Teologia dei Padri

Indice

Pazienza e fiducia

1. - La pazienza divina

Ciò che ci spinge ad esercitare la pazienza non è un impulso umano a un'imperturbabilità simile al torpore degli animali, ma la divina disposizione e l'ammaestramento vivo e celestiale, perché Dio stesso per primo ci ha dato esempio di pazienza.

Innanzitutto egli diffonde la rugiada della luce egualmente sui giusti e sugli ingiusti, fa che si presentino i benefici delle stagioni, il servizio degli elementi, i beni della forza rigeneratrice, sia ai degni che agli indegni; sostiene così i pagani ingrati, che adorano il misero frutto delle arti, le opere delle loro mani e perseguitano il suo nome e la sua famiglia; la loro lussuria, la loro avarizia, la loro scelleratezza, la loro malvagità che ogni giorno si manifesta, tanto che la sua pazienza sembra nuocere al suo onore: molti infatti non credono al Signore perché non lo vedono adirarsi contro il mondo.

Questa specie di pazienza divina la consideriamo forse lontana, adatta agli esseri superiori.

Ma che è di quella specie di pazienza che si manifestò tra gli uomini e sulla terra e si rese quasi palpabile e afferrabile?

Dio si compiacque di venir concepito nel seno materno, e attese con pazienza il momento della nascita.

Nato, sopportò di crescere; cresciuto, non desiderò di farsi conoscere.

Egli stesso osteggiò il proprio onore, si fece battezzare dal suo servo e solo con parole si oppose agli attacchi del tentatore.

E così il Signore si fece maestro per insegnare agli uomini a affrontare la morte, dopo aver insegnato come la pazienza offesa sappia riconciliarsi pienamente.

Egli non gridò, non contese, e nessuno udì la sua voce nelle piazze; non spezzò la canna fessa, non smorzò il lucignolo fumigante.

Il profeta non ha mentito: Dio stesso, che ha posto il suo Spirito con tutta la sua pazienza nel suo Figlio, gli ha piuttosto reso testimonianza.

Tutti coloro che volevano seguirlo, egli li accolse, non si vergognò di nessuna mensa, di nessun tetto, anzi, si fece egli stesso servo, lavando i piedi ai discepoli.

Non disprezzò i peccatori e i pubblicani; neppure si adirò per la città che non lo volle accogliere, mentre i suoi discepoli chiedevano perfino di far cadere il fuoco dal cielo su quel luogo iniquo.

Guarì gli ingrati e perdonò ai persecutori.

Ancor troppo poco! Anche il suo traditore egli aveva presso di sé e non lo stigmatizzò energicamente.

Quando fu tradito e fu condotto come una pecora al macello - ed egli non aprì la sua bocca, come un agnello davanti al tosatore -, egli, alla cui semplice parola, se avesse voluto, sarebbero apparse legioni di angeli, non volle neppure che la spada di uno solo dei suoi discepoli facesse vendetta.

La magnanimità del Signore venne ferita nella persona di Malco; per questo egli maledì, anche per il futuro, l'opera della spada, e beneficò colui che fu, non da lui, colpito, ridonandogli la salute, per la sua magnanimità, che è madre della misericordia.

Taccio la sua crocifissione, perché proprio a questo scopo egli venne.

Ma, per subire la morte erano necessari anche gli insulti?

No; ma egli volle saziare in pieno la sua brama di sopportare.

Viene ricoperto di sputi, flagellato, disprezzato, in modo oltraggioso vestito e, peggio ancora, incoronato.

Mirabile perseveranza e imperturbabilità!

Egli, che si era proposto di nascondersi sotto l'aspetto umano, non imitò in nulla l'impazienza dell'uomo.

Proprio per questo, o farisei, avreste dovuto riconoscerlo Signore …

Nessun uomo mai avrebbe mostrato una tale pazienza.

Tertulliano, La pazienza, 2-3

2. - Esortazione alla pazienza

Fratelli carissimi, conserviamo con somma cura la pazienza, per merito della quale restiamo nel Cristo e possiamo giungere col Cristo a Dio.

É ricca e copiosa, non si può chiudere in confini angusti né limitare in breve spazio.

Largamente si estende la virtù della pazienza, e la sua ricchezza, la sua vastità, pur sgorgando dall'unica fonte che ha questo nome, riversa la sua abbondante vena in molti canali di gloria; le nostre azioni non possono progredire fino al merito perfetto se non ricevono da essa forza di perfezione.

É la pazienza che ci segnala a Dio e per lui ci conserva; è essa che modera l'ira, che frena la lingua, che dirige il pensiero, custodisce la pace, conserva l'osservanza, spezza l'impeto delle passioni, comprime la violenza della vanagloria, estingue l'incendio dell'inganno; è essa che limita la potenza dei ricchi, allevia le necessità dei poveri, protegge nelle vergini la beata integrità, nelle vedove la laboriosa castità, nei coniugi la mutua carità.

Rende umili tra le prosperità, forti nelle avversità, miti contro le ingiurie e le contumelie.

Insegna a perdonare subito ai colpevoli e, se tu sei colpevole, a supplicare molto e a lungo.

Sbaraglia le tentazioni, tollera le persecuzioni, porta a compimento il dolore e il martirio.

É essa che consolida fortemente le fondamenta della nostra fede; è essa che solleva in alto la nostra speranza.

Dirige i nostri atti perché ci sia dato di mantenerci sulla via del Cristo, camminando sulle orme della sua pazienza.

Essa fa sì che noi restiamo figli di Dio, imitando la pazienza del Padre.

E poiché so, fratelli carissimi, che molti, angosciati per il peso delle ingiurie o addolorati per gli attacchi di chi li perseguita, desiderano essere presto vendicati, non posso, concludendo, tacere che tra i turbini tempestosi di questo mondo, tra le persecuzioni dei giudei o dei pagani ed eretici, dobbiamo aspettare con pazienza il giorno della vendetta, e non dobbiamo sollecitare con lamenti insofferenti, il castigo per i dolori a noi inferti; infatti sta scritto: Aspettami, dice il Signore, quale testimone nel giorno della mia risurrezione, perché il mio giudizio servirà a radunare tutte le genti: raccoglierò i re e riverserò su di loro la mia ira ( Sof 3,8 ).

Il Signore ci comanda di aspettare, di attendere con pazienza incrollabile il giorno della futura vendetta, dicendo personalmente nell'Apocalisse: Non sigillare le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è ormai vicino: e quelli che continuano a nuocere, nuocciano: quelli che sono tra le sozzure, siano ancora sordidi; ma il giusto compia ancora opere giuste, e parimenti il santo azioni ancor più sante.

Ecco, vengo presto, e con me vi è la mercede che darò: retribuire ciascuno secondo le sue opere ( Ap 22,10-12 ).

Perciò ai martiri che gridano e che sfogando il loro dolore sollecitano la vendetta, comanda di aspettare ancora e mostrare pazienza fino a quando si sarà compiuto il tempo, e sarà completato il numero dei martiri.

E quando aprì il quinto sigillo, vidi sotto l'altare di Dio le anime degli uomini uccisi per la parola di Dio e la sua testimonianza; e gridarono a gran voce dicendo: « Fino a quando, o Signore santo e vero, procrastini il giudizio e non vendichi il nostro sangue sugli abitatori della terra? ».

E a ciascuno di loro fu dato un abito candido e fu detto che stessero quieti ancor per poco tempo, finché fosse completo il numero dei loro fratelli e conservi, che, a loro esempio, sarebbero stati uccisi in seguito ( Ap 6,9-11 ).

Quando poi avrà luogo la vendetta divina sul sangue del giusto lo dichiara lo Spirito Santo, così dicendo per bocca del profeta Malachia: Ecco, viene il giorno del Signore, ardente come un forno; tutti gli estranei e tutti gli iniqui saranno come stoppa e il giorno che viene li abbrucerà, dice il Signore ( Ml 3,19 ).

Lo stesso leggiamo nei salmi, ove si preannuncia la venuta di Dio giudice, tremendo nella maestà del suo giudizio: Dio verrà solennemente, il Dio nostro, e non tacerà.

Arderà davanti a lui il fuoco e intorno a lui si scatenerà una grande tempesta.

Chiamerà i cieli dall'alto e anche la terra, per separare il suo popolo.

Raccogliete per lui i suoi santi, coloro che seguono i suoi precetti riguardo ai sacrifici.

E i cieli annunceranno la sua giustizia, perché Dio è giudice ( Sal 50,3-6 ).

E Isaia preannunciando gli stessi eventi dice: Ecco infatti che il Signore viene come un fuoco, e il suo carro come una procella, per fare vendetta nella sua ira.

Nel fuoco del Signore, infatti, si svolgerà il giudizio e la sua spada ferirà ( Is 66,15-16 ).

E ancora: Il Signore Dio degli eserciti verrà, spezzerà la guerra, susciterà la battaglia e griderà con forza sui suoi nemici: Ho taciuto; ma forse per sempre tacerò? ( Is 42,13-14 ).

Chi è costui che dice di aver prima taciuto, soggiungendo però che non tacerà per sempre?

Certamente colui che fu condotto come una pecora al sacrificio e come un agnello senza voce davanti a chi lo tosa, non aprì la sua bocca.

Certo colui che non gridò e la cui voce non si udì sulle piazze, certo colui che non resistette con ostinazione, offrendo il dorso ai flagelli e le guance agli schiaffi, e non sottraendo il suo volto alla sozzura degli sputi.

Certo colui che, accusato dai sacerdoti e dagli anziani, nulla rispose e mantenne un silenzio pieno di pazienza, suscitando la meraviglia di Pilato.

Questi è colui che, avendo taciuto nella sua passione, non tacerà alla fine nella sua vendetta.

Questi è il Dio nostro, cioè il Dio non di tutti, ma dei fedeli e dei credenti, che nel suo secondo avvento verrà manifesto e non tacerà.

Nella sua prima venuta restò nascosto nell'umiltà, ma venendo nella pienezza del suo potere si paleserà.

Aspettiamo lui, fratelli carissimi, giudice e vindice nostro, che vendicherà il popolo della sua Chiesa, la folla di tutti i giusti dall'inizio del mondo, e anche se stesso.

Chi troppo sollecita e affretta la sua venuta, consideri che lui stesso, il vendicatore, non si è ancora vendicato.

Dio Padre comanda di adorare suo Figlio, e l'apostolo Paolo, tenendo presente tale comando, esclama: Dio lo esaltò e gli donò il nome che è sopra ogni nome, tanto che nel nome di Gesù si pieghino tutte le ginocchia nel cielo, sulla terra e presso gli inferi ( Fil 2,9-10 ).

E nell'Apocalisse l'angelo si oppone recisamente a Giovanni che lo vuole adorare e gli dice: Bada di non farlo, perché sono conservo di te e dei tuoi fratelli.

Adora il Signore Gesù ( Ap 22,9 ).

Quanto è buono il Signore Gesù e quanta pazienza ha, se, adorato nei cieli, ancora non si vendica sulla terra.

A questa pazienza pensiamo, fratelli carissimi, nelle nostre persecuzioni e nei nostri dolori.

La sua venuta aspettiamo ossequiosi, e non sollecitiamo con fretta irreligiosa e invereconda la vendetta del Signore, noi che siamo solo suoi schiavi.

Cipriano, Il bene della pazienza, 20-24

EMP Z-2. - Imitare la pazienza di Dio

L'origine e la grandezza della pazienza vanno cercate in Dio.

L'uomo deve amare ciò che è caro a Dio: ora, la maestà divina raccomanda quel bene che essa ama.

Se Dio è per noi signore e padre, imitiamo la pazienza del signore come quella del padre: i servi infatti devono avere un profondo rispetto verso i loro padroni, e i figli non devono essere indegni dei loro padri.

E davvero, com'è grande la pazienza di Dio! …

Egli fa nascere il giorno, fa levare il sole sui buoni come sui cattivi; bagna la terra con le sue piogge, e nessuno è escluso dai suoi benefici, dal momento che l'acqua viene donata indistintamente ai giusti e agli ingiusti.

Noi lo vediamo agire con una pazienza sempre uguale nei confronti dei colpevoli e degli innocenti, delle persone che lo riconoscono e di quelle che lo negano, di coloro che sanno ringraziare e degli ingrati: per tutti indistintamente egli fa che le stagioni obbediscano al suo comando, gli elementi prestino il loro servizio, i venti soffino, le sorgenti zampillino.

Grazie a lui, le messi crescono in abbondanza, l'uva matura nei vigneti, gli alberi si curvano sotto il peso dei frutti, i boschi verdeggiano e i prati si coprono di fiori.

Le offese lo amareggiano spesso, anzi continuamente; e tuttavia Dio non dà sfogo alla sua indignazione, e aspetta pazientemente il giorno fissato per il giudizio.

E benché la vendetta sia in suo potere, egli preferisce pazientare a lungo, preferisce cioè nella sua clemenza, differire, aspettando che l'ostinata malizia dell'uomo, se mai possibile, subisca finalmente un mutamento; aspettando che l'uomo, immerso nel fango dei suoi errori e dei suoi peccati, si converta finalmente a Dio.

Egli stesso infatti ci dice: Non voglio la morte dei peccatore, ma che si converta e viva ( Ez 33,11 ).

E ancora: Ritornate a me ( Ml 3,7 ), volgetevi al Signore vostro Dio, perché egli è clemente e misericordioso, paziente e pieno di compassione e disposto a condonare il male ( Gl 2,13 ) …

Il Signore ci ha detto: Siate perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste ( Mt 5,48 ).

Con queste parole intende mostrarci che, figli di Dio e rigenerati dall'alto, noi raggiungiamo la perfezione piena solo quando la pazienza di Dio Padre abita in noi, quando la somiglianza divina, perduta col peccato di Adamo, si manifesta e risplende nelle nostre azioni.

Che gloria è per noi diventare simili a Dio, che felicità possedere una virtù paragonabile a quella che noi lodiamo in lui!

Cipriano, Il bene della pazienza, 3-5

3. - Sopportare la vita per morire con gioia

Certi uomini sopportano la morte; altri, che hanno raggiunto la perfezione, sopportano la vita.

Mi spiego. Chi ama ancora questa vita mortale, quando giunge la morte, la sopporta con pazienza, lotta contro se stesso, rassegnandosi alla volontà di Dio; e così agisce più per fare la volontà di Dio che non la propria: e dal desiderio della vita presente sorge una lotta tra lui e la morte; ha bisogno di pazienza e fortezza per morire in serenità d'animo.

Così chi muore con sopportazione.

Ma chi è attratto dal desiderio della morte e brama, come dice l'Apostolo, di andarsene per essere insieme col Cristo, non muore con sopportazione; anzi, dopo aver sopportato la vita, muore con gioia.

Ecco l'esempio dell'Apostolo, che ha vissuto sopportando la vita, non amando cioè la vita presente ma tollerandola.

É molto meglio, afferma lui stesso, partire, per stare col Cristo: ma è pur necessario, a causa di voi, restare nella carne ( Fil 1,23-24 ).

Orsù, dunque, o miei fratelli, fate che sorga dentro di voi il desiderio del giorno del giudizio.

Non si dà prova di perfetta carità, se non quando si incomincia a desiderare il giorno del giudizio.

Ma lo desidera questo giorno chi si sente animato da fiducia al suo pensiero; e questo avviene in coloro, la cui coscienza non è agitata da timore, perché confermata dalla perfetta e sincera carità.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 9,2

4. - Pazienza nelle fatiche della vita

Nasciamo destinati a soggiacere ai travagli e alla fatica.

Perché hai ascoltato la voce della tua donna, dice la Scrittura, e hai mangiato i frutti dell'albero che, unico fra tutti, ti avevo ordinato di non mangiare, la terra sarà maledetta in tutte le tue opere, e con tristezza e con gemiti ne mangerai i frutti tutti i giorni della tua vita.

Ti produrrà spine e triboli e mangerai i frutti dei campi.

Nel sudore del tuo volto mangerai il tuo pane, fino a quando tornerai a quella terra da cui sei stato preso: infatti sei terra e in terra tornerai ( Gen 3,17-19 ).

Tutti siamo legati e stretti dal vincolo di questa sentenza, fino a quando, pagato il tributo della morte, ce ne dipartiamo da questo mondo.

Nella tristezza e tra i gemiti dobbiamo passare tutti i giorni della nostra vita; con sudore e fatica dobbiamo mangiare il pane.

Per questo ognuno che nasce e viene accolto nell'albergo di questo mondo, comincia con le lacrime e, per quanto assolutamente ignaro di tutto, non sa far altro, al momento della nascita, che piangere.

L'animuccia inesperta, per una naturale preveggenza, si lamenta delle ansietà e dei travagli della vita, e già dal primo inizio attesta col suo pianto e con i suoi gemiti le procelle del mondo in cui entra.

Finché si vive, si suda e si fatica; e a chi suda e a chi fatica non soccorre nessun conforto migliore della pazienza …

Ecco il precetto salutare del nostro Signore e Maestro: Chi persevererà sino alla fine, costui sarà salvo ( Mt 10,22 ), e ancora: Se perseverate nella mia parola, sarete veramente miei discepoli; conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi ( Gv 8,31 ).

Dobbiamo sopportare e perseverare, fratelli carissimi, perché, ammessi alla speranza della verità e della libertà, possiamo in effetti pervenire alla verità e alla libertà.

Perché il fatto stesso di essere noi cristiani, è risultato di fede e di speranza, ma perché la fede e la speranza possano pervenire al loro frutto, è necessaria la pazienza.

Perché non miriamo alla gloria presente, ma a quella futura?

Ce lo ricorda l'apostolo Paolo, ammonendoci: Per la speranza siamo stati salvati.

Ma la speranza che si vede, non è speranza; se uno già vede, cosa spera?

Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con paziente attesa ( Rm 8,24-25 ).

É necessario aspettare, è necessaria la pazienza per completare ciò che abbiamo cominciato a essere e per ottenere dalla mano di Dio ciò che speriamo e ciò che aspettiamo; pertanto in un altro passo lo stesso Apostolo istruisce, ammaestra alla pazienza anche i giusti, anche coloro che lavorano e, facendo fruttare il pegno divino, accumulano tesori celesti, dicendo loro: Perciò, fin che abbiamo tempo, facciamo a tutti del bene, ma in particolare ai fratelli nella fede.

Facendo il bene, poi, non veniamo meno: a suo tempo mieteremo ( Gal 6,9-10 ).

Ci ammonisce che nessuno venga meno nelle sue opere buone per impazienza, che nessuno, sedotto o vinto dalle tentazioni, si fermi sulla strada della lode e della gloria e lasci perdere le sue opere antecedenti, che cesserebbero così di essere perfette, come sta scritto: La giustizia non salverà il giusto nel giorno in cui egli errerà ( Ez 33,12 ); e ancora: Mantieni ciò che hai, perché nessun altro riceva la tua corona ( Ap 3,11 ).

Questa voce ci esorta a perseverare con pazienza e fortezza, perché colui che è già prossimo ad ottenere la corona giunga, per la sua pazienza, ad esserne incoronato.

Cipriano, Il bene della pazienza, 11,13

5. - Esortazione alla perseveranza

Quando stai per compiere qualche opera di Dio, considerane prima i molti pericoli, i molti danni e le molte morti; e non meravigliarti, non turbarti, se realmente vengono.

É detto infatti: Figliolo, se ti appressi a servire Dio, prepara la tua anima alla tentazione ( Sir 2,1 ).

Nessuno che scelga di combattere si aspetta di cingere la corona senza ferita alcuna.

E anche tu dunque, o carissimo, che hai abbracciato l'aspra lotta contro il diavolo, non darti a una vita tranquilla e piena di piaceri: non per questa terra Dio ti ha proposto la sua ricompensa e le sue promesse, ma per il secolo futuro egli ha promesso tutti i suoi splendori.

Quando, dunque, o tu stesso hai fatto qualcosa di buono e ne ricevi il contrario, o vedi che a qualcun altro succede ciò, rallegratene e gioisci; questo fatto costituisce il diritto di una ricompensa maggiore.

Non abbatterti, non perderti di coraggio, non lasciarti prendere dal timore, ma insisti piuttosto con maggiore alacrità.

Anche gli apostoli, quando predicavano, pur flagellati, lapidati, trattenuti a lungo in carcere, non solo dopo i pericoli, ma durante i pericoli stessi annunciavano la verità con maggior coraggio.

E puoi ben vedere Paolo che anche in prigione, anche tra le catene, istruisce e inizia alla fede; e lo stesso fa anche in tribunale, anche durante il naufragio, anche nella tempesta e fra mille pericoli.

Imita anche tu questi santi e non ritirarti mai dalle opere buone, fino a quando puoi; e anche se vedessi mille volte il diavolo che ti si oppone, non cessare mai.

Tu forse mentre trasportavi delle ricchezze hai fatto naufragio, Paolo invece navigava verso Roma portando la Parola più preziosa d'ogni ricchezza, e fece naufragio, e subì mille travagli.

Egli stesso lo ha dichiarato dicendo: Spesso abbiamo desiderato di venire da voi, ma Satana ce l'ha impedito ( 1 Ts 2,18 ): Dio permise ciò, indicando per la grandezza del suo potere e dimostrando che pur tra tutte le macchinazioni e gli impedimenti del demonio, l'annuncio evangelico nulla soffriva né veniva interrotto.

Per questo Paolo ringraziava di tutto Dio, sapendo di rendersi, con ciò, a lui più accetto e dimostrava in tutto la forza del suo ardore, perché nessuno di quegli impedimenti lo tratteneva.

Per quante volte non ottenessimo successo, per altrettante diamo di piglio alle opere spirituali e non diciamo mai: Perché Dio ha permesso questi impedimenti?

Li ha permessi per questo: perché tanto più tu mostrassi il tuo ardore e il tuo grande amore: è proprio infatti di chi ama non desistere mai da ciò che piace alla persona amata.

Chi è molle e indolente abbandona alla prima difficoltà l'impeto; chi è forte e deciso, se è impedito mille volte, tanto più insiste nelle opere di Dio che ha iniziato e adempie tutto ciò che sta in lui, e in tutto rende grazie.

Facciamo questo anche noi.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulle statue, 1,11

EMP T-2. - Non volgersi indietro

Un giorno tutti i monaci si erano radunati intorno ad Antonio, desiderosi di sentire un suo discorso, ed egli, fattosi avanti, in lingua egizia disse così: « Per istruirci vi sono già le sacre Scritture; tuttavia è bello esortarci a vicenda nella fede e incoraggiarci con dei discorsi.

Voi, perciò, come figli al padre, riferitemi ciò che sapete e io, in qualità di anziano tra voi, vi comunicherò quello che so e ho sperimentato.

In primo luogo, deve esserci da parte di tutti l'identico sforzo per non desistere da ciò che si è iniziato e per non scoraggiarsi nella fatica.

Non si dica: « Abbiamo già vissuto tanto tempo nell'ascesi! », ma piuttosto, quasi ricominciando ogni giorno, cresciamo nel fervore.

Brevissima infatti è la vita dell'uomo, se la si paragona all'eternità, così che tutto il nostro tempo è nulla di fronte alla vita eterna.

« Mentre, nel mondo, ogni cosa è venduta al suo giusto prezzo e si scambiano valori uguali, la promessa della vita eterna si acquista con poco …

Pur avendo combattuto sulla terra, tuttavia non sulla terra riceviamo l'eredità, ma nei cieli conseguiremo quel che ci è stato promesso.

Deposto questo corpo corruttibile, lo riceveremo rivestito di incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ).

Perciò, figlioli, non scoraggiamoci, non pensiamo che l'attesa sia lunga o che stiamo compiendo grandi cose.

Infatti le sofferenze del tempo presente non sono in proporzione con la gloria futura che si manifesterà in noi … ( Rm 8,18 ).

« Figli miei, perseveriamo nell'ascesi e fuggiamo l'accidia.

Il Signore infatti ci viene in aiuto, così come sta scritto: " Dio coopera nei bene con colui che ha scelto il bene " ( Rm 8,28 ) …

Dopo aver così cominciato e procedendo ormai nel cammino della virtù, protendiamoci maggiormente in avanti verso ciò che dobbiamo raggiungere ( Fil 3,14 ) e che nessuno si volga indietro come la moglie di Lot; tanto più che il Signore ha detto: Chiunque ha messo mano all'aratro e si volge indietro, non è degno del regno dei cieli ( Lc 9,62 ).

Volgersi indietro non è altro che scostarsi dal proposito fatto e riportare la mente alle cose del mondo.

Atanasio, Vita di Antonio, 16-20

6. - Conservare l'amore di Dio anche tra i dolori

Causa di tutto ciò che Dio fece è la sua volontà.

Tu fai una casa, perché se non la facessi resteresti senza abitazione: è la necessità che ti spinge a costruire la casa, non la libera volontà.

Fai un vestito, perché se non lo facessi andresti nudo: la necessità, dunque, ti spinge a fare il vestito, non la libera volontà.

Impianti le viti su un colle, spargi il seme, perché se non facessi così non avresti cibo: fai tutto ciò per necessità.

Dio ha fatto tutto per bontà, non ha mai avuto bisogno di ciò che ha fatto; perciò tutto ciò che ha voluto, lo ha fatto ( Sal 135,6 ).

Pensi che abbiamo anche noi qualcosa da poter fare per libera volontà?

Ciò che ho detto, lo facciamo per necessità, perché se non lo facessimo, resteremmo poveri e bisognosi.

Troviamo però qualcosa da fare per libera volontà?

Lo troviamo, certo, quando amiamo Dio e lo lodiamo.

Questo fai per libera volontà: quando ami ciò che lodi, non per necessità, ma perché ti piace.

Per questo ai giusti e ai santi di Dio, Dio piacque, anche quando li flagellava.

Quando a tutti gli iniqui egli non piacque, a loro invece piacque; e sotto i suoi flagelli, tra i dolori, le fatiche, le ferite, nella povertà, lodarono Dio; egli non dispiacque loro neppure quando li tribolò.

Questo è amare gratis, non dietro ricompensa; infatti la tua ricompensa somma sarà lo stesso Iddio, che ami gratis; e lo devi amare in modo da non smettere di desiderare lui per ricompensa, perché egli solo ti sazierà.

Così lo desiderava Filippo, quando diceva: Mostraci il Padre, e ci basta ( Gv 14,8 ).

E giustamente, perché facciamo ciò per libera volontà, e lo dobbiamo fare per libera volontà, perché ciò che facciamo per piacere, lo facciamo per amore.

Anche se egli ci castiga, mai ci deve dispiacere, perché sempre è giusto.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 135,10-11

7. - La fatica educa l'anima

Per mezzo delle gioie e dei dolori Dio frena l'impeto che ti trascina al basso, ti attira a sé distogliendoti da ogni malvagità, che è peggiore della stessa geenna.

Se poi tu ridi di questi detti e preferisci centomila volte vivere nel male piuttosto che venir castigato per un giorno solo, non fa meraviglia: anche questo è un segno della tua imperfezione interiore, della tua ubriachezza, della tua malattia incurabile.

Quando i bambini piccoli vedono il medico che si avvicina loro col fuoco o il bisturi, scappano via e sgambettano, urlano e si graffiano a sangue e preferiscono morire per un ascesso non curato che sopportare una sofferenza temporanea che fa loro conseguire la guarigione.

Ma chi ha cervello sa che la malattia è peggiore dell'operazione, come pure essere cattivo è peggio che subire il castigo: questo infatti significa venir curato e guarire, quello invece significa rovinarsi ed essere per sempre ammalato.

Che poi la salute sia migliore della malattia è chiaro a tutti …

Chi conduce una vita voluttuosa e dissoluta, sembra il più felice di tutti, ma è di tutti il più misero, perché introduce nella sua anima dei tiranni duri e dispotici.

Per questo, Dio ci ha reso difficile la vita presente: per affrancarci da tale schiavitù e condurci alla libertà pura; e per questo ci ha anche minacciato il castigo e ha posto il lavoro quale compagno inseparabile della nostra vita, per reprimere la nostra rilassatezza.

Così anche i giudei: quando erano costretti a lavorare l'argilla e a fabbricare i mattoni, erano docili e invocavano incessantemente Dio; ma quando raggiunsero la libertà, cominciarono a mormorare, a irritare il Signore e incapparono in mille mali.

Ma che puoi dire allora, si obietta, di quei non pochi che si sono pervertiti nelle tribolazioni?

La loro perversione non è frutto delle tribolazioni, ma della loro debolezza.

Infatti, se qualcuno ha lo stomaco assai debole e assumendo un farmaco drastico per poter evacuare addirittura si rovina, non ne faremo colpa al farmaco, ma alla debolezza del suo organismo; è così anche della debolezza dello spirito.

Chi infatti per le tribolazioni diventa cattivo, tanto più lo sarebbe diventato se ne fosse stato libero; e se qualcuno cade pur essendo legato ( questo fa infatti il dolore ), tanto più cadrebbe se fosse sciolto; chi pur sotto il giogo si deprava, tanto più lo farebbe se ne fosse libero.

Come potrò non incattivirmi, mi domandi, se mi colpiranno i malanni?

Se penserai che, lo voglia o non lo voglia, li devi sopportare; se sarai convinto che, mostrandone riconoscenza, guadagnerai moltissimo, mostrandotene invece insofferente, pieno di turbamento e recriminazioni, non renderai minori i tuoi guai, ma aggraverai la tempesta.

Con questi pensieri, rendiamo di nostra libera scelta ciò che avviene per necessità.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 10,4

8. - Il male serve per migliorare l'uomo

Il male, se qualcuno lo intende nel vero senso del termine, non lo ha creato Dio; un po' tuttavia - poco in confronto all'universo tanto ben ordinato - è derivato dalle sue opere eccellenti, proprio come dalle opere eccellenti di un artigiano derivano i trucioli e la segatura; è come se si credesse di poter attribuire agli architetti i mucchi di rifiuti: pietre e calcinacci giacenti presso le case.

Se invece si parla del male - che può esser chiamato così solo impropriamente - intendendo i mali corporei ed esteriori, ammettiamo che talvolta Dio li ha creati al fine di convertire qualcuno per mezzo di essi.

E che di strano può avere questa dottrina?

Noi, per quanto abusivamente, chiamiamo mali le pene inflitte dai padri, dai maestri e dai pedagoghi ai loro pupilli e anche quelle cui i medici assoggettano gli ammalati che, per curare, essi operano o cauterizzano; e diciamo anche che i padri fanno del male ai figli, e così i maestri, i pedagoghi e i medici; non ne facciamo loro colpa, tuttavia, quando picchiano o tagliano.

Perciò se è detto che Dio induce questi mali per convertire e guarire chi ne ha bisogno, non è certo un'asserzione assurda; come non lo è che i mali scendono dal Signore alle porte di Gerusalemme ( Mi 1,12 ), mali che consistevano nelle pene inflitte dai nemici e che dovevano servire alla conversione dei cittadini; e neppure che egli esamina con la verga l'iniquità di coloro che hanno abbandonato la legge di Dio, e col bastone le loro colpe ( Sal 89,33 ), e neppure se è detto: Hai carboni infuocati: siedi su di essi, ti saranno di aiuto ( Is 47,14-15 ).

In questo senso spieghiamo anche il passo: Io che opero la pace e produco il male ( Is 45,7 ): produce infatti i mali corporei, esteriori, per purificare e correggere coloro che non vogliono lasciarsi ammaestrare con la parola e la sana dottrina.

Ecco dunque la risposta al problema: « In che modo Dio crea il male? ».

Origene, Contro Celso, 6,55-56

9. - Grandi guadagni per l'anima provengono da danni lievissimi

Grande è la saggezza della divina economia.

Succede per lo più che coloro, cui Dio concede i beni maggiori, non ne ottengono alcuni minori, perché il loro animo abbia sempre qualcosa da riprendere in se stesso.

Desiderando infatti essere perfetti, e non riuscendovi, si affaticano in ciò che non hanno ricevuto, e tuttavia i loro sforzi non hanno esito; in tal modo non si gloriano di ciò che hanno ricevuto, ma apprendono di non aver ottenuto da soli le loro virtù maggiori, dato che non riescono a vincere in se stessi i difetti minimi e ultimi.

Per questo motivo il Signore, condotto il popolo alla terra promessa, pur avendone estinto gli avversari più forti e prepotenti, conservò a lungo i filistei e i cananei, affinché, come sta scritto, servissero a mettere alla prova Israele.

E questo perché, come abbiamo detto, spesso a coloro cui egli concede doni grandi, lascia qualche difetto piccolo, perché abbiano sempre qualcosa contro cui combattere e, sconfitti gli avversari maggiori, il loro spirito non si elevi superbo, dato che devono faticare ancora contro gli avversari minori.

Avviene così, in modo mirabile, che una e identica anima è ricca di virtù e mostra qualche debolezza: da una parte è saldamente costruita, e dall'altra si vede distrutta, e, per i beni che ricerca e non riesce a ottenere, conserva umilmente quello che già ha.

E che meraviglia se diciamo ciò dell'uomo, quando la stessa regione celeste soffrì una perdita di parte dei suoi cittadini, mentre nell'altra parte rimase salda?

Così gli spiriti angelici eletti, vedendo gli altri cadere per la superbia, restarono tanto più saldi quanto più umili.

A loro giovò il danno della loro città celeste, che, per la distruzione di una sua parte, si rinsaldò più fortemente nel suo eterno stato.

Così avviene anche nell'anima singola: perché custodisca l'umiltà, spesso viene spinta a grandi guadagni da danni lievissimi.

Gregorio Magno, Dialoghi, 3,14

10. - Il susseguirsi di fortuna e avversità è grazia di Dio

Se osserviamo con chiarezza il corso di questa vita, nulla vi troviamo di stabile, nulla di fisso; ma come il viaggiatore cammina ora in piano ora in salita, così a noi, in questa vita, ora si presenta la prosperità, ora l'avversità: i tempi si succedono gli uni agli altri e si confondono a vicenda.

Dato perciò che in questo mondo la mutevolezza pone fine a tutto, non dobbiamo innalzarci nelle prosperità, non dobbiamo abbatterci nelle avversità.

Tutto ci spinge ad anelare di cuore a colui, presso cui ciò che è resta fisso e la fortuna non si muta per l'avversità.

In questa vita, dunque, per disposizione mirabile di Dio onnipotente, tutte le cose vanno in modo che o la prosperità succeda alle disgrazie, o le disgrazie seguano la prosperità; così noi, umiliati, impariamo a piangere i nostri peccati, poi, nuovamente innalzati, tratteniamo nella nostra mente il ricordo delle disgrazie come àncora d'umiltà.

Ciò non lo si deve considerare ira del nostro Creatore, ma grazia: per essa impariamo che tanto più conserviamo i suoi doni nella realtà, quanto più li custodiamo nell'umiltà.

Gregorio Magno, Le Lettere, 52 ( al patrizio Prisco )

11. - La costrizione salutare di Dio

Alcuni vengono chiamati alla mensa del Signore, ma in modo da essere addirittura costretti a entrare.

Vi sono alcuni infatti che conoscono il bene da compiere, ma nel compierlo vengono meno; vedono quello che devono fare, ma non lo desiderano né lo seguono.

Accade per lo più a costoro, come abbiamo detto sopra, che le avversità di questo mondo li colpiscono nei loro desideri carnali; che si sforzano di raggiungere la gloria temporale, ma non vi riescono.

Perciò, pur proponendosi di navigare in alto mare, quasi per dedicarsi a grandi affari di questo mondo, vengono sempre rigettati dai flutti avversi al lido della loro abiezione.

E vedendo di venir frustrati nei loro desideri per l'opposizione del mondo, si ricordano di ciò che debbono al loro Creatore: ritornano rossi di vergogna a colui che avevano abbandonato gonfi di superbia, per amore del mondo.

Spesso taluni, che vogliono avanzare nella gloria di questo mondo, o languiscono per qualche lunga malattia, o vengono meno sotto il peso di ingiurie, o vengono afflitti da gravi percosse, e nel dolore mondano vedono che non dovevano porre nessuna fiducia nei suoi piaceri.

Riprendono allora se stessi nei propri desideri e si convertono di cuore a Dio.

Di costoro il Signore dice, per bocca del profeta: Cingerò la sua strada di spine, la cingerò di un muro, ed essa non troverà la sua via; seguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà; li cercherà e non li troverà, e dirà: Andrò e tornerò dal mio primo uomo, perché allora me ne stavo bene, meglio di adesso ( Os 2,8-9 ).

Il vero uomo di ogni anima fedele è Dio, cui essa è congiunta nella fede.

Ma quest'anima, già unita a Dio, segue i suoi amanti, quando l'animo che già ha abbracciato la fede, soggiace nelle opere agli spiriti immondi, cerca la gloria del mondo, si pasce dei diletti della carne e si nutre dei piaceri più raffinati.

Ma Dio onnipotente riguarda per lo più con misericordia tale anima, e mescola amarezze alle sue voluttà.

Per questo egli dice: « Cingerò le tue strade di spine »: le vie nostre sono cinte di spine, quando in ciò che perversamente amiamo troviamo le punture del dolore.

« E la cingerò di un muro, ed essa non troverà la sua via ».

Le nostre strade vengono cinte da un muro, quando i nostri desideri trovano gravi opposizioni in questo mondo.

E non possiamo trovare la nostra via, perché siamo impediti di ottenere ciò che malamente desideriamo.

« Seguirà i suoi amanti, ma non li raggiungerà; li cercherà e non li troverà », perché l'anima non riesce a impossessarsi, nell'esecuzione dei suoi desideri, degli spiriti maligni, ai quali soggiace nelle proprie brame.

Ma quanta utilità nasca da questa avversità salutare, segue immediatamente poi: « E dirà: Andrò e tornerò dal mio primo uomo, perché allora me ne stavo bene, meglio di adesso ».

Dopo aver trovato la propria strada cinta di spine, dopo non esser riuscita a impossessarsi dei suoi amanti, ritorna all'amore del suo primo uomo; infatti per lo più, quando non possiamo ottenere ciò che vogliamo in questo mondo, quando ci stanchiamo nell'impossibilità di adempiere i nostri desideri terreni, allora ritorniamo di cuore a Dio, allora comincia a piacerci colui che ci dispiaceva; i suoi precetti ci erano amari, ma egli all'improvviso ci torna dolce nella memoria, e l'anima peccatrice, che aveva cercato di essere adultera ma non vi era riuscita in realtà, decide di essere sposa fedele.

Di costoro che, spezzati dalle avversità di questo mondo, tornano all'amore di Dio, di costoro che si correggono così dai desideri della vita presente, che altro si può dire, fratelli miei, se non che vengono costretti a entrare?

Gregorio Magno, Predica 36 ( per la seconda domenica dopo Pentecoste )

12. - I mezzi usati da Dio per la nostra salvezza sono occulti

Il padre a volte inganna volutamente il figlio, quando è ancora piccolo, per giovargli, perché il bimbo non può essere aiutato altrimenti che con l'inganno.

Il medico cerca di ingannare l'ammalato se a questi non si può giovare altrimenti che con parole ingannatrici.

Forse deve fare così anche Dio, essendosi proposto di aiutare la stirpe umana?

Se il medico dicesse all'ammalato: « Ti si deve operare, oppure cauterizzare con un ferro ardente, oppure ti si richiede qualche altra sofferenza », il paziente non vi si presterebbe affatto; per questo il medico parla di tutt'altro e nasconde sotto una spugna il ferro affilato o incandescente.

Nasconde cioè sotto il miele, per così dire, l'amaro, la medicina dolorosa, non perché voglia danneggiare, ma piuttosto guarire l'ammalato.

E di queste medicine tutta la divina Scrittura è piena: vi è spesso nascosto il dolce, ma spesso anche l'amaro.

Quando vedi che il padre minaccia suo figlio, come se lo odiasse, quando gli dice cose spaventose e non mostra la sua tenerezza, quando vedi cioè che nasconde il suo amore paterno, capisci che egli sta ingannando il piccolo: non è bene per il figlio comprendere pienamente l'amore paterno e la sua tenerezza colma di attenzioni: si lascerebbe andare e non si farebbe educare.

Per questo il padre nasconde la dolcezza del suo affetto e mostra solo l'amarezza delle minacce.

E qualcosa di simile al padre e al medico fa Dio.

Ci sono alcune cose che sono di giovamento anche al più giusto e al più santo degli uomini.

Origene, Omelie su Geremia, 18-19

13. - I castighi di Dio sono medicine

State attenti: vi insegno la vera saggezza.

Perché compiangiamo chi è castigato e non chi pecca?

La punizione è meno funesta del peccato, perché il peccato è la causa della punizione.

Supponete: un uomo ha un brutto ascesso da cui scorre continuamente pus e i cui vermi penetrano nel corpo, ma egli trascura il suo ascesso e il putridume che si porta addosso.

Un altro ha lo stesso male, ma si fa curare da un bravo medico, si lascia cauterizzare e tagliare e prende le amare medicine prescrittegli.

Dimmi: se vedi ciò, quale dei due tu compiangi?

L'ammalato che è privo di cure mediche o colui che si fa curare?

É chiaro: quello che è privo di cure mediche.

Ora pensa a due peccatori: uno è castigato, l'altro no.

Non dire allora: quest'uomo è fortunato perché è ricco, depreda gli orfani, opprime le vedove, e nessuna malattia lo colpisce; con tutta la sua ingiustizia, è stimatissimo, onorato e influente; non è colpito da nessuna contrarietà che affligge la vita umana: non ha preoccupazioni, non soffre né febbre né altre malattie, è circondato da una schiera di figli e figlie e passa i suoi ultimi anni nella gioia e nella letizia.

Ma non ritenerlo fortunato!

Proprio costui tu dovresti soprattutto compiangere, perché è ammalato e non viene curato.

Ora ti dirò come devi intenderla.

Se qualcuno è idropico e il suo corpo, per una gravissima sofferenza alla milza, è ormai tutto gonfio, e se costui invece di recarsi subito dal dottore, continua a bersi bevande fresche, gode di una tavola eccellente e abbondante, ogni giorno indulge all'ubriachezza, è continuamente circondato da servitori e così il suo male ha continuo alimento.

Dimmi: lo consideri felice o lo compiangi?

Invece, se un altro idropico si fa curare, si sottopone alla dieta, sostiene grandi privazioni e prende continuamente medicine amare, che certo sono ripugnanti ma che, sulla via dell'amarezza, conducono alla guarigione: non lo ritieni piuttosto fortunato?

Ne convieni: uno è ammalato e non guarirà, l'altro è ammalato, e, almeno, si cura.

La cura è sempre severa, ma alla fine si mostra vantaggiosa. Così è in questa vita.

E ora non parliamo del corpo, ma dell'anima; non delle malattie, ma dei peccati; non delle medicine, ma dei giudizi e dei castighi di Dio.

Infatti ciò che sono le medicine, le operazioni e le cauterizzazioni compiute dal medico, altrettanto sono i castighi inflitti da Dio.

Come il cauterio blocca il diffondersi della malattia, come l'incisione asporta la carne putrida, e l'uno e l'altra sono dolorose, ma salutari; così la fame e le epidemie e ogni altro male apparente sono ferro e fuoco per l'anima e, come avviene nell'ambito della vita corporea, impediscono l'aggravarsi delle malattie spirituali e servono al miglioramento morale.

Sta' attento perciò alle mie parole: molti vengono puniti qui sulla terra e condannati nell'altro mondo; alcuni solo qui, e altri ancora solo là.

Attienti a questa mia dottrina, perché questa verità ben compresa e meditata scaccerà da voi molti pensieri errati.

Giovanni Crisostomo, Omelia in occasione del terremoto, 3

14. - Le tribolazioni del mondo mettono alla prova e rafforzano il cristiano

Considera una pena le tribolazioni di questa terra solo colui che ripone ogni sua letizia e ogni sua gloria in questa terra.

Piange e geme se sta male in questo mondo solo colui che non può stare bene dopo questo mondo, colui le cui consolazioni finiscono tutte quaggiù, colui la cui vita breve e caduca ha quaggiù qualche dolcezza - come le voluttà -, colui al quale, quando se ne dipartirà da quaggiù, non resterà altro che pena e dolore.

AI contrario, non è affatto un dolore la tempesta dei mali presenti per coloro che ripongono la loro fiducia nei beni futuri.

Per questo non ci turbano le avversità né ci piegano: noi non ci affliggiamo né brontoliamo per rovesci di fortuna o infermità del corpo.

Vivendo più nello spirito che nella carne, vinciamo la debolezza del corpo con la forza dell'animo.

Le stesse tribolazioni che tormentano e affaticano voi, sappiamo e confidiamo che mettono alla prova e rafforzano noi.

Credete forse che noi soffriamo come voi per le avversità?

Non vedete che non allo stesso modo noi e voi sopportiamo le avversità?

Tra di voi si riscontra sempre impazienza rumorosa e lamentosa, tra di noi invece pazienza forte e religiosa …

Sempre calma, sempre fiducia in Dio, nessuno che pretende quaggiù letizia e prosperità, ma con mitezza e con soavità aspetta fermamente, contro tutti i turbini del mondo tempestoso, il tempo della divina promessa.

Fino a quando abbiamo questo corpo in comune con gli altri, è necessario che anche la condizione corporea ci sia con loro comune, e non ci è dato di separarci dal genere umano se non quando ce ne andiamo da questo mondo.

Stiamo tutti in una casa, buoni e cattivi; tutto ciò che dentro la casa succede, lo soffriamo tutti allo stesso modo, sin quando il tempo presente giungerà alla fine e la dimora di morte eterna o, rispettivamente, di immortalità ci dividerà.

Ma non per questo siamo uguali a voi, posti quasi sullo stesso gradino, per il fatto cioè che in questo mondo, in questa carne, partecipiamo come voi ai disagi del mondo e della carne; infatti, consistendo ogni pena nel senso di dolore, è chiaro che non è partecipe della tua pena colui che, lo vedi, non si duole come te.

Fioriscono tra di noi la forza della speranza, la salvezza della fede: fra le rovine del mondo che va in sfacelo, il nostro cuore è in alto, la nostra virtù è inconcussa, la nostra pazienza è tutta radiosa: l'anima nostra è sempre sicura del suo Dio, come dice lo Spirito Santo per bocca del profeta, corroborando la nostra speranza e la nostra fede con voce celestiale: Il fico non porterà più frutto e nulla più crescerà nelle vigne.

Verrà meno il lavoro degli ulivi e i campi non daranno cibo; mancheranno sui pascoli le pecore e nelle stalle non ci saranno buoi.

Ma io esulterò nel Signore, godrò in Dio, mio salvatore ( Ab 3,17-18 ).

La Scrittura dunque asserisce che l'uomo di Dio, a lui devoto, fondato sulla verità della speranza e basato sulla certezza della fede, non si lascia smuovere dalle tribolazioni di questo povero mondo.

Anche se la vigna tradisce, l'ulivo inganna le speranze, se l'erba muore di siccità sul campo inaridito, cosa è ciò per i cristiani, cosa per i servi di Dio che il paradiso invita, che tutta la grazia e l'abbondanza del regno celeste aspettano?

Esultano sempre nel Signore, gioiscono e godono nel loro Dio e sopportano con fortezza i mali e le avversità del mondo, contemplando i beni e le prosperità future.

Noi infatti che, posposta la nascita terrena, siamo stati di nuovo creati e di nuovo siamo nati nello Spirito, che non viviamo per il mondo, ma per Dio, solo quando giungeremo a Dio otterremo i suoi doni e le sue promesse.

E tuttavia preghiamo sempre e innalziamo suppliche perché i nemici stiano lontani, perché scenda la pioggia, perché le avversità passino o si smorzino; siamo sempre in preghiera, supplicando e placando Dio giorno e notte, per la vostra pace e la vostra salvezza.

Nessuno perciò si lusinghi che per noi e per i profani, per gli adoratori di Dio e per i suoi nemici, sia uguale la condizione in questo mondo, pur nell'uguaglianza della carne e degli impegni terreni, congetturando da ciò che non siano precisamente inflitti a voi i guai che succedono al giorno d'oggi.

Per dichiarazione di Dio stesso, per attestazione profetica, già da tempo è stato predetto che sopra gli ingiusti sarebbe discesa l'ira di Dio, mentre non sarebbero mancate a noi le persecuzioni umane, seguite però dalla vendetta, divina difesa dei perseguitati.

E come è grandioso ciò che talvolta per noi avviene quaggiù!

Cipriano, A Demetriano, 18-22

15. - Le avversità ci purificano

Il fatto che noi cristiani sentiamo e soffriamo le debolezze del corpo umano, non è un castigo, ma un allenamento.

La forza infatti si rassoda con le debolezze e la calamità spesso è scuola di virtù.

Le energie dello spirito e del corpo, se non si allenano nella fatica, intorpidiscono; e tutti i vostri eroi che voi proponete quale esempio, raggiunsero la gloria per le loro sofferenze.

Non è dunque che Dio non ci possa aiutare o che ci disprezzi, egli che regge e ama tutti i suoi; ma nelle avversità egli esamina e giudica ciascuno di noi; nei pericoli pesa l'animo dei singoli, e fino al momento della morte valuta la volontà dell'uomo, sicuro che nulla può andargli perduto.

Perciò, come l'oro nel fuoco, così noi veniamo provati nelle avversità.

Minucio Felice, Ottavio, 36

16. - Pensieri di consolazione dopo una grave grandinata

É terribile la sterilità del suolo e la perdita dei frutti.

Ma quando poi questi già lusingano ogni speranza e si avvicinano ormai ai magazzini!

É tremendo quando a suo tempo non si può mietere, quando gli agricoltori singhiozzano sulle proprie fatiche e siedono quasi sulla tomba delle loro piantagioni, che una mite pioggia aveva fatto crescere e una pioggia selvaggia ha annientato.

Non se n'è riempite le mani colui che miete, né il seno colui che vendemmia, e non ha potuto perciò sentire il saluto benedicente che i passanti rivolgono agli agricoltori ( Sal 129,7-8 ).

É un misero spettacolo la terra devastata, rasa e spogliata di ogni suo ornamento.

Più di ogni altro, il beato Gioele piange, con canto tormentoso, la terra devastata e la carestia ( Gl 1,10-12 ).

E un'altra volta il profeta, paragonando la bellezza antecedente alla desolazione seguente, parla dell'ira di Dio che annienta la terra, ed esclama: Prima era un giardino di delizie, dopo un campo di sterminio ( Gl 2,3 ).

Tutto ciò è grave, è estremamente grave, fino a quando solo il presente ci fa soffrire e ci tormenta ancora la percezione di una sofferenza ancor più grave: come nelle malattie, il dolore presente è sempre più crudo di quello che ancora è lontano.

Eppure i forzieri dell'ira divina nascondono in sé pene maggiori di queste: che non vi tocchi mai sperimentarle!

E non le esperimenterete se vi rifugerete nella misericordia di Dio, attirerete a voi, con le vostre lacrime, colui che vuole misericordia, allontanando, con la vostra conversione, il seguito di questa ira.

Ciò che soffriamo è ancora mitezza e bontà, è una lieve correzione, è uno dei primi castighi con cui si educa nell'età più tenera: è solo il fumo dell'ira, il preludio dei tormenti, non è il fuoco bruciante, cioè il sommo dello sdegno, non sono i carboni ardenti, cioè l'estremo del supplizio che Dio ora minaccia, ora sospende, ora trattiene con la forza, e ora induce.

E educandoci egualmente con le minacce e con le percosse, nell'immensità del suo amore prepara la strada alla sua ira ( Sal 78,50 ); comincia dai mali minori perché non siano necessari i più drastici; ma sa educare anche con i maggiori e vi viene costretto.

So che in cielo vi è una spada rilucente, un coltello ebbro di sangue, incaricato di trafiggere, annientare, privare dei figli e non aver riguardo né della carne né del midollo né delle ossa ( Ez 21,9-10 ).

So che colui, il quale è libero da ogni passione, come un'orsa affamata e come un leopardo si pone sulla via degli assiri ( Os 13,7-8 ), e non solo quelli di allora, ma anche degli odierni assiri per malvagità; e nessuno può fuggire alla forza e all'acerbità della sua ira, quando si alza contro le nostre empietà, e il suo furore, che divora gli avversari, si rivolge contro il nemico.

So che le scosse e le percosse, l'ansia, il turbamento del cuore, il tremito delle ginocchia ( Na 2,10 ) sono il castigo degli empi; e tralascio di parlare del tribunale dell'aldilà, a cui viene deferito chi quaggiù trova indulgenza: è meglio essere castigati e purificati ora piuttosto che venir inviati a quei tormenti, perché allora sarà tempo di pena, non di purificazione.

Chi quaggiù si ricorda di Dio è superiore alla morte, come ha detto magnificamente Davide ( Sal 6,6 ); ma nell'inferno non è possibile ai morti né la confessione né l'emenda.

Dio ha stabilito questo mondo per vivere e agire, e l'altro per decidere sulle opere compiute.

Gregorio di Nazianzo, In occasione del flagello di una grandinata, 6-7

17. - Già prima della risurrezione vi è una ricompensa per le tribolazioni

Dato che gli uomini sono per lo più pusillanimi, deboli e meschini e anche se hanno fede nella risurrezione non se ne curano molto per il lungo tempo che ve li separa, e ne sono perciò turbati e si abbattono, l'Apostolo propone loro un'altra mercede, un'altra ricompensa prima della risurrezione.

Qual è? Anche se il nostro uomo esteriore si corrompe, quello interiore si rinnova di giorno in giorno ( 2 Cor 4,16 ).

Chiama uomo esteriore il corpo e uomo interiore l'anima.

Ciò che dice è dunque: anche prima di risorgere, anche prima di entrare nel godimento della gloria futura, già quaggiù hai la ricompensa, perché nella stessa tribolazione la nostra anima ringiovanisce, si fa più saggia e prudente, guadagna una pazienza maggiore, resta più allenata e forte.

Come gli atleti nelle lotte del corpo ancora prima della corona e del premio hanno dallo stesso esercizio e dalla lotta una grande ricompensa, perché mantengono più sano e più forte l'organismo e sfuggono così tutte le infermità, anche noi, nella lotta della virtù, prima ancora che ci si spalanchi il cielo, prima che il Figlio di Dio ci si presenti e prima che ci sia dato il premio, otteniamo quaggiù una grande ricompensa, perché la nostra anima si rafforza nella sapienza cristiana.

Anche quelli che si danno alle lunghe navigazioni, che sostengono innumerevoli procelle, che combattono contro mostri enormi e sopportano numerose tempeste, prima del guadagno dei loro commerci raccolgono un frutto non piccolo dal loro lungo viaggiare: l'ardimento, il disprezzo del male, l'affrontare i viaggi transmarini non solo con coraggio, ma con piacere; così chi nella vita presente sopporta per Cristo molte tribolazioni e sostiene molte sofferenze, prima ancora del regno dei cieli ottiene una grande ricompensa: acquista una gran confidenza con Dio già da quaggiù e la sua anima si fa tanto elevata, da prendersi gioco poi d'ogni dolore …

E che si può paragonare a ciò? Chi non è esercitato e non ha mai sperimentato la sofferenza, ogni piccolezza suole turbarlo: e non solo gli eventi, ma anche i lievi sospetti, e che dico i lievi sospetti?

Le ombre lo spaventano, lo atterriscono.

Ma chi si è preparato a tutto, anche quando scende in lotta, quando soffre mille dolori, è superiore a tutto e disprezza come cornacchie gracchianti quelli che lo minacciano.

Non è un premio piccolo, non è una ricompensa da poco, che nessun evento umano possa affliggerlo, che nessun conto faccia egli di ciò che per gli altri è spaventoso, che sappia ridersi di quello per cui gli altri tremano e si turbano, essendosi elevato per la sua immensa pazienza a una sapienza degna delle potenze angeliche.

Se stimiamo fortunato il corpo che sa sopportare senza conseguenze il freddo e il caldo, la fame e il bisogno, le fatiche dei viaggi e gli altri travagli, tanto più dobbiamo stimare fortunata l'anima che sa sopportare con forza e generosità tutti gli assalti del male e sa mantenersi libera e indipendente in tutte le circostanze.

Chi si comporta così, è più re dello stesso re.

Quello infatti, e le sue guardie e i suoi amici e i suoi nemici possono colpirlo o con l'inganno o con l'ostilità aperta; ma chi ha un'anima come abbiamo or ora esposto, né il re né la guardia né il familiare né l'amico né il nemico né lo stesso diavolo possono nuocergli.

E come sarebbe possibile, dato che tutto il suo impegno consiste nel non ritenere male quello che ordinariamente viene considerato male?

Giovanni Crisostomo, Omelia sulla risurrezione dei morti, 3

18. - Consolazione nella purificazione

É venuto il mio dolore; verrà anche la mia pace.

É venuta la mia tribolazione; verrà anche la mia purificazione.

Forse che l'oro splende nel fornello dell'orefice?

Splenderà nel monile, splenderà nel gioiello.

Sopporti tuttavia il calore del fornello per venire alla luce purificato dalle scorie.

Così è la fornace: vi si mette la paglia e vi si mette l'oro; vi è il fuoco, e Lì attorno c'è l'orefice.

Nella fornace brucia la paglia e si purifica l'oro: la paglia si trasforma in cenere, l'oro si spoglia delle scorie.

La fornace è il mondo, la paglia sono i malvagi, l'oro sono i giusti, il fuoco è la tribolazione, Dio è l'orefice.

Io faccio ciò che vuole l'orefice: persevero nel luogo ove l'orefice mi colloca.

Io ho l'ordine di usare pazienza, egli sa come purificarmi.

Bruci pure, dunque, la paglia per incendiarmi e quasi per consumarmi; essa si cambia in cenere, io mi libererò delle scorie.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 62,11

19. - Consolazione riposta nella speranza

Anche in questa vita gli uomini buoni arrecano, a quanto pare, non piccoli conforti.

Se infatti ci angustiasse la povertà, se ci addolorasse il lutto, ci rendesse inquieti un malanno fisico, ci rattristasse l'esilio, ci tormentasse qualche altra calamità, ma ci fossero vicine delle persone buone che sapessero non solo godere con quelli che godono, ma anche piangere con quelli che piangono ( Rm 12,15 ), che sapessero rivolgere parole di sollievo e conversare amabilmente, allora verrebbero lenite in grandissima parte le amarezze, alleviati gli affanni, superate le avversità.

Ma questo effetto è prodotto in essi e per mezzo di essi da colui che li rese buoni col suo Spirito.

Nel caso invece che sovrabbondassero le ricchezze, che non ci capitasse nessuna perdita di figli o del coniuge, che fossimo sempre sani di corpo, che abitassimo nella patria preservata da sciagure, ma convivessero con noi individui perversi fra i quali non ci fosse nessuno di cui fidarci e da cui non dovessimo che temere e sopportare inganni, frodi, ire, discordie, insidie, non è forse vero che tutti questi beni diventerebbero amari e insopportabili e che nessuna gioia o dolcezza proveremmo in essi?

Così in tutte le cose umane nulla è caro all'uomo senza un amico.

Ma quanti se ne trovano di così fedeli, da poterci fidare con sicurezza riguardo all'animo e alla condotta in questa vita?

Nessuno conosce un altro come conosce se stesso: eppure nessuno è tanto noto nemmeno a se stesso da poter essere sicuro della propria condotta del giorno dopo.

Perciò, benché molti si facciano conoscere dai loro frutti e alcuni arrechino veramente letizia al prossimo col vivere bene, altri afflizione col vivere male, tuttavia, a causa dell'ignoranza e dell'incertezza degli animi umani, molto giustamente l'Apostolo ci ammonisce a non condannare alcuno prima del tempo, finché non venga il Signore e illumini i segreti delle tenebre e sveli i pensieri del cuore, e allora ognuno riceverà lode da Dio ( 1 Cor 4,5 ).

Dunque, nelle tenebre di questa vita nella quale siamo come esuli lontani da Dio, durante tutto il tempo che camminiamo nella fede senza la visione di Dio ( 2 Cor 5,6-7 ), l'anima del cristiano deve considerarsi come abbandonata al fine di evitare che cessi di pregare e d'imparare a tenere l'occhio della fede rivolto alle parole delle sante e divine Scritture, come a una lucerna posta in un luogo oscuro, fino a tanto che non splenderà il giorno e la stella del mattino sorga nei nostri cuori ( 2 Pt 1,19 ).

La sorgente ineffabile, per così dire, di questa lucerna è la luce che splende nelle tenebre, ma in modo tale da non essere accolta dalle tenebre.

Per vederla, i nostri cuori devono essere purificati dalla fede: Beati i mondi di cuore, perché essi vedranno Dio ( Mt 5,8 ); e: Sappiamo che, quando egli apparirà, saremo simili a lui, poiché lo vedremo come è ( 1 Gv 3,2 ).

Allora, solo dopo la morte, ci sarà la vera vita, e dopo la desolazione la vera consolazione.

Sarà quella vita a liberare l'anima nostra dalla morte, sarà quella consolazione a liberare gli occhi nostri dalle lacrime ( Sal 116,8 ).

Agostino, Le Lettere, II, 130,4-5 ( a Proba )

20. - Speranza in Cristo

Gesù si appressa a coloro che completano la legge.

In che modo viene? Camminando sulle onde, schiacciando sotto i piedi tutto l'orgoglio del mondo, calpestando la superbia terrena.

E ciò tanto più avviene, quanto più il tempo passa e l'età del mondo cresce.

Aumentano nel mondo le tribolazioni, il male si diffonde, ogni malvagità è al suo colmo: ma Gesù viene camminando sulle onde.

In verità sono così grandi le persecuzioni, che anche coloro che avevano creduto in Gesù e che ora si sforzano di perseverare sino alla fine, si spaventano, e temono di non resistere.

E il cristiano si spaventa, mentre Cristo cammina sulle onde e schiaccia le ambizioni e la superbia terrena.

Forse che tutto questo non era stato predetto?

Giustamente i discepoli ebbero paura a vedere Gesù che camminava sulle onde: e anche i cristiani, malgrado la loro speranza nella vita futura, quando vedono il crollo dell'orgoglio terreno, sono colti da turbamento per lo sfacelo delle cose umane.

Se aprono il Vangelo, il libro delle Scritture, trovano che tutto questo era stato predetto: che cioè il Signore si comporta così.

Egli annienta la superbia terrena, per essere glorificato dagli umili.

É del crollo delle superbe costruzioni umane che dice il salmo: Distruggerai le più forti città e alla fine le lance annientarono i nemici e distruggesti le fortezze ( Sal 9,7 ).

Perché allora vi spaventate, o cristiani?

Cristo dice: Sono io, non temete ( Gv 6,20 ).

Di che cosa vi spaventate? Di che cosa avete paura?

Io - dice il Signore - ho predetto tutto questo, e io lo compio, perché è necessario che sia compiuto.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 25,6-7

21. - Fiducia nel nocchiero durante la burrasca

Vediamo un mare stravolto fin dagli abissi, naviganti che galleggiano morti sulle onde e altri ormai sommersi, le tavole delle navi sconnesse, le vele lacerate, gli alberi spezzati, i remi caduti dalle mani dei remiganti, i nocchieri seduti non al timone, ma sul ponte, con le mani tra le ginocchia: gemono per la loro impotenza di fronte agli eventi, gridano, si lamentano, singhiozzano; non si scorge né cielo né mare, ma solo tenebre profonde, impenetrabili e torbide, tanto che non si può veder neppure il vicino, e da ogni parte i mostri marini piombano sopra i naviganti.

Ma perché cerco di descrivere ciò che non si può?

Qualsiasi immagine espressiva dei mali presenti io cerchi, il mio discorso resta superato e retrocede.

Ma per quanto io lo veda bene, non rinuncio alla buona speranza, pensando al nocchiero di tutto l'universo, che non supera la burrasca con la sua arte, ma dissolve l'uragano con un cenno.

Non lo fa alle prime o subito, ma questa è la sua consuetudine: non annienta i mali all'inizio, ma quando sono cresciuti, quando giungono all'estremo, quando i più ormai disperano: allora compie i suoi prodigi e le sue meraviglie, mostrando così la sua potenza ed esercitando nella pazienza coloro su cui i mali sono caduti.

Non abbatterti dunque. Una cosa sola, o Olimpia, si deve temere, una sola è la tentazione vera: il peccato.

Non ho mai cessato di ripetere questo discorso alle tue orecchie: tutto il resto sono favole, anche se parli di insidie, di ostilità, di inganni, di calunnie, di insulti, di accuse, di confische, di esilio, di spade affilate, di mare, di guerra, sulla terra intera.

Per quanto grandi siano queste tribolazioni, sono temporanee, sono limitate, sussistono solo nel corpo mortale e non danneggiano l'anima vigilante.

Per questo il beato Paolo, volendoci mostrare la meschinità di ciò che è utile e di ciò che è doloroso nella vita presente, con una sola parola riassume tutto dicendo: Le realtà che si vedono sono transitorie ( 2 Cor 4,18 ).

Perché dunque hai timore di ciò che è transitorio e scorre come la corrente di un fiume?

Tali sono infatti le realtà presenti, sia favorevoli, sia moleste.

Giovanni Crisostomo, Lettera a Olimpia, 1,1

22. - La certezza dei cristiani

Tutta la famiglia del sommo e vero Dio ha la sua consolazione, non ingannevole, non fondata nella speranza di beni incerti e caduchi; e non deve crucciarsi per la stessa vita temporale in cui viene ammaestrata alla vita eterna; come pellegrina, usa dei beni terreni ma non se ne rende schiava, mentre i mali della terra sono per lei o prova o emenda.

Ma quelli che insultano questa sua prova e che quando cade in qualche travaglio temporale le chiedono: Dove è il tuo Dio? ( Sal 42,4 ), dicano loro dove sono i loro dèi quando soffrono quei mali per evitare i quali li adorano o pretendono che tutti li adorino.

La famiglia di Dio risponde: Il mio Dio è presente ovunque, in ogni luogo c'è tutto e in nessun luogo è racchiuso; può essere presente nel segreto e può essere lontano senza muoversi.

Egli, quando mi mette alla prova con le avversità, o esamina i miei meriti o castiga i miei peccati, e mi riserva un premio eterno per i mali di quaggiù piamente sopportati.

Agostino, La città di Dio, 1,29

23. - La gloria futura dipende dalle tribolazioni attuali

Così è la grazia di Dio: non ha fine, non conosce confini, ma procede sempre verso il meglio, ciò che non è possibile tra gli uomini.

Ed eccone un esempio: qualcuno ha raggiunto il potere, la gloria e la potenza, ma non può permanervi per sempre: presto decade, e anche se non è un uomo che gliele toglie, verrà la morte a privarlo di tutto.

Le cose di Dio non sono così: né l'uomo né il tempo né le circostanze e neppure lo stesso diavolo o il sopraggiungere della morte possono spogliarcene; anzi, quando moriamo le possediamo più saldamente e ne godiamo sempre di più.

Perciò se non credi alle realtà future, credi alle presenti, a ciò che hai già ricevuto: a questo credi!

L'Apostolo dice: E ci gloriamo nella speranza della gloria di Dio ( Rm 5,2 ), proprio perché tu apprenda quali pensieri debba nutrire l'anima fedele.

Deve sentirsi piena di certezza non solo di ciò che ti è stato dato, ma anche di quello che ti verrà dato, come se già l'avesse avuto.

Ognuno si gloria di ciò che ha già ottenuto.

Ora, poiché la speranza delle realtà future deve essere salda e certa come quella dei beni presenti, anche della speranza - egli dice - ci gloriamo; ed è questo il motivo per cui la chiama gloria.

Se infatti contribuisce alla gloria di Dio, la gloria di Dio è il suo risultato, ma non per opera nostra, bensì per opera sua.

Ma perché dico - continua - che dei beni futuri dobbiamo gloriarci?

Anche dei mali presenti conviene che ci congratuliamo, e che ce ne vantiamo; per questo continua: E non solo, ma ci gloriamo anche nelle tribolazioni ( Rm 5,3 ).

Rifletti dunque come devono essere queste realtà future, se per esse perfino di ciò che sembra triste noi ci vantiamo.

Tanto grande è il dono di Dio e tanto esente da quanto è spiacevole.

Nella realtà esterna, la lotta arreca fatica, dolore e travaglio; solo le corone e i premi portano gioia.

Ma qui non è così: la lotta non è meno dolce del premio.

Poiché molte erano allora le prove e il regno era solo nella speranza, i mali erano presenti e i beni solo aspettati, e ciò toglieva ai deboli ogni coraggio, egli elargisce loro la ricompensa prima ancora del premio, dicendo che ci si deve gloriare nelle tribolazioni.

E non dice: « Voi dovete gloriarvi », ma « Noi ci gloriamo », facendo della propria persona una viva esortazione.

E poiché sembra strana e paradossale la sua asserzione - cioè che debba gloriarsi colui che lotta per la fame, tra le catene e le torture, tormentato e oltraggiato - egli ne reca la prova: e, ciò che è ancor di più, afferma che degnamente ci si gloria non solo del futuro, ma anche del triste presente, perché le tribolazioni stesse sono in sé un bene.

E perché mai? Perché ci allenano alla pazienza.

Detto perciò: « Ci gloriamo nelle tribolazioni », ne espone anche la causa dicendo: Ben sapendo che la tribolazione fa conseguire la pazienza ( Rm 5,3 ).

Nota l'abilità di Paolo a rovesciare il discorso: erano proprio le tribolazioni che distoglievano i cristiani dalla speranza e li gettavano nella sfiducia; egli afferma che proprio per esse devono farsi coraggio e non rinunciare ai beni futuri.

La tribolazione fa conseguire la pazienza, dice, la pazienza fa conseguire la virtù provata e la virtù provata la speranza; la speranza poi non delude ( Rm 5,4-5 ).

Le tribolazioni, dunque, non solo non distruggono la speranza, ma ne sono il fondamento.

Grande è il frutto che fin da quaggiù arreca la tribolazione, cioè la pazienza e l'approvazione di chi è tentato; giova dunque non poco per l'aldilà: rende vivida in noi la speranza.

Nulla infatti giova tanto a farci sperare, quanto la buona coscienza.

Perciò nessuno di quelli che hanno condotto una vita retta dispera dei beni futuri, mentre molti di quelli che conducono una vita perversa non vorrebbero neppure che vi fosse il giudizio e la ricompensa.

Che dunque? Sono solo una speranza per noi quei beni?

Sono una speranza, ma non umana, cioè speranza che cade spesso e fa arrossire chi la nutriva, quando colui in cui si sperava o muore o cambia idea.

Non è così la nostra: è una speranza ferma e incrollabile.

Colui infatti che ci ha promesso quei beni vive in eterno; e noi, che di quei beni godremo, moriremo, è vero, ma poi risorgeremo e nulla potrà mai deluderci.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 10,2

EMP F-30. - Canta e cammina!

Cantiamo fin da quaggiù l'alleluia in mezzo alle nostre preoccupazioni, per poterlo cantare un giorno lassù nella pace.

Quali preoccupazioni, mi domandi, abbiamo quaggiù?

Mi vorresti forse senza affanni, quando leggo nella Scrittura: I giorni dell'uomo sono come quelli di un mercenario? ( Gb 7,1 ).

Mi vorresti senza preoccupazioni quando è detto ancora: Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione? ( Mc 14,38 ).

Come il popolo potrà vivere nel benessere mentre grida con me: Liberaci dal male? ( Mt 6,13 ).

Proprio in mezzo a questo male, fratelli, cantiamo l'alleluia a Dio che, nella sua bontà ci libera dal male …

Nelle prove e nei pericoli, l'alleluia sia cantato da noi e dagli altri; dice l'Apostolo: Infatti Dio è fedele e non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze.

Anche quaggiù cantiamo dunque l'alleluia.

L'uomo è ancora peccatore, ma Dio è fedele.

L'apostolo non ha detto: non permetterà che siate tentati, ma: non permetterà che siate tentati oltre le vostre forze; ma con la tentazione vi darà anche la via d'uscita e le forze per sopportarla ( 1 Cor 10,13 ).

Sei tentato? Dio ti concederà di superare la prova perché tu non vi soccomba.

Come il vaso del vasaio, tu sei plasmato dalla predicazione e cotto dalla tentazione.

Quando sei nella prova pensa che ne uscirai: Dio è fedele, e il Signore veglierà su di te, quando esci e quando entri ( Sal 121,8 ).

Ancor più: questo corpo diventerà immortale e incorruttibile e tutte le prove spariranno.

Il vostro corpo è morto. Perché morto?

A causa del peccato, ma lo spirito è vita, sono le parole dell'Apostolo.

Perché? A causa della giustificazione.

Disprezzeremo allora questo corpo di morte? No.

Ascolta piuttosto: Se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali ( Rm 8,10-11 ).

Come sarà gioioso il nostro alleluia, sicuro e senza impedimenti!

Allora non ci saranno più nemici e nessun amico morirà più.

Là Dio sarà lodato. Anche qui Dio è lodato.

Qui da uomini immersi nelle preoccupazioni, là da uomini che vivono nella pace; qui da mortali, là da esseri definitivamente viventi; qui nella speranza, là nella realtà; qui sulla strada, là nella patria.

Fin d'ora dunque, fratelli, cantiamo, non per rendere dilettevole il nostro riposo, ma per sostenere le nostre fatiche, come si canta lungo la strada: « Canta ma cammina; sopporta la tua fatica cantando; non amare la tua pigrizia; canta e cammina ».

Che significa « cammina »?

Progredisci, progredisci nel bene … progredisci nella vera fede, progredisci nella santità.

Canta e cammina.

Agostino, Discorsi, 256,1-3

24. - L'occhio fisso sulla pace di Dio

La voce di Cristo, voce di Dio, è pace e invita alla pace.

Dice: « Suvvia! Voi tutti che ancora non godete della pace, amate la pace!

Cosa infatti potete attendervi da me, che sia più prezioso della pace? ».

Cos'è la pace? L'assenza di guerra.

E che vuol dire assenza di guerra? Uno stato in cui non c'è contrasto, né resistenza, né opposizione …

Tuttavia, supponete un uomo che non incontri tentazioni nella sua carne, tanto che si possa dire di lui che già si trova nella pace.

Ammettiamo che non abbia a sperimentare tentazioni da parte di voglie illecite; certamente però egli ne subisce le suggestioni.

Si sentirà incline a cose che disapprova o proverà del gusto per le cose da cui si astiene.

Ma, anche escludendo ogni gusto per quello che è illecito, avrà però, quanto meno, da lottare ogni giorno contro gli stimoli della fame e della sete.

Quale santo infatti non esperimenta tali necessità?

Combattono dunque contro di noi la fame e la sete, la stanchezza del corpo, la voglia gradita di dormire e la stanchezza.

Vorremmo stare svegli e ci viene sonno.

Vorremmo digiunare ed ecco la fame e la sete.

Ci piacerebbe stare in piedi e ci sentiamo stanchi.

Ci mettiamo a sedere e, se va per le lunghe, alla fine non ne possiamo più.

Ci facciamo delle provviste allo scopo di sostentarci, e anche in esse riscontriamo che sono destinate a svanire.

Eccoti uno che viene a dirti: Hai fame? Gli rispondi: Sì, ho fame.

Ti mette allora dinanzi il cibo che ti aveva preparato per rifocillarti.

Provati a mangiare senza fine! Volevi ristorare le tue forze: seguita allora!

A lungo andare, quanto ti era servito a ristoro, alla fine ti causerà nausea e stanchezza.

Eri stanco per il troppo stare seduto. Ti alzi, ti metti a camminare e te ne viene un sollievo.

Provati a continuare un bel pezzo in ciò che ti ha procurato sollievo.

Passeggiando molto tempo, alla fine ti stanchi e senti voglia di metterti daccapo a sedere.

Trovami dunque qualcosa che era destinato al tuo ristoro e che, se ti ci dilunghi, non abbia a causarti stanchezza.

Che pace potrà dunque essere quella che hanno gli uomini quaggiù sulla terra, combattuti da tante molestie, cupidigie, miserie e fragilità?

Non è vera pace; non è pace perfetta …

Difatti, finché dura la mortalità, come può aversi pace completa?

É dalla morte che ci viene la stanchezza che riscontriamo in tutto ciò che è destinato a sostenerci: dalla morte, poiché portiamo con noi un corpo mortale, che anzi l'Apostolo osa chiamare già morto anche prima della separazione dell'anima.

Dice: A motivo del peccato il corpo è morto ( Rm 8,10 ).

Usa pure di tutto quello che può donarti vigore: morrai lo stesso.

Insisti nel mangiare: l'ingordigia ti ucciderà.

Prolunga i tuoi digiuni: morrai sfinito.

Sta' seduto, tanto da non alzarti mai; finirai col morirne.

Mettiti a passeggiare e non sederti mai: finirai col morirne.

Veglia senza interruzione di sonno: ne morrai.

Dormi senza interruzione: la morte ti verrà dal troppo dormire.

Ma quando la morte sarà stata assorbita nella vittoria, tali miserie non ci saranno più e la pace sarà assoluta ed eterna …

Ci sarà allora tra i figli di Dio una pace perfetta.

Essi si ameranno scambievolmente tutti, riscontrandosi tutti ripieni di Dio, il quale sarà tutto in tutti.

Avremo una comune visione: Dio.

Avremo un comune possedimento: Dio.

Avremo una pace comune: Dio.

Qualunque cosa ci conceda egli adesso, lassù, in luogo delle svariate cose che ora ci dona, avremo lui stesso.

Sarà lui la nostra pace piena e perfetta.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 85,10

Indice