita.

Quando sarà pulita e la tua coscienza sarà pura da ogni macchia, questa casa spirituale si innalzerà poggiata sulla pietra angolare e lo Spirito Santo abiterà in lei.

Chi cerca così Cristo e lo prega, non è abbandonata, ma, al contrario, viene spesso da lui visitata.

Ambrogio, La verginità, 12-13

14. - Il crescente desiderio di contemplare Dio

Supponiamo che qualcuno si fosse trovato nei pressi di quella sorgente che, sgorgata in principio dalla terra, secondo la Scrittura, dava origine a un fiume talmente cospicuo da circondare tutta quanta la terra.

Ebbene, costui, nel vedere quella straordinaria quantità d'acqua scaturire continuamente da quella fonte, non avrebbe tuttavia affermato di aver visto tutta l'acqua che vi era: in che modo, infatti, avrebbe mai potuto scorgere ciò che si nasconde nelle viscere della terra?

Anche nel caso in cui questi si fosse trattenuto a lungo presso la sorgente, sarebbe sempre stato come se avesse intrapreso in quell'istante a contemplare quell'acqua.

Quest'ultima, infatti, non s'interrompe mai: sgorga senza posa, come se, in ogni momento, cominciasse allora a scaturire.

Non diversamente, anche colui che guarda verso l'infinita bellezza di Dio, si meraviglia di ciò che continuamente appare e non viene mai meno al desiderio di contemplare, giacché ciò che viene di volta in volta scoperto si presenta come assai più nuovo e straordinario di ciò che è già stato compreso: quello che è atteso, infatti, diventa più divino e grandioso di ciò che si ha già sotto gli occhi.

Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 11

15. - La fede ci fa vedere Dio

Unico è Iddio, che con il Verbo e la sapienza tutto ha fatto e ordinato.

Egli è il Demiurgo, che ha concesso il mondo al genere umano.

Non può essere conosciuto in tutta la sua grandezza da coloro che egli ha creato - nessuno ha potuto investigare la sua sublimità, né fra gli antichi né fra i contemporanei -, ma nel suo amore lo si può conoscere per mezzo di colui per cui tutto ha creato.

Questi è il suo Verbo, nostro Signore Gesù Cristo, che negli ultimi tempi si è fatto uomo tra gli uomini, per unire il principio alla fine, cioè l'uomo a Dio.

Per questo i profeti, ricevuto da lui il dono profetico, annunciarono la sua venuta nella carne, venuta che ha stretto in comunione e unità Dio all'uomo, secondo il beneplacito del Padre.

Fin dall'inizio, il Verbo di Dio aveva preannunciato che Dio si sarebbe fatto vedere dagli uomini sulla terra ( Bar 3,38 ), avrebbe conversato con loro e si sarebbe trattenuto in colloqui con l'opera da lui modellata per salvarla e accoglierla in sé, liberandoci dalle mani di tutti quelli che ci odiano ( Lc 1,71 ), cioè da ogni spirito di trasgressione, facendo sì che noi gli serviamo in santità e giustizia tutti i giorni della nostra vita ( Lc 1,75 ); così l'uomo, stretto allo Spirito di Dio, può accedere alla gloria del Padre …

I profeti annunciarono dunque che Dio si sarebbe mostrato agli uomini, come il Signore stesso dice: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio ( Mt 5,8 ).

Ma nessuno può vedere Dio in tutta la sua grandezza e nella sua gloria ineffabile, e continuare a vivere ( Es 33,20 ); il Padre è inaccessibile, ma nel suo amore, nella sua benignità e onnipotenza, anche questo concede egli a chi lo ama; cioè: vedere Dio - e per questo i profeti profetavano - poiché ciò che è impossibile agli uomini, è possibile a Dio ( Lc 18,27 ).

L'uomo da sé non può vedere Dio; ma Dio, se vuole, può farsi vedere agli uomini: a chi vuole, quando vuole e come vuole.

Dio può tutto: è stato visto allora nello spirito profetico; viene visto ora, per mezzo di suo Figlio, in modo consono all'adozione; sarà visto nel regno dei cieli secondo la sua paternità: prima lo Spirito disporrà gli uomini al Figlio di Dio, poi il Figlio li condurrà al Padre, il Padre donerà loro l'incorruttibilità e la vita eterna, che deriva solo dalla visione di Dio.

Chi vede la luce sta nella luce e partecipa alla sua chiarezza; così chi vede Dio è in Dio e partecipa al suo splendore.

Ma lo splendore di Dio dà la vita: chi vede Dio, perciò, ha la vita.

E così, colui che è inaccessibile, incomprensibile e invisibile, si rende visibile, comprensibile e accessibile agli uomini, per vivificare chi lo vede e lo contempla.

Se infatti la sua grandezza è insondabile, la sua bontà è tuttavia ineffabile; per questa sua bontà si fa vedere e dona la vita a chi lo vede.

É impossibile vivere senza vita, ma l'essenza stessa della vita deriva dalla partecipazione stessa a Dio, e la partecipazione a Dio consiste nel vederlo e nel godere della sua bontà.

Così gli uomini vedono Dio per poter vivere; questa visione li rende immortali e li fa giungere fino a lui.

Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4,20,4-6

16. - Il ritorno dell'anima nel paradiso

Quando si dice che Dio è « tutto in tutti », ritengo si debba intendere che egli sia anche tutto in ciascuna anima.

E lo sarà in maniera che qualsiasi cosa possa avvertire o intendere o pensare un'anima razionale, purificata dai residui di tutti i vizi e completamente liberata da ogni ombra di malizia; qualsiasi cosa, dicevo, sia, in realtà, Dio solo.

L'anima, trovandosi in una condizione del genere, null'altro sarà in grado di percepire all'infuori di Dio; lui solo possiederà; Dio soltanto diverrà l'obiettivo delle sue aspirazioni, la sostanza del suo modo di essere, la motivazione della sua attività.

É in questo modo che Dio rappresenterà davvero « tutto » … e un'anima, che sarà costantemente radicata nel bene, non avvertirà più il desiderio di nutrirsi dei frutti dell'albero della scienza del bene e del male ( Gen 2,8-16 ).

Origene, I principi, 4, 6,3

17. - La comunità in cammino verso Dio

Non lasciatevi ingannare da nessuno!

Né, del resto, voi lo consentireste, dal momento che appartenete tutti a Dio.

Non esiste fra voi alcuna discordia che vi laceri: è certo, pertanto, che vivete come Dio vuole.

Io sono la vostra vittima: mi offro per voi in olocausto, o efesini, Chiesa celebrata nei secoli!

Gli uomini che vivono secondo la carne non possono compiere opere spirituali ( Rm 8,5 ), così come a coloro che si comportano secondo lo spirito non è dato di compiere quelle carnali.

La fede, similmente, non mette in atto opere ispirate dall'incredulità, né l'incredulità opere di fede.

Anche ciò che voi operate in questa carne, tuttavia, sono opere spirituali: voi fate ogni cosa, infatti, in Gesù Cristo.

Mi è giunta notizia del fatto che sono passati tra di voi alcuni, provenienti di laggiù [ Ignazio sorvola con discrezione sul nome delle località di provenienza di questi predicatori eterodossi, perché ben noti ai destinatari della lettera ], per diffondere una perversa dottrina.

Voi, però, non avete consentito che spargessero la loro semenza in mezzo a voi: vi siete, anzi, turate le orecchie, perché non accogliessero la loro parola.

Voi siete, certo, le pietre del Padre, preparate per la costruzione da lui compiuta, innalzate con l'argano di Gesù Cristo, che è la croce, e con la corda dello Spirito Santo: la fede è la vostra leva e la carità è la via che vi sospinge verso Dio.

Partecipate tutti alla medesima processione, portatori di Dio e di Cristo, del tempio e degli oggetti sacri, tutti rivestiti dei comandamenti di Gesù Cristo.

Io mi compiaccio d'essere stato ritenuto degno di intrattenermi con voi attraverso questo scritto, congratulandomi con voi per il fatto che, nella nuova vita, nient'altro amate all'infuori di Dio solo.

Pregate incessantemente ( 1 Ts 5,17 ), anche in nome di tutti gli altri uomini: anche per loro, infatti, vi è speranza di conversione e di unione a Dio.

Consentite, almeno, che essi apprendano dal modello che voi offrite loro.

Alla loro collera, infatti, si contrappone la vostra mitezza; alla loro vanagloria, la vostra umiltà; alle loro bestemmie, le vostre preghiere; al loro errore, la solidità della vostra fede ( Col 1,23 ); alla loro violenza, la vostra dolcezza che vi impedisce di rendere male per male.

Mostriamoci come loro fratelli, in virtù della nostra bontà, cercando di imitare il Signore.

Chi, infatti, ha mai sofferto maggiori ingiustizie, privazioni, umiliazioni?

L'erba del demonio non spunti in alcun modo fra di voi: rimanete invece uniti con ogni purezza e saggezza, nel nome di Gesù Cristo, sia con il corpo che con l'anima.

Ignazio di Antiochia, Lettera agli Efesini, 8-10

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