Teologia dei Padri

Indice

I santi

EMP O-27. - La pace del cuore, pegno del riposo eterno

Lo Spirito Santo darà ai giusti la pace perfetta nell'eternità.

Ma fin da ora, dona loro una pace grandissima quando accende nei loro cuori il fuoco celeste della carità.

Infatti l'Apostolo dice: La speranza non inganna, perché l'amore di Dio è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori dallo Spirito Santo che ci è stato dato ( Rm 5,5 ).

La vera, o meglio, la sola pace delle anime su questa terra consiste nell'essere ripieni dell'amore divino e animati dalla speranza del cielo, tanto da arrivare a considerare come poca cosa i successi o le disgrazie di questo mondo, a spogliarsi completamente dei desideri terreni, a rinunciare alle bramosie del mondo e a rallegrarsi delle ingiurie e delle persecuzioni subite per Cristo, così che si può dire con l'Apostolo: Noi ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio.

Non solo, ma ci gloriamo pure delle tribolazioni ( Rm 5,2-3 ).

É in errore colui che crede di poter trovare la pace nel godimento dei beni della terra e nella ricchezza.

Le frequenti tribolazioni di quaggiù e la fine stessa di questo mondo dovrebbero renderlo consapevole d'aver posto le fondamenta della sua pace nella sabbia.

Al contrario, tutti coloro che, toccati dal soffio dello Spirito Santo, hanno preso su di sé il giogo soavissimo dell'amore di Dio, e che, seguendo il suo esempio, hanno imparato ad essere dolci e umili di cuore, godono fin d'ora di una pace che è già l'immagine del riposo eterno.

Separati, nel profondo del loro cuore, dalla frenesia degli uomini, essi hanno la gioia di riconoscere ovunque il volto del loro creatore, e hanno sete di raggiungere la sua perfetta contemplazione, dicendo con l'apostolo Giovanni: « Noi sappiamo che quando ciò verrà manifestato, saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è » ( 1 Gv 3,2 ).

Se desideriamo giungere alla ricompensa di questa visione, noi dobbiamo costantemente richiamarci alla memoria il santo Evangelo e mostrarci insensibili alle seduzioni mondane.

In tal modo, noi diverremo degni di ricevere la grazia dello Spirito Santo che il mondo non è capace di accogliere.

Amiamo il Cristo e osserviamo con perseveranza i suoi comandamenti che abbiamo cominciato a seguire.

Più lo ameremo, più ci meriteremo di essere amati dal Padre, ed egli stesso ci accorderà la grazia del suo amore immenso nell'eternità.

Ora, ci concede di credere e di sperare; allora noi lo vedremo faccia a faccia e si manifesterà a noi nella gloria che già aveva presso il Padre prima che il mondo fosse.

Beda il Venerabile, Omelia 12 ( per la vigilia di Pentecoste )

1. - Dio lavora alla perfezione dei santi

Anche ciò che agli uomini sembra perfetto, davanti alla perfezione di Dio è ancora imperfetto.

Gli artisti lavorano a lungo, e poi mostrano l'opera agli inesperti.

Quando questi giudicano che l'opera sia già perfetta, gli artisti vi pongono ancora mano.

Essi sanno ciò che le manca, e gli uomini si stupiscono che opere da loro ritenute già perfette, abbiano bisogno ancora di tante rifiniture …

Così anche quei santi sembrava che agli occhi di Dio fossero senza colpa, fossero perfetti, fossero degli angeli; ma lui sapeva ciò che loro mancava.

Dico questo, perché i cristiani sappiano - essi, che già conoscono il Cristo, per i quali egli venne nella carne, che tanto egli ama, avendo versato per loro il suo sangue -, perché essi sappiano, dunque, quanto debbano ancora venir battuti, per quanto siano avanzati in perfezione.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 99

EMP O-9. - Ammirazione di Agostino per il vescovo Ambrogio

Mia madre amava Ambrogio, come un angelo di Dio.

Lui poi amava mia madre per la sua vita religiosissima, fatta di opere buone, vissuta in fervore di spirito, frequentando la chiesa.

Spesso, quando mi vedeva, non si tratteneva dal tesserne l'elogio, congratulandosi con me, che avevo una tal madre.

Ignorava quale figlio ella avesse in me, dubbioso di tutto e convinto dell'impossibilità di trovare la via della vita.

Io non ti invocavo ancora con gemiti, o Signore, perché tu venissi in mio aiuto: il mio spirito era invece tutto intento alla ricerca e senza pace nelle discussioni.

Lo stesso Ambrogio era per me un uomo qualsiasi, fortunato secondo il giudizio del mondo, perché onorato dalle più alte autorità: solo il suo celibato mi appariva gravoso e pieno di pena.

Ma quali speranze egli nutrisse, quali lotte sostenesse contro le tentazioni che gli venivano dalla sua stessa grandezza, quali consolazioni trovasse nelle avversità e quali gioie saporose gustasse la bocca segreta che aveva nel cuore, ruminando il tuo pane, io non potevo saperlo e non l'avevo mai provato.

E neppure lui sapeva le mie tempeste e il pericolo che correvo di precipitare nell'abisso.

Non mi era infatti possibile interrogarlo su ciò che volevo e come volevo, impedito com'ero dall'ascoltarlo e dal parlargli da una turba di uomini affaccendati, a cui si prestava interamente, soccorrendoli nelle loro angustie.

Quando non era occupato con costoro - il che gli accadeva per un tempo brevissimo - ristorava il corpo con l'alimento indispensabile o l'anima con la lettura.

Ma quando leggeva, i suoi occhi correvano sulle pagine e il cuore ne penetrava il senso, mentre la voce e la lingua riposavano.

Spesso, trovandoci là - non era infatti proibito a nessuno di entrare, né c'era l'usanza di annunziargli i visitatori - lo vedemmo leggere tacitamente e mai in altra maniera.

E dopo essere rimasti seduti a lungo senza dire nulla - e chi avrebbe osato disturbare una persona così immersa nella sua concentrazione? - andavamo via, supponendo che egli avesse piacere di non essere distratto, durante il poco tempo che trovava per ricreare il proprio spirito, lontano dal tumulto degli affari degli altri …

Certo è che non mi si offriva nessuna occasione di rivolgere a quel tuo oracolo così santo, cioè al cuore di quell'uomo, le domande che desideravo, a meno che si trattasse di un'udienza molto breve.

Invece le mie tempeste esigevano di trovarlo disponibile a lungo per riversarsi su di lui, ma completamente disponibile non lo trovavano mai.

Lo ascoltavo tuttavia tutte le domeniche mentre spiegava rettamente la parola di verità in mezzo al popolo e sempre più mi convincevo che tutti i nodi degli astuti cavilli, intrecciati dai miei ingannatori contro i libri divini, potevano essere sciolti.

Agostino, Le Confessioni, 6,2-3

EMP O-40. - Gli inizi della vita monastica di sant'Antonio

Alla morte dei suoi genitori, Antonio rimase solo con una sorella ancor giovane.

Egli aveva tra i diciotto e i vent'anni e si prese cura della casa e della sorella.

Sei mesi più tardi, mentre si recava in chiesa, come d'abitudine, pensava agli apostoli che avevano abbandonato tutto per seguire il Salvatore, ai primi cristiani i quali, come dice il libro degli Atti, avevano venduto tutto deponendone il ricavato ai piedi degli apostoli affinché lo distribuissero ai bisognosi, pensava alla grande speranza che a tutti loro era riservata in cielo.

Tutto preso da questi pensieri, entrò in chiesa.

Si stava leggendo il Vangelo, là dove il Signore dice al giovane ricco: Se vuoi essere perfetto, va', vendi ciò che possiedi, e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi ( Mt 19,21 ).

Subito Antonio pensò che era stato il Signore ad ispirargli quei santi esempi, e che quella lettura lo riguardava personalmente.

Uscito di chiesa, distribuì alla gente del villaggio le trecento misure di terra fertile che aveva ereditato, per non sentirsi imbarazzato o impedito, né lui né sua sorella; poi vendette i beni mobili e ne distribuì il ricavato ai poveri, salvo il poco che mise da parte per la sorella.

Un'altra volta che era entrato in chiesa, Antonio udì nel Vangelo questa parola del Signore: Non preoccupatevi del domani ( Mt 6,34 ).

Allora, non potendo sopportare di restare come era, uscì e distribuì ai poveri quello che ancora gli rimaneva.

Raccomandò la sorella a delle vergini fedeli e conosciute, affidandola a loro perché la educassero.

Poi, invece di restare a casa, si mise a condurre una vita d'asceta, tutto dedito alla sua anima e controllandosi con fermezza.

A quei tempi, i monasteri non erano ancora numerosi in Egitto e nessun monaco conosceva il deserto lontano; chi voleva pensare a se stesso, lo faceva da solo, non lontano dal proprio villaggio …

Antonio fece proprio in questa maniera, risoluto di non più ritornare alla casa paterna e di non pensare più ai suoi.

Ogni suo desiderio e tutti i suoi sforzi tendevano alla perfezione della vita ascetica.

Avendo sentito che colui che non lavora non deve mangiare ( 2 Ts 3,10 ), lavorava con le proprie mani e così guadagnava per procurarsi il pane e per soccorrere i poveri.

Saputo anche che la preghiera interiore non può cessare ( Mt 6,6; 1 Ts 5,17 ), pregava continuamente.

Era talmente attento alla lettura che niente delle Scritture gli sfuggiva e la memoria gli serviva ormai da libro.

Con questo genere di vita, Antonio si faceva amare da tutti …

Non ebbe mai alcuna questione con la gente vicina, se non che voleva essere superiore a tutti nella virtù.

Lo faceva tuttavia in modo tale che nessuno se ne rattristava, anzi ne gioiva.

Quelli che vivevano nelle vicinanze e lo conoscevano, vedendolo vivere così, lo chiamavano amico di Dio e lo amavano come un figlio o come un fratello.

Atanasio, Vita di Antonio, 2-4

2. - Cristo abita nei santi

Tutti gli uomini santi hanno Dio in sé.

Sappiamo bene che egli era nei patriarchi, che parlava nei profeti; crediamo che non solo gli apostoli e i martiri, ma tutti i santi di Dio, tutti i servi di Dio hanno lo Spirito di Dio in sé, secondo il detto: Siete il tempio del Dio vivente ( 2 Cor 6,16 ); e ancora: Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito del Signore abita in voi? ( 1 Cor 3,16 ).

Tutti dunque sono accoglitori di Dio …

Ma ben lungi sia l'empietà dell'abominevole errore di paragonare la creatura al suo Creatore, gli schiavi al loro signore, la fragilità terrena al Dio della terra e del cielo; in tal modo gli si farebbe torto per i suoi doni: perché si degna di porre la sua abitazione nell'uomo, proprio per questo lo si ritiene uomo.

E anzi fra lui e tutti i santi vi è la differenza che corre tra la casa e chi la abita: il fatto di abitarla non dipende dalla casa, ma da chi la abita; questi a suo grado la edifica e la abita, cioè la rende abitabile e, dopo averla costruita, si degna di abitarla …

Tutti i patriarchi, dunque, i profeti, gli apostoli, i martiri, tutti i santi ebbero certo Dio in sé, tutti divennero figli di Dio e tutti furono accoglitori di Dio; ma in modo e per motivi molto dissimili.

Tutti coloro che credono in Dio, sono infatti figli di Dio per adozione; solo l'Unigenito è Figlio per natura.

Egli non è stato generato da qualche materia ad opera del Padre, perché ogni cosa e ogni materia esiste per mezzo del Figlio unigenito; e non è stato generato dal nulla, perché proviene dal Padre; non come da un parto, perché nulla in Dio si è svuotato o mutato, ma in modo ineffabile e incomprensibile il Dio Padre ha generato il suo Unigenito in ciò che in lui è ingenito; e così dal Padre sommo, eterno e ingenito deriva il Figlio sommo eterno e unigenito; e dobbiamo ritenerlo nella carne ciò che lo riteniamo in spirito, ciò che dobbiamo ritenerlo nella sua maestà, perché nascendo nella carne non diede luogo a nessuna divisione o scissura in sé …

Tutta la pienezza della divinità, come dice l'Apostolo, abita in Cristo corporalmente ( Col 2,9 ) …

Tale divisione è dell'uomo, non di Dio; e così, quanto può l'umana debolezza, si umili di fronte a Dio, si assoggetti a Dio, si faccia abitazione di Dio e meriti con la fede e la devozione di avere in sé Dio come ospite, Dio come abitatore.

Ciascuno infatti viene compensato dalla divina grazia quanto il dono di Dio lo rende idoneo.

E se qualcuno viene ritenuto degno di Dio gode della venuta di Dio, secondo la promessa del Signore: Se qualcuno mi ama e osserva la mia parola, io e il mio Padre verremo da lui e prenderemo abitazione presso di lui ( Gv 14,23 ).

Ben diversa è la situazione di Cristo, in cui « tutta la pienezza della divinità abita corporalmente », che ha in sé tale sovrabbondanza da elargire a tutti gli altri dalla propria pienezza.

Egli, portando in sé la pienezza della divinità, abita in ciascuno dei suoi santi in quanto li considera degni di porre in loro la sua abitazione, e dona a ciascuno della propria pienezza; in modo però da conservarla sempre inalterata in sé.

Egli, anche quando col suo corpo era sulla terra, era tuttavia presente alle anime di tutti i santi; riempiva i cieli, le terre, il mare e tutto l'universo con la sua potenza e la sua maestà infinite; ed era tutto in se stesso, tanto che l'universo intero non poteva contenerlo.

Per quanto infatti siano grandi e ineffabili le creature, nessuna tuttavia è tanto ampia, così immensa da poter accogliere il proprio creatore.

Giovanni Cassiano, L'incarnazione di Cristo, 5,3-4

EMP O-25. - La parola al servizio della fede

La mia intera esistenza si esprime in rapporto a te, Padre, Dio onnipotente: e poiché ne sono consapevole, voglio che ogni mia parola, il mio essere intero, sia rivelazione di te.

La più grande gioia che possa arrecarmi il dono della parola che tu mi hai fatto è la possibilità di servirti proclamando quello che tu sei: il Padre, il Padre del Dio unigenito; facendoti conoscere al mondo che ti ignora o ti nega volontariamente.

Questa è almeno la mia ferma volontà.

Per il resto, dobbiamo chiedere il dono del tuo aiuto e della tua misericordia, perché, ora che abbiamo spiegato per te le vele della nostra fiducia e della nostra fede, tu voglia gonfiarle col soffio del tuo Spirito e spingerci lungo la corrente della predicazione in cui ci siamo impegnati.

Davvero non ci è infedele colui che ci fa questa promessa: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto ( Lc 11,9 ).

Siamo poveri, e dobbiamo mendicare quello che ci manca.

Possiamo, sì, applicarci tenacemente a scrutare le parole dei tuoi profeti e dei tuoi apostoli; possiamo bussare a tutte le porte del mistero.

Ma soltanto tu, Signore, puoi dare a chi prega, farti trovare da chi ti cerca, aprire a chi bussa.

La nostra pesantezza umana ci rende pigri e insensibili; se cerchiamo di penetrare nei tuoi misteri, restiamo prigionieri dell'ignoranza per la debolezza della nostra natura.

Ma l'attenzione ai tuoi insegnamenti ci mette in sintonia col mistero di Dio, e l'obbedienza della fede ci fa andare al di là della ragione naturale.

Per questo, mentre ci accingiamo trepidanti a questa impresa, aspettiamo da te il dono del coraggio, e poi, a mano a mano che progrediremo, quello della perseveranza.

Chiamaci a una comunione profonda con i profeti e gli apostoli, perché noi possiamo cogliere le loro parole nel significato originario e penetrare così fino alla realtà che le ha generate.

Noi abbiamo ricevuto la missione di dire apertamente ciò che da essi è stato preannunciato in figura: tu sei il Dio eterno, Padre di un Dio eterno, il tuo Figlio unigenito.

Tu solo non conosci nascita, e solo il Signore Gesù Cristo è nato da te eternamente …

Egli deve essere proclamato vero Dio, nato da te, il Padre, il vero Dio.

Aprici dunque il significato delle parole, dacci la luce dell'intelligenza, il rispetto dei testi; dacci la fede fondata nella verità.

Fa' che noi esprimiamo quello che crediamo e che, basandoci sulla testimonianza dei profeti e degli apostoli, proclamiamo te, unico Dio e Padre, e l'unico Signore Gesù Cristo.

Ilario di Poitiers, La Trinità, 1,37-38

3. - La battaglia spirituale nei santi

I santi sentono di cadere ogni giorno, aggravati dal peso dei pensieri terreni, dalla loro altezza spirituale e sentono di essere trascinati anche senza avvedersene dalla legge del peccato e della morte e, per omettere il resto, sentono che le opere buone e giuste, ma terrene tuttavia, li distolgono dalla presenza del Signore.

Hanno perciò ben materia per gemere incessantemente al Signore, hanno ben donde per riconoscersi umiliati e compunti, non solo a parole, ma nell'intimo affetto, come peccatori; e anche per chiedere sinceramente perdono per tutto ciò che ogni giorno commettono, sconfitti dalla fragilità della loro carne, e per effondere incessantemente lacrime di vera penitenza.

E vedono che in questa situazione, per la quale sono continuamente tribolati dal dolore, resteranno avvinti fino all'estremo della loro vita, e che non riescono a offrire a Dio le loro suppliche senza l'afflizione di pensieri ansiosi.

Sperimentando così che, sotto l'oppressione della carne, non possono raggiungere con le forze umane il loro fine bramato e che non possono unirsi, secondo il desiderio del loro cuore, al Bene sommo e precipuo ma che vengono attratti alle realtà umane e da esse imprigionati, cercano rifugio nella grazia di Dio che giustifica gli empi ed esclamano con l'Apostolo: O uomo infelice!

Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio, per Gesù Cristo nostro Signore ( Rm 7,24-25 ).

Sentono di non poter compiere il bene che vogliono e di incorrere continuamente nel male che non vogliono e odiano, cioè nell'instabilità dei pensieri e nella preoccupazione delle realtà sensibili.

Essi si dilettano della legge di Dio, secondo l'uomo interiore che, al di là di tutte le cose visibili, si sforza sempre di unirsi a Dio solo.

Tuttavia vedono un'altra legge nelle loro membra, insita cioè nella situazione della natura umana, che contraddice alla legge del loro spirito.

Essa opprime il loro spirito sotto la schiavitù della violenta legge del peccato, costringendolo cioè ad assoggettarsi ai pensieri terreni, abbandonando il Bene sommo e principale.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 23,10-11

4. - I santi si sforzano di liberarsi dai ceppi della corporeità

Nessuno è in grado, prima della morte, di lodare Dio perfettamente, come nessuno può venir detto in questa vita certamente beato, perché il suo futuro è incerto.

La morte è dunque la separazione dell'anima dal corpo, e sappiamo che l'Apostolo preferiva separarsi dal corpo ed essere con Cristo; e certo questo è meglio assai ( Fil 1,23 ).

Questa separazione, poi, che cosa produce, se non che il corpo si scioglie e riposa, mentre l'anima entra nella sua pace, è libera, e, se devota, sta per sempre con Cristo?

E che altro fanno dunque i giusti in questa vita, se non liberarsi dalle macchie di questo corpo che ci inceppano come vincoli, se non tentare di liberarsi dalle sue molestie, rinunciando alle sue voluttà e alla sua lussuria, fuggendo le fiamme dei piaceri?

Chi agisce così, traccia in questa vita l'immagine della morte, se riesce ad agire in modo che muoiano in lui tutti i piaceri del corpo ed egli stesso muoia a tutte le cupidigie e a tutte le lusinghe mondane, come lo era Paolo quando diceva: Il mondo per me è crocifisso, e io per il mondo ( Gal 6,14 ).

E per ammaestrarci che in questa vita vi è la morte, anzi la buona morte, ci esorta a portare attorno sempre nel corpo i patimenti di Gesù, affinché la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo ( 2 Cor 4,10 ).

Operi dunque in noi la morte, e produca la vita.

É buona la vita dopo la morte, cioè è buona la vita dopo la vittoria, è buona la vita alla conclusione della battaglia, quando la legge della carne non si opporrà più alla legge dello spirito, quando non dovremo più combattere con questo corpo di morte, ma saremo in esso vittoriosi.

Non so perciò se sia di maggior efficacia la morte o la vita.

Certamente mi scuote l'autorità dell'Apostolo che dice: Perciò la morte agisce in noi, in voi, invece, la vita ( 2 Cor 4,12 ).

La morte di uno, quanti popoli ha portato alla vita!

L'Apostolo dunque ci insegna che chi è in questa vita deve desiderare una tale morte, perché risplenda nel nostro corpo la morte di Cristo.

É beata la morte che dissolve l'uomo esteriore e rinnova l'uomo interiore, che abbatte la nostra casa terrestre per prepararci un'abitazione in cielo.

Attua questa morte chi si scioglie dall'attaccamento a questa carne e spezza i vincoli di cui parla il Signore per bocca di Isaia: Sciogli ogni legame di ingiustizia, spezza i legami delle mutazioni violente, rimanda liberi i vinti e rompi ogni determinazione iniqua ( Is 58,6 ).

Attua la morte in sé anche chi si spoglia dei piaceri e si eleva ai diletti eterni, entrando in quella celeste abitazione in cui dimorava Paolo ancora in questa vita - altrimenti non avrebbe detto: La nostra dimora è nei cieli ( Fil 3,20 ), frase che ci fa comprendere il suo merito ed è materia di meditazione -.

Lassù dunque era fissa la sua meditazione, lassù dimorava la sua anima, lassù era la sua sapienza.

Il sapiente, infatti, ricercando il bene divino, scioglie l'anima sua dal corpo; spezza il legame con questa sua tenda, quando si dedica alla scienza del vero, che desidera gli appaia nuda e svelata: perciò cerca di liberarsi dalle reti, dalle nebbie di questo corpo.

Non con le mani, non con gli occhi o le orecchie possiamo comprendere quella somma verità, perché ciò che si vede è temporale, ciò che non si vede è eterno.

Per questo, spesso la vista ci inganna e non vediamo le cose come stanno; per questo ci inganna anche l'udito.

Perciò contempliamo non quello che si vede, ma quello che non si vede, se vogliamo evitare l'inganno.

E quando l'anima nostra sfugge l'inganno, quando raggiunge il trono della verità, se non quando si allontana da questo corpo, dai suoi inganni, dalle sue illusioni?

L'inganna la vista degli occhi, l'inganna l'udito delle orecchie: abbandoni dunque tutto ciò e se ne allontani.

Per questo l'Apostolo esclama: Non toccate, non palpate, non gustate tutto ciò che porta alla corruzione ( Col 2,21 ).

Porta la corruzione l'indulgenza per il corpo.

Perciò mostrando che non con l'indulgenza per il corpo ma con l'elevazione dell'animo, con l'umiltà del cuore egli aveva trovato la verità, soggiunge: « La nostra dimora è nei cieli ».

Lassù dunque l'anima cerchi la verità che è e che sempre rimane, lassù si raccolga in se stessa e raccolga tutta la forza della sua virtù.

Ambrogio, Il bene della morte, 8-10

5. - Delicatezza di coscienza dei santi

Poniamo che in una casa grande, piena di molti oggetti, vasi, pacchi entrino due individui: uno dalla vista sana e acuta, l'altro afflitto da qualche malanno agli occhi; certo costui che ha la vista troppo debole per vedere tutto, riterrà che non vi sia altro se non armadi, letti, sedie, tavoli, e tutto ciò che si presenta non tanto agli occhi di chi guarda, quanto alle mani di chi tocca.

Al contrario l'altro, che con l'acutezza del suo sguardo penetra anche negli angoli più occulti, dirà che ivi si trovano moltissimi oggetti, anche piccolissimi, tanto che è difficile dirne il numero, così che se si ammucchiassero tutti insieme, con la loro quantità pareggerebbero la mole degli oggetti toccati dall'altro, o addirittura la supererebbero.

Precisamente in questo modo i santi, i « vedenti », per così dire, il cui primo pensiero è la perfezione, percepiscono con acutezza in se stessi anche ciò che lo sguardo ottenebrato della nostra anima non vede, e lo condannano con forza.

Essi, che secondo la nostra superficiale valutazione non hanno mai offuscato la purezza della loro coscienza con la macchia di un piccolo peccato, vedono se stessi ricoperti di molte macchie …

Ma noi, storditi dalla nostra stoltezza, e quasi colpiti da cecità, non vediamo in noi nulla, se non le colpe capitali e riteniamo di dover evitare solo ciò che anche le leggi secolari condannano severamente; e se ci sentiamo anche un po' solo immuni da ciò, subito crediamo che in noi non vi sia peccato.

Ben lontani, dunque, dal numero dei « vedenti », non vedendo le molte piccole macchie accumulate in noi, non siamo rimorsi da compunzione salutare quando la tristezza affligge il nostro spirito;

non ci rincresce di venir mossi dalla suggestione sottile della vanagloria;

non piangiamo che la nostra orazione è tiepida e tardiva;

non riteniamo colpa tutto ciò che di diverso dall'orazione entra nella nostra mente durante la preghiera o il canto sacro;

non tremiamo perché ciò che ci vergogniamo compiere o dire davanti agli uomini lo tratteniamo senza rossore nel nostro intimo, ben sapendo che è palese al divino cospetto;

non laviamo con calde lacrime la sozzura dei sogni turpi;

non piangiamo perché nella stessa elemosina, quando sovveniamo alle necessità dei fratelli o distribuiamo cibo ai poveri, l'avarizia obnubila la nostra serenità;

e non crediamo di soffrire danno quando, dimenticandoci di Dio, pensiamo alle realtà temporali e corporee.

Giovanni Cassiano, Conferenze, 23,6-7

6. - Non basta invocare i santi

Non rimaniamo ad aspettare passivamente l'aiuto degli altri!

Le preghiere rivolte ai santi, infatti, hanno sì grandissima efficacia, a condizione, però, che noi ci convertiamo davvero e mutiamo la condotta della nostra vita …

Fino a quando, perciò, rimarremo inerti e passivi, non potremo esser salvati da un intervento esterno; se, invece, diverremo persone consapevoli, saremo in grado di soccorrerci da noi stessi, in maniera ancora più efficace di quanto potrebbe farlo l'aiuto altrui.

Dio, infatti, preferisce concedere la sua grazia direttamente a noi, piuttosto che a qualcun altro che interceda in nostro favore, perché nell'intento di placare la sua collera, noi acquistiamo fiducia in lui e cerchiamo di migliorare la nostra vita.

É per questo motivo che il Signore si mostrò misericordioso nei confronti della cananea ( Mt 15,21-28 ) e salvò l'adultera ( Gv 8,3ss ) e il ladrone ( Lc 23,43 ), senza l'intervento di alcun mediatore o intercessore.

Non dico tutto questo, d'altronde, per indurvi a non invocare i santi, ma perché non vi lasciate andare e, addormentandovi nell'inerzia, non deleghiate esclusivamente ad altri l'incarico di pensare alla vostra salvezza.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 5,4-5

EMP N-8. - Per amore di Cristo, dare tutto se stessi

Nessuno come san Paolo ha mostrato chi è l'uomo, ha messo in evidenza la grandezza della sua natura e le capacità di cui è dotato …

Ogni giorno egli dava tutto se stesso e faceva fronte ai pericoli che lo assillavano con un coraggio sempre nuovo, come testimoniano le sue stesse parole: Dimenticando quanto sta dietro di me, mi protendo verso quello che mi sta davanti ( Fil 3,13 ).

E di fronte alla prospettiva della morte invita gli altri a condividere la sua gioia dicendo: Godetene e rallegratevene con me ( Fil 2,18 ).

In mezzo ai pericoli, alle ingiurie e alle umiliazioni, esulta di nuovo, e scrive ai Corinti: Mi compiaccio delle mie debolezze, delle ingiurie, delle persecuzioni ( 2 Cor 12,10 ) …

Per Paolo, una cosa sola era da temere e da fuggire: offendere Dio; una cosa sola era da desiderare: piacere a lui.

E non solo non lo attiravano i beni terreni, ma neppure i beni eterni …

Da questo si vede quanto fosse ardente il suo amore per Cristo.

Affascinato da lui, non si lasciò conquistare dalla grandezza degli angeli e degli arcangeli, né da niente altro.

Aveva in sé qualcosa di più grande di tutto questo, l'amore di Cristo.

Con questo amore si stimava il più felice degli uomini …

Con questo amore preferiva essere tra gli ultimi, anzi tra i disprezzati, piuttosto che senza di esso tra le persone più autorevoli e più onorate.

Venir meno a questo amore sarebbe stato per san Paolo l'unica vera pena, l'inferno, il castigo, il male infinito …

Tutte le cose di quaggiù che non gli comunicavano questo amore gli apparivano prive di significato, né penose né piacevoli.

Disprezzava ogni realtà visibile, come si fa poco conto di una pianta che appassisce.

I popoli in agitazione e i loro capi gli apparivano grandi come insetti.

La morte, i supplizi, i tormenti, giochi di bambini, pur di soffrire per il Cristo …

Avrebbe considerato come un premio l'andarsene per essere con Cristo; restare nella carne significava per lui un combattimento continuo.

Eppure scelse proprio questo, definendolo ancora necessario per lui.

Restare separato da Cristo era per lui una lotta e una sofferenza ben più gravi di tutte le altre.

Essere con lui, era la fine della lotta, il premio della fatica.

Ed egli scelse il combattimento per amore di Cristo …

Nessuno ha mai pianto le proprie disgrazie così accoratamente quanto Paolo i mali altrui.

Quali potevano essere, infatti, le sue disposizioni, quando chiese di essere escluso dalla gloria del cielo pur di salvare il popolo ebreo che non aveva accolto la salvezza?

Questa preghiera mette in evidenza che la cosa più penosa per lui era che il popolo ebreo non si salvasse …

E non era una semplice preghiera, ma un grido che partiva dal profondo: Ho una grande tristezza e un continuo dolore nel mio cuore ( Rm 9,2 ).

Giovanni Crisostomo, Omelia 2, Panegirico per san Paolo

7. - La venerazione dei martiri

Non eleviamo templi ai nostri martiri, non organizziamo per loro collegi sacerdotali, cerimonie e sacrifici: non essi, infatti, ma il loro Dio è il nostro Dio.

Onoriamo certo la loro memoria di santi uomini di Dio, che combatterono fino alla morte del loro corpo per la verità, affinché si diffondesse la vera religione e fossero smascherati i culti falsi e finti - cosa che se qualcuno prima sentiva in sé, la reprimeva con timore -.

Quale fedele ha mai sentito il sacerdote, davanti all'altare eretto sul corpo santo di un martire a onore e culto di Dio, dire nelle sue preghiere: Ti offro in sacrificio, Pietro, oppure Paolo oppure Cipriano?

Solo a Dio si offre il sacrificio; a Dio che li fece uomini e li fece martiri, associandoli all'onore celeste dei santi suoi angeli.

In tali celebrazioni ringraziamo il Dio vero per la loro vittoria, e, rinnovando la loro memoria, esortiamo noi stessi a imitare le loro corone e le loro palme, invocando lo stesso loro aiuto divino.

Dunque, qualsiasi forma di culto i cristiani devoti svolgano sulle tombe dei martiri, si tratta di celebrazioni della loro memoria, non di cerimonie o sacrifici offerti ai morti come fossero dèi.

Agostino, La città di Dio, 8,27

EMP N-22. - La vittoria della carità in santo Stefano

Ieri abbiamo celebrato la nascita nel tempo del nostro Re eterno; oggi celebriamo la passione vittoriosa del suo soldato.

Ieri il nostro Re, indossata la veste della carne umana, si è degnato uscire dalla dimora di un grembo verginale, per visitare il mondo; oggi il soldato lascia la tenda del corpo per entrare trionfalmente in cielo …

Il nostro Re, pur essendo l'Altissimo, è venuto per noi nell'umiltà, ma non ha potuto venire senza doni.

Ha portato infatti ai suoi soldati un dono grande, con cui non solo li ha arricchiti largamente, ma li ha dotati di una forza invincibile per la lotta.

Ha portato infatti il dono della carità, per condurre gli uomini alla comunione con Dio.

Tutto quello che recava con sé, lo ha dato senza contare: ha arricchito meravigliosamente la povertà dei suoi, senza essere in nulla sminuito, mantenendo anzi la pienezza dei suoi inesauribili tesori.

La carità dunque, che fece discendere il Cristo dal cielo sulla terra, ha sollevato Stefano dalla terra al cielo.

La carità, che prima si era mostrata nel Re, rifulse poi nel soldato …

Stefano dunque, per essere degno di ricevere la corona indicata dal suo nome [ « stephanos », in greco, significa appunto corona ], aveva per armi la carità e con essa vinceva dappertutto.

Per amore di Dio non ha ceduto al furore dei giudei, per amore del prossimo ha interceduto per coloro che lo lapidavano.

Per amore riprendeva quegli sviati, perché si correggessero; per amore pregava per quelli che lo lapidavano, perché non fossero puniti.

Sostenuto dalla potenza dell'amore, vinse il crudele furore di Saulo e meritò di avere come compagno in cielo il suo persecutore sulla terra.

La sua santa carità, che non venne mai meno, desiderò conquistare con la preghiera coloro che non aveva potuto convertire con la parola …

Per questo, ora Paolo condivide la felicità di Stefano, gode con Stefano della gloria del Cristo, esulta con Stefano, regna con Stefano.

Dove Stefano è giunto per primo, lapidato da Paolo, lì è giunto pure Paolo, aiutato dalla preghiera di Stefano.

Quale vera vita, fratelli miei, è quella in cui Paolo non si vergogna più dell'uccisione di Stefano, ma dove Stefano si rallegra della comunione con Paolo!

É la carità che gode in ambedue.

In Stefano la carità ha vinto la durezza dei giudei; in Paolo la carità ha coperto una moltitudine di peccati ( 1 Pt 4,8 ).

La carità ha meritato ad entrambi il possesso del regno dei cieli.

La carità è la fonte e origine di tutti i beni, la più eccellente difesa, la via che porta al cielo.

Chi cammina nella carità non può sbagliarsi né temere.

Essa dirige, protegge, guida alla meta.

Perciò, fratelli, dato che il Cristo ha drizzato la scala della carità, per la quale ogni cristiano può salire al cielo, aggrappatevi fortemente a questa pura carità, donatevela a vicenda e salite insieme, progredendo in essa.

Fulgenzio di Ruspe, Discorsi, 3, 1,3-5.6

EMP N-25. - Il martirio di Policarpo

Il tumulto fu grande, quando si seppe che Policarpo era stato arrestato.

Il proconsole se lo fece condurre e gli chiese se era lui Policarpo.

Egli rispose di sì; il proconsole cercava allora di indurlo a rinnegare dicendo: « Abbi riguardo alla tua età » e a questo aggiungeva tutto quello che abitualmente si dice in simili circostanze …

« Giura e ti libero; rinnega Cristo! ».

Ma Policarpo rispose: « Da ottantasei anni lo servo e non mi ha mai fatto alcun torto; come posso bestemmiare il mio re, colui che mi ha salvato? ».

Il proconsole continuava a insistere dicendo: « Giura per il nome di Cesare ».

E Policarpo: « Se credi che io giuri per il nome di Cesare e fingi di ignorare chi sono, ascolta, te lo dico con tutta franchezza: sono cristiano » …

Era tutto pieno di forza e di gioia e il suo volto risplendeva di grazia.

Non solo non si era lasciato abbattere né sconvolgere per quello che gli veniva detto, ma al contrario era il proconsole a essere fuori di sé.

Egli mandò il suo araldo nel mezzo dello stadio a proclamare per tre volte: « Policarpo ha confessato di essere cristiano! ».

Alle parole dell'araldo, tutta la folla dei pagani e dei giudei che abitavano a Smirne, con uno scoppio incontenibile di collera gridò a gran voce: « Questo è il maestro e il padre dei cristiani d'Asia, colui che distrugge i nostri idoli e induce tanta gente a non offrire sacrifici e a non adorare gli dèi ».

Dicendo questo, la folla gridava e chiedeva all'asiarca Filippo di far lanciare un leone contro Policarpo, ma egli rispose che non ne aveva il diritto, perché gli spettacoli delle belve erano già finiti.

Allora tutti insieme urlarono: « Policarpo sia bruciato vivo! » …

Quando il rogo fu pronto, egli si tolse tutti gli abiti, si sciolse la cintura e prese a slacciarsi i calzari: cosa che non faceva mai da sé, perché i fedeli andavano a gara nel toccare per primi il suo corpo, tanto era venerato già prima del martirio per la santità della sua vita …

Allora lo legarono: egli mise le mani dietro il dorso e fu legato come un ariete, scelto dal gregge in gradito sacrificio d'olocausto a Dio.

Poi alzò gli occhi al cielo e disse: « Signore, Dio onnipotente, Padre dell'amato e benedetto tuo Figlio Gesù Cristo, per mezzo del quale abbiamo conosciuto te, Dio degli angeli, delle potestà, di tutto il creato e dei giusti che vivono alla tua presenza, io ti benedico per avermi ritenuto degno di vivere questo giorno e questa ora e di aver parte, con il numero dei martiri, al calice del tuo Cristo, alla risurrezione della vita eterna dell'anima e del corpo, nell'incorruttibilità dello Spirito Santo.

Possa io essere oggi accolto tra loro al tuo cospetto, come un pingue sacrificio a te gradito, così come tu avevi predisposto, preannunciato e realizzato, o Dio di verità, che non conosci menzogna.

Per questo e per tutte le cose io ti lodo, ti benedico, ti do gloria, per mezzo dell'eterno e sommo sacerdote Gesù Cristo, tuo Figlio diletto.

Per mezzo di lui a te sia gloria, in unione con lui e con lo Spirito Santo, ora e nei secoli futuri. Amen ».

Atti dei martiri, Martirio di san Policarpo, 9-10.12-14

EMP N-29. - Santa Perpetua racconta i suoi ultimi giorni di carcere

Pochi giorni dopo il nostro arresto, fummo gettate in carcere.

Ebbi molta paura: non mi ero mai trovata in un luogo così buio …

Più tardi i diaconi Terzo e Pomponio, che si erano messi a nostra disposizione, riuscirono a ottenerci col denaro il permesso di uscire dalla cella qualche ora al giorno per andare a respirare in un'ala meno opprimente.

Una volta fuori di là, ognuno faceva quello che voleva.

Io allattavo il mio bambino, sfinito per la fame; inquieta per lui, ne parlai a mia madre.

Cercai di far coraggio a mio fratello e gli raccomandai il bambino.

Mi struggevo nel vedere i miei soffrire per causa mia.

Fui tormentata da questa inquietudine per giorni e giorni; alla fine riuscii a ottenere che il bambino restasse con me in carcere.

Cominciò subito a stare bene, e così fui sollevata dalla pena e dalla preoccupazione.

Il carcere mi diventò un palazzo, tanto che preferivo essere là piuttosto che in qualsiasi altro luogo …

Dopo pochi giorni cominciò a correr voce che ci avrebbero interrogato.

Arrivò infatti mio padre dalla sua città, distrutto dal dolore.

Venne su da me per indurmi a cedere.

« Figlia mia - disse - abbi pietà dei miei capelli bianchi.

Abbi pietà di tuo padre, se sono ancora degno che tu mi chiami padre.

Se è vero che con queste mie mani ti ho portato fino al fiore della vita, se, tra tutti i tuoi fratelli, sei tu la preferita, non abbandonarmi allo scherno degli uomini.

Pensa ai tuoi fratelli, a tua madre, a tua zia; pensa a tuo figlio che senza di te non potrà vivere.

Torna sulla decisione che hai preso; non distruggere tutta la tua famiglia.

Nessuno di noi avrà più il diritto di parlare come persona libera, se tu sei condannata ».

Così mi parlava mio padre mosso dal suo affetto per me.

E intanto mi baciava le mani e mi si gettava ai piedi, chiamandomi non più « figlia », ma « signora ».

Io soffrivo nel vedere mio padre in quello stato.

Di tutta la mia famiglia, egli solo sarebbe stato incapace di trovare nella mia passione motivo di gioia.

Cercai di confortarlo dicendo: « Nel momento in cui saremo condotti in tribunale, accadrà quello che Dio vorrà.

Sappi che non siamo padroni di noi stessi, ma apparteniamo a Dio ». Mi lasciò sconsolato.

Un giorno finalmente, mentre stavamo pranzando, vennero improvvisamente a strapparci da tavola per condurci davanti ai giudice.

Arrivammo in tribunale. La notizia si diffonde nei quartieri vicini, e la gente accorre numerosissima.

Saliamo sul palco. Vengono interrogati gli altri: tutti confessano la loro fede.

Arriva il mio turno. Ed ecco che compare mio padre col bambino fra le braccia.

Mi strappa via dalla gradinata supplicandomi: « Abbi pietà del bambino! ».

Il procuratore Ilariano, che aveva preso il posto del proconsole defunto Minucio Timiniano, e deteneva il diritto di vita e di morte, mi disse: « Abbi pietà dei capelli bianchi di tuo padre, della tenera età del tuo bambino. Rendi l'atto di culto per l'imperatore ».

« No », risposi.

E Ilariano: « Sei cristiana? ».

« Sono cristiana », risposi.

Mio padre mi stava vicino per farmi cedere.

Allora Ilariano diede ordine di allontanarlo.

Lo colpirono con la verga.

Questo mi addolorò più che se avessero colpito me, tanto mi stava a cuore il mio anziano e infelice genitore.

Allora venne pronunciata la sentenza: eravamo tutti condannati alle fiere.

Scendemmo verso il carcere pieni di gioia.

Atti dei martiri, Passione delle sante Felicita e Perpetua, 3,5-6

7a. - Le reliquie dei martiri

Le reliquie dei martiri le onoriamo per adorare il Dio per il quale essi si sono fatti martiri!

Onoriamo i servi affinché l'onore che diamo ai servi ridondi sul loro padrone, che ha detto: Chi accoglie voi accoglie me ( Mt 10,40 ).

Ma sarebbero dunque impure le reliquie di Pietro e di Paolo?

Sarebbe dunque immondo il corpo di Mosè che secondo il testo ebraico autentico fu seppellito personalmente dal Signore?

Dunque, ogni volta che entriamo nelle basiliche degli apostoli, dei profeti e di tutti i martiri, ogni volta, dico, noi veneriamo - secondo loro - templi di idoli? dunque, i ceri accesi davanti alle loro tombe sarebbero emblemi idolatrici? …

Se le reliquie dei martiri non bisogna onorarle, come mai leggiamo: É preziosa, agli occhi del Signore, la morte dei suoi santi ( Sal 116,15 )?

Se le loro ossa contaminano chi le tocca, come mai Eliseo, da morto, ha risuscitato un morto ( 2 Re 13,21 ); e il suo corpo, che secondo Vigilanzio giaceva immondo, ha dato la vita a un altro?

Dunque, tutte le truppe dell'esercito di Israele e del popolo di Dio sarebbero state anch'esse immonde, dato che avevano portato nel deserto Giuseppe ( Es 13,19 ) e i corpi dei patriarchi, e avevano riportato nella terra santa delle ceneri immonde!

E Giuseppe, che è stato la figura anticipata del nostro Signore e Salvatore, fu anche lui un criminale per aver portato con tutta quella solennità le ossa di Giacobbe a Ebron ( Gen 49,29-31; Gen 50,5-13 ), per aver messo suo padre, impuro, assieme al nonno e al bisnonno, essi pure immondi, dato che ha unito un morto a altri morti?

Lo ripeto ancora: le reliquie dei martiri sono dunque immonde?

E quale punizione hanno allora meritato gli apostoli, che si sono messi in testa al corteo funebre del corpo impuro di Stefano, svoltosi con tutta quella grandiosità, e che hanno fatto per lui un gran pianto ( At 8,2 ) proprio perché la loro tristezza si cambiasse in gioia per noi?

Girolamo, Le Lettere, III, 109 ( al sacerdote Ripario )

EMP N-2. - Due fecondissimi semi del regno di Dio

Preziosa agli occhi del Signore, la morte dei suoi santi ( Sal 116,15 ).

Nessun genere di crudeltà può distruggere una religione fondata nel mistero della croce di Cristo.

La Chiesa non è indebolita dalle persecuzioni, al contrario, ne è rafforzata.

E il campo del Signore si riveste di una messe sempre più ricca, poiché i grani, che cadono ad uno ad uno, rinascono moltiplicati.

Quanto fecondi siano stati Pietro e Paolo, questi due splendidi germogli del seme divino, lo attesta il numero immenso dei santi martiri, che, emuli del trionfo dei due apostoli, hanno circondato la nostra città di schiere rivestite di porpora e circonfuse di viva luce.

Essi l'hanno come coronata di un unico diadema formato da molte pietre preziose.

Della loro protezione, carissimi, che è stata voluta da Dio come esempio di pazienza e per rafforzare la nostra fede, noi dobbiamo rallegrarci quando commemoriamo universalmente tutti i santi.

Ma è giusto che ci rallegriamo maggiormente della grandezza di questi due padri, che la grazia di Dio ha innalzato a tanta perfezione fra tutti i membri della Chiesa, da fare di essi, nel corpo di cui Cristo è il capo, come la luce degli occhi.

Quanto ai loro meriti e alle loro virtù, che non si possono esprimere a parole, non dobbiamo pensarli né distinguendoli né contrapponendoli: perché una stessa elezione li accomuna, una uguale missione li rende simili, una medesima fine li unisce.

Invece, come abbiamo sperimentato e come hanno testimoniato i nostri padri, noi crediamo e abbiamo la ferma speranza che, per ottenere la misericordia di Dio in mezzo a tutte le prove di questa vita, le preghiere di questi due speciali protettori ci sono di aiuto continuo.

Così, mentre i nostri peccati ci fanno cadere, i meriti di questi apostoli ci risollevano.

Leone Magno, Sermoni, 82,6-7

8. - Giudizio delle Chiese occidentali sul costume greco di spartire le reliquie

La serenissima sua devozione, tanto chiara per interesse alla religione e amore alla santità, mi ha comandato con le sue preghiere di trasmetterle il capo di san Paolo o qualche altra reliquia del suo corpo, per la chiesa che, in onore appunto di san Paolo, si sta edificando nel palazzo imperiale …

Sappia però la sua serenissima signoria che i romani non usano, quando si espongono le reliquie, toccare irriverentemente il corpo, ma solo pongono un panno in un vaso che viene posto presso i corpi sacri.

Questo poi viene tolto e rinchiuso, con la debita venerazione, nella chiesa che al santo viene dedicata; e ivi avvengono tanti prodigi come se fosse stato posto in essa precisamente il sacro corpo …

A Roma e in tutto l'Occidente non si tollera affatto e si considera sacrilegio se qualcuno tenta di toccare il corpo sacro.

E se osa farlo, certo la sua temerità non resterà impunita.

Perciò ci meravigliamo assai dell'usanza dei greci che asseriscono di togliere dai corpi sacri le ossa; a stento la crediamo.

Due anni fa giunsero qui alcuni monaci greci e, nel silenzio della notte, scavarono una fossa presso la chiesa di san Paolo, tolsero i corpi defunti dal cimitero e li conservarono nascosti fino alla loro partenza.

Arrestati e interrogati perché avessero fatto ciò, essi ammisero che volevano trasportare in Grecia le ossa delle reliquie dei santi.

Gregorio Magno, Lettere, 30 ( all'imperatrice Costantina )

EMP N-11.12. - Il primo discepolo del Signore

Andrea fu il primo ad accettare il Signore come suo maestro: è la primizia del collegio apostolico.

Il suo sguardo penetrante ha percepito la venuta del Signore, ha cambiato le istruzioni di Giovanni con l'insegnamento di Cristo, ha sigillato le parole del Battista.

Era il discepolo più stimato da Giovanni: al chiarore della lampada cercava la verità della luce e, sotto il suo scintillio indeciso, si abituava allo splendore di Cristo.

Giovanni, in piedi sulla riva del Giordano, fino a quel momento aveva battezzato le folle dei giudei, preparando nell'acqua, con la conversione, il rimedio alla legge di Mosè …

Ma quando venne il Signore, nascosto secondo il disegno della Sapienza e velando lo splendore della sua gloria sotto le spoglie di un mortale, Giovanni lo riconobbe.

Da maestro divenne servo e araldo coraggioso del Cristo presente davanti a lui.

Ecco, disse, l'Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo ( Gv 1,29 ).

Ecco colui che libera dalla morte; ecco colui che distrugge il peccato.

Io sono inviato non come lo sposo, ma come l'amico dello sposo.

Sono venuto come servo e non come padrone.

Colpito da queste parole, Andrea lascia il suo maestro e si volge di slancio verso colui che è annunciato.

Ha compreso il significato di questo linguaggio, e la sua lingua diventa più tagliente di quella del Battista.

Avanza verso il Signore, il suo desiderio traspare dal modo di camminare e in una corsa comune conduce con sé Giovanni l'evangelista.

Entrambi lasciano la lampada e camminano verso il Sole.

Andrea è la prima pianta del giardino apostolico: è lui che ha aperto le porte all'insegnamento di Cristo, fu il primo a cogliere i frutti del campo coltivato dai profeti.

Prevenendo la speranza di tutti gli altri, fu il primo ad accogliere colui che tutti attendevano.

Per primo dimostrò che i precetti della legge erano limitati a un periodo determinato, per primo abbandonò il linguaggio di Mosè e non volle che fosse più usato dopo la venuta di Cristo; non perché disprezzasse il dottore del popolo ebraico, ma perché più del messaggero onorava colui che l'aveva inviato.

Dirò di più, fu il primo a onorare Mosè, perché fu il primo a riconoscere colui che egli aveva annunciato dicendo: Il Signore tuo Dio ti susciterà un profeta come me, a quello darete ascolto ( Dt 18,15 ).

Mise da parte la Legge, ma per obbedire alla Legge …

Andrea aveva udito questa parola di Mosè: Il Signore tuo Dio, ti susciterà un profeta come me, a quello darete ascolto ( Dt 18,15 ).

Ora egli sente Giovanni Battista che esclama: Ecco l'Agnello di Dio ( Gv 1,29 ).

Appena lo vede, viene spontaneamente a lui; ha riconosciuto il profeta annunciato dalla profezia, e conduce per mano il fratello verso colui che ha trovato.

Mostra a Pietro il tesoro che egli non conosceva: Abbiamo trovato il Messia ( Gv 1,41 ), l'oggetto dei nostri desideri.

Attendevamo la sua venuta, contempliamolo ora; abbiamo trovato colui che la potente voce dei profeti ci ingiungeva di attendere, questo nostro tempo ci ha portato colui che la grazia aveva annunciato, colui che l'amore sperava di vedere.

Andrea andò dunque a trovare suo fratello Simone e condivise con lui il tesoro della sua contemplazione.

Condusse Pietro al Signore. Quale meraviglia!

Andrea non è ancora discepolo, ed è già diventato pastore di uomini.

Insegnando, impara, e acquista la dignità di apostolo: « abbiamo trovato il Messia »; dopo tante notti insonni sulle rive del Giordano, ora abbiamo trovato l'oggetto dei nostri desideri.

Pietro fu pronto a seguire questa chiamata; era fratello di Andrea e camminava pieno di fervore, acceso nel desiderio.

Prendendo Pietro con sé, Andrea condusse al Signore il proprio fratello secondo la carne e il sangue perché potesse godere del suo insegnamento: è la prima impresa di Andrea.

Ha fatto crescere il numero dei discepoli, ha presentato Pietro che Cristo sceglierà come capo dei suoi discepoli.

Inoltre se Pietro avrà in seguito un comportamento ammirevole, lo dovrà a ciò che Andrea aveva seminato.

Ma la lode rivolta a uno si riversa ugualmente sull'altro, perché il bene del primo appartiene al secondo, Andrea è glorificato per il bene di Pietro.

Quale gioia Pietro procurò a tutti quando rispose prontamente alla domanda del Signore, rompendo il silenzio imbarazzato dei discepoli! Disse Gesù: Chi dice la gente che sia il Figlio dell'uomo? ( Mt 16,13 ).

Allora, come se fosse la lingua di coloro che erano stati interrogati, e come se tutti rispondessero in lui, egli solo disse a nome di tutti: Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente ( Mt 16,16 ).

Con una sola frase proclamava il Maestro e la sua missione di salvezza.

Mirabile accordo di parole! Quelle di cui Andrea si è servito per condurre Pietro, il Padre le sottoscrive dall'alto quando le ispira a Pietro.

Andrea aveva detto: « Abbiamo trovato il Messia ».

Il Padre suggerisce a Pietro: « Tu sei il Messia, il Figlio del Dio vivente ».

Atanasio, Discorso in onore di sant'Andrea, 2-4

EMP O-3. - Discorso prima dell'esilio

Molti sono i flutti, l'uragano pauroso imperversa; ma non abbiamo paura di affondare: stiamo saldi sopra la roccia.

Infuri il mare, non può spezzare la roccia; si sollevino i marosi, non possono affondare la barca di Gesù.

Che cosa dovremmo temere? Ditemi voi.

La morte? Per me il vivere è Cristo e il morire un guadagno ( Fil 1,21 ).

L'esilio, forse? Del Signore è la terra e tutto quello che contiene ( Sal 24,1 ).

La confisca dei beni? Ma niente abbiamo portato in questo mondo e niente, senza dubbio, possiamo portar via ( 1 Tm 6,7 ).

Le grandi paure di questo mondo sono per me disprezzabili, i suoi profitti ridicoli.

Non temo povertà, non bramo ricchezza; non fuggo la morte, non richiedo di vivere se non per il vostro bene.

Per questo richiamo alla mente la situazione attuale e supplico la vostra carità ad avere fiducia.

Nessuno ci potrà separare: perché quel che Dio ha congiunto, l'uomo non può dividere ( Mt 19,6 ).

Se dell'uomo e della donna la Scrittura dice: perciò l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due saranno una carne sola ( Gen 2,24 ), non separi dunque l'uomo quello che Dio ha congiunto ( Mt 19,5.6 ); se non potete spezzare un matrimonio, quanto meno potrete dividere la Chiesa di Dio! …

Non sentite quel che dice il Signore: Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro ( Mt 18,20 )?

Dove c'è un popolo numeroso come questo, unito nella carità, il Signore non sarà presente?

Porto con me la sua caparra: mi affido forse alla mia propria forza?

Posseggo la sua assicurazione scritta: questo è il mio bastone, la mia sicurezza, il mio porto tranquillo.

Si sconvolga pure tutta la terra: io posseggo il suo testamento, lo rileggo: esso è per me una muraglia di difesa.

Che cosa esso dice? Io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo ( Mt 28,20 ).

Cristo è con me: di chi avrò paura? Anche se si scagliano contro di me i flutti, i mari, l'indignazione dei potenti, tutto ciò per me vale meno della tela di un ragno.

Se non fosse stato per amor vostro, non avrei esitato ad andarmene oggi stesso.

Sempre dico: O Signore, sia fatta la sua volontà ( Mt 6,10 ).

Non quel che vuole l'uno o l'altro, ma quel che vuoi tu.

Questa è la mia torre, questa è la mia roccia irremovibile, questo è il mio bastone che non vacilla.

Se si vuole che ciò avvenga, avvenga pure.

Se vuole che io rimanga qui, gliene sarò grato.

Dovunque vuole che vada, io gli renderò grazie …

Domani mi recherò insieme con voi alla preghiera comune.

Dove io sono, là sarete anche voi; dove siete voi, là sono anch'io: siamo un solo corpo; il corpo non può separarsi dal capo né il capo dal corpo.

Saremo lontani, rimarremo uniti nella carità: neppure la morte ci potrà separare.

Perché, anche se il mio corpo morrà, l'anima sarà viva e si ricorderà del suo popolo.

Giovanni Crisostomo, Discorso tenuto prima di andare in esilio, 1-3

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