Osservazioni sulla morale Cattolica

Capitolo VII

Degli odii religiosi

I casisti presentarono all'esecrazione degli uomini, in prima fila, tra i più colpevoli, gli eretici, gli scisnialici, i bestemmiatori.

Qualche volta riuscirono ad eccitare contro di essi l'odio più violento).

Certo, ci sono poche cose che corrompano tanto un popolo, quanto l'abitudine dell'odio: così questo sentimento non fosse fomentato perpetuamente da quasi tutto ciò che ha qualche potere sulle mentì e sugli animi.

L'interesse, l'opinione, i pregiudizi, le verità stesse, tutto diventa agli uomini un'opportunità per odiarsi a vicenda: appena si trova alcuno che non porti nel core l'avversione e il disprezzo per delle classi intere dei suoi fratelli: appena può accadere ad alcuno una sventura che non sia cagione di gioia per altri; e spesso non per alcun utile che ne venga loro, ma per un interesse ancora più basso, quello dell'odio.

Confesso di veder con meraviglia messi tra i pervertitori d'una nazione, in questo senso, e come in capo di lista, i casisti, ai quali finora non avevo sentito dare altro carico, che di voler giustificare quasi ogni opera e ogni persona, che d'insegnare a non odiare nemmeno il vizio.

Ma siano i casisti, o sia qualunque si voglia, che ispiri agli uomini odio contro i loro fratelli, li fa essere omicidi ( 1 Gv 3,15 ); va direttamente contro il secondo precetto, che è simile al primo, che non ne ha alcun altro sopra di se ( Mc 12,31 ); va direttamente contro l'insegnamento perpetuo della Chiesa, che non ha mai lasciato di predicare che il segno di vita e l'amare i fratelli ( 1 Gv 3,14 ).

Sia però lecito d'osservare che, tra le cagioni che possono aver cambiato il carattere degli Italiani, questa, se ci fu, deve aver certamente operato assai poco; giacche non c'è forse nazione cristiana dove i sentimenti d'antipatia col pretesto della religione abbiano avuto meno occasione di nascere e d'influire sulla condotta degli uomini.

In verità, riguardando a questa parte della storia, noi troviamo piuttosto da piangere su quella Francia e su quella Germania che ci vengono opposte.

Ah! tra gli orribili rancori che hanno diviso l'Italiano dall'Italiano, questo almeno non si conosce; le passioni che ci hanno resi nemici non hanno almeno potuto nascondersi dietro il velo del santuario.

Purtroppo noi troviamo a ogni passo nei nostri annali le nemicizie trasmesse da una generazione all'altra per miserabili interessi, e la vendetta anteposta alla sicurezza propria; ci troviamo a ogni passo due parti della stessa nazione disputarsi accanitamente un dominio e dei vantaggi, i quali, per un grande esempio, non sono rimasti nè all'una né all'altra; ci troviamo la feroce ostinazione di volere a schiavi pericolosi quelli che potevano essere amici ardenti e fedeli; ci troviamo una serie spaventosa di giornate deplorabili, ma nessuna almeno simile a quelle di Cappel, di Jarnac e di Praga.

Purtroppo da questa terra infelice sorgerà un giorno gran sangue in giudizio, ma del versato col pretesto della religione, assai poco.

Poco dico, in confronto di quello che lordò l'altre parti d'Europa: i furori e le sventure dell'altre nazioni ci danno questo tristo vantaggio di chiamar poco quel sangue; ma il sangue d'un uomo solo, sparso per mano del suo fratello, è troppo per tutti i secoli e per tutta la terra.

Non si può a meno, in quest'occasione, di non riflettere sull'ingiustizia commessa da tanti scrittori nell'attribuire ai cattolici soli questi orribili senitimenti d'odio religioso, e i loro effetti: ingiustizia che appare a chiunque scorra appena le storie di quelle dissenzioni.

Ma questa parzialità può essere utile alla Chiesa; il grido l'orrore che i secoli alzano contro di quelle, essendo principalmente rivolto contro i cattolici, questi devono averlo sempre negli orecchi, e sentirsi richiamati alla mansuetudine e alla giustizia, non solo dalla voce della Chiesa, ma anche da quella del mondo.

Io so che è stato detto da molti, che queste avversioni e queste stragi, benché abborrite dalla Chiesa, le possono essere imputate, perchè, insegnando a detestare l'errore, dispone l'animo dei cattolici a estendere questo sentimento agli uomini che lo professano.

A ciò si potrebbe rispondere che, non solo ogni religione, ma ogni dottrina morale, o vera o falsa, insegna a detestare gli errori contro i doveri essenziali dell'uomo, o quelli che pretende esser tali.

Tutti coloro che, scindendo il Cristianesimo, fondarono delle sette separate dalla Chiesa, qual altro mezzo adoprarono, che di rappresentare come errori detestabili i suoi insegnamenti?

È comune alla verità e all'errore, in tali materie, il detestare il suo contrario; e n'è la conseguenza naturale l'insegnare a detestarlo.

E siccome poi l'errore non potrebbe nemmeno prendere una forma apparente, né proporre per simbolo altro che delle negazioni, se non s'attaccasse a qualche verità; siccome, per conseguenza, ogni setta che si dice cristiana conserva qualche parte della verità cristiana; così non c'è alcuna che non riguardi come detestabili ( e in questo caso rettamente ) gli errori opposti a quel tanto di verità che conserva.

Protestare, come fanno alcuni, di venerare come sacre e rivelate da Dio, alcune verità, e di non avere altro che indifferenza per l'errore che le nega e le disprezza, è un accozzo di parole contradittorie, che contraffà una proposizione.

Ma, per giustificare la Chiesa, non è mai necessario ricorrere a degli esempi: basta esaminare le sue massime.

È dottrina perpetua della Chiesa, che si devano detestare gli errori, e amare gli erranti.

C'è contradizione tra questi due precetti?

Non credo che alcuno voglia affermarlo.

- Ma è difficile il far distinzione tra l'errore e la persona; è difficile detestare quello, e nutrire per questa un amore non di sola apparenza, ma vero e operoso ( 1 Gv 3,18 ).

- È difficile! ma qual'è la giustizia facile all'uomo corrotto? ma donde questa difficoltà di conciliare due precetti, se sono giusti ugualmente?

È cosa giusta il detestar l'errore?

Sì, certo; e non c'era nemmeno bisogno di prove.

È cosa giusta l'amare gli erranti?

Sì, ancora; e per le ragioni stesse per cui è giusto d'amar tutti gli uomini: perchè Dio, da cui teniamo tutto, da cui speriamo tutto, Dio a cui dobbiamo tutto dirigere, gli ha amati fino a dare per essi il suo Unigenito ( Gv 3,16 ); perchè è cosa orribile il non amare quelli che Dio ha predestinati alla sua gloria; ed è un giudizio della più rea e stolta temerità l'affermare d'alcun uomo vivente, che non lo sia, l'escluderne uno solo dalla speranza nelle ricchezze delle misericordie di Dio.

I testimoni che stavano per scagliare le prime pietre contro Stefano, deposero le loro vesti ai piedi d'un giovinetto, il quale non si ritirò inorridito, ma, consentendo alla strage di quel giusto, rimase a custodirle ( At 7,57-59 ).

Se un cristiano avesse allora accolto nel suo cuore un sentimento d'odio per quel giovinetto, di cui la tranquilla ferocia contro i seguaci del Giusto, di Quello in cui solo e salute ( At 4,12 ), poteva parere un segno così manifesto di riprovazione; se avesse mormorata la maledizione che pare così giusta in bocca degli oppressi, ah! quel cristiano avrebbe maledetto il Vaso d'elezione ( At 9,15 ).

Donde adunque la difficoltà di conciliare questi precetti, se non dalla nostra corruttela, da cui vengono tutte le guerre tra i doveri?

E questa difficoltà è appunto il trionfo della morale cattolica: poiché essa sola può vincerla; essa sola, prescrivendo con la sua piena autorità tutte le cose giuste, non lascia dubbio su alcun dovere; e, per troncare la serie di quelle false deduzioni con le quali si finisce a sacrificare un principio a un altro principio, li consacra tutti, e li mette fuori della discussione.

Se, andando di ragionamento in ragionamento, s'arriva a un'ingiustizia, si può esser certi d'aver ragionato male; e l'uomo sincero è avvertito dalla religione stessa d'essere uscito di strada; perchè dove comparisce il male, si trova in essa una proibizione e una minaccia.

Nessun cattolico di bona fede può mai credere d'avere una giusta ragione per odiare il suo fratello: il Legislatore divino, ch'egli si vanta di seguire, sapeva certo che ci sarebbero stati degli uomini iniqui e provocatori, e degli uomini nemici della Fede; e nulladimeno gli ha detto senza fare eccezione veruna: Tu amerai il tuo prossimo come te stesso.

È uno dei più singolari caratteri della morale cattolica, e dei più benefici effetti della sua autorità, il prevenire tutti i sofismi delle passioni con un precetto, con una dichiarazione.

Così, quando si disputava per sapere se uomini di colore diverso dall'europeo dovessero essere considerati come uomini, la Chiesa, versando sulla loro fronte l'acqua rigeneratrice, aveva imposto silenzio, per quanto era in lei, a quella discussione vergognosa; li dichiarava fratelli di Gesù Cristo, e chiamati a parte della sua eredità.

Di più, la morale cattolica rimove le cagioni che rendono difficile l'adempimento di questi due doveri, odio all'errore, amore agli uomini, proscrivendo la superbia, l'attaccamento alle cose della terra, e tutto ciò che strascina a rompere la carità.

E ci somministra i mezzi per essere fedeli all'uno e all'altro; e questi mezzi sono tutte quelle cose che portano la mente alla cognizione della giustizia, e il core all'amore di essa; la meditazione sui doveri, la preghiera, i sacramenti, la diffidenza di noi stessi, la confidenza in Dio.

L'uomo educato sinceramente a questa scuola, eleva la sua benevolenza a una sfera dove non arrivano i contrasti, gl'interessi, l'obiezioni; e questa perfezione riceve anche nel tempo una gran ricompensa.

A tutte le vittorie morali succede una calma consolatrice; e amare in Dio quelli che si odierebbero secondo il mondo, è, nell'anima umana, nata ad amare, un sentimento d'inesprimibile giocondità.

Ci fu però uno scrittore, e non di poca fama certamente, il quale pretese che il conciliare la guerra all'errore e la pace con gli uomini sia una cosa non diffìcile, ma impossibile.

La distinzione fra la tolleranza civile e la tolleranza teologica è puerile e vana.

Queste due tolleranze sono inseparabili e non si può ammettere l'una senza dell'altra.

Gli angeli stessi non vivrebbero in pace con gli uomini qualora li considerassero come nemici di Dio.

Quali conseguenze da una tale dottrina!

I primi cristiani non dovevano dunque credere che adorare gli idoli e sconoscer Dio rendesse l'uomo nemico a Lui.

Hanno dunque fatto male a combattere il gentilesimo; perchè è un'impresa almeno imprudente e pazza il predicare contro una religione che non rende nemici di Dio quelli che la professano.

E quando san Paolo, per accrescere la riconoscenza e la fiducia dei fedeli, rammentava la misericordia usata loro da Dio, nel tempo ch'erano suoi nemici ( Rm 10,5 ), proponeva loro un'idea falsa e antisociale.

Vivere in pace con degli uomini che si hanno pei nemici di Dio, non sarà possibile a quelli che credono che Dio stesso glielo comanda?

a quelli che non sanno se siano essi medesimi degni d'amore o d'odio ( Qo 9,1 ), e che sanno di certo che diverrebbero nemici di Dio essi medesimi, rompendo la pace?

a quelli i quali pensano che un giorno si chiederebbe loro se la fede gli era stata data per dispensarli dalla carità, e con che diritto aspettano la misericordia, se, per quanto era in loro, l'hanno negata agli altri?

a quelli che devono riconoscere nella fede un dono, e tremare dell'uso che ne fanno?

Queste e altre ragioni si sarebbero potuto addurre a chi avesse fatta una tale obiezione al cristianesimo, quando apparve; ma, ai tempi del Rousseau, essa riesce stranissima, poiché impugna la possibilità d'un fatto di cui la storia del cristianesimo è una lunga e non interrotta testimonianza.

Quello che ne diede il primo esempio era, certo, al di sopra degli angeli; ma era anche un uomo; ma, nei disegni della sua misericordia, volle che la sua condotta fosse un modello che ognuno dei suoi seguaci potesse imitare; e pregò morendo per i suoi uccisori.

Quella generazione durava ancora, quando Stefano entrò il primo nella carriera di sangue che l'Uomo-Dio aveva aperta.

Stefano che, con sapienza divina, cerca d'illuminare i giudici e il popolo, e di richiamarli a un pentimento salutare; quando poi è oppresso, quando sta per compirsi sulla terra l'atto sanguinoso della sua testimonianza, dopo aver raccomandato il suo spirito al Signore, non pensa a quelli che l'uccidono, se non per dire: Siqnore, non imputar loro questa cosa a peccato.

E detto questo, s'addormentò nel Signore ( At 7,59 ).

Tale fu, per tutti quei secoli in cui gli uomini persistettero nella così cieca perversità di venerare gl'idoli fatti da loro, e di far morire i giusti, tale fu sempre la condotta dei cristiani: la pace orribile del gentilesimo non fu mai disturbata nemmeno dai loro gemiti.

Cosa si può fare di più per conservarla con gli uomini, che amarli e morire?

Convien dire che questa dottrina sia ben concorde con se stessa, e ben chiara agl'intelletti cristiani, poiché i fanciulli stessi la trovavano intelligibile: fedeli agli ammaestramenti delle madri, sorridevano ai carnefici; quelli che sorgevano imitavano quelli ch'erano caduti prima di loro; primizie dei santi, fiori rinascenti sotto la falce del mietitore.

Ma la storia del cristianesimo non ha forse esempi d'odi e di guerre?

Ne ha pur troppo; ma bisogna chieder conto a una dottrina delle conseguenze legittime che si cavano da essa, e non di quelle che le passioni ne possono dedurre.

Questo principio, vero in tutti i tempi, si può ai nostri giorni allegarlo con maggior fiducia d'essere ascoltati, dacché molti di quelli che lo contrastavano alla religione, sono stati costretti a invocarlo per altre dottrine.

La memorabile epoca storica nella quale ci troviamo ancora, si distingue per il ritrovamento, per la diffusione e per la ricapitolazione d'alcuni princìpi politici, e per gli sforzi fatti affine di metterli in esecuzione; da ciò sono venuti dei mali gravissimi; i nemici di quei princìpi pretendono che i princìpi ne siano stati la cagione, e che siano, per conseguenza, da rigettarsi.

A questo i loro sostenitori vanno rispondendo che è cosa assurda e ingiusta proscrivere le verità, per l'abuso che gli uomini ne hanno potuto fare; che, lasciando di promulgarle e di stabilirle, non si leveranno però dal mondo le passioni; che, mantenendo gli uomini in errori, si lascia viva una cagione ben più certa e diretta di calamità e d'ingiustizie; che gli uomini non diventano migliori, ne più umani, con l'avere opinioni false.

La notte di S. Bartolomeo non fece proscrivere il cattolicismo, ha detto a questo proposito un celebrato ingegno; e certo nessuna conseguenza sarebbe stata più stolta e ingiusta.

La memoria di quell'atrocissima notte dovrebbe servire a far proscrivere l'ambizione e lo spirito fazioso, l'abuso del potere e l'insubordinazione alle leggi, l'orribile e stolta politica che insegna a violare a ogni passo la giustizia per ottenere qualche vantaggio, e quando poi queste violazioni accumulate abbiano condotto un gravissimo pericolo, insegna che tutto è lecito per salvar tutto; a far proscrivere l'insidie e le frodi, le provocazioni e i rancori, l'aividità della potenza che fa tutto tramare e tutto osare, e l'ingiusto amore della vita che fa sorpassare ogni legge per conservarla; perchè queste e altre simili furono le vere cagioni della strage per cui quella notte è infame.

Quando, all'opposto, si trovano nella storia esempi d'influenza benefica e misericordiosa della dottrina cattolica, non c'è bisogno di ricercare come mai, per quali giri di ragionamenti, per quali singolari disposizioni degli animi, i suoi seguaci siano arrivati a trovare in essa tali consigli, a riceverne tali impulsi.

È evidentemente una causa che produce il suo effetto proprio.

In tempi di violente provocazioni e di feroci vendette, s'alza una voce a proclamare la tregua di Dio: è la voce del Vangelo; e suona per la bocca dei vescovi e dei preti.

Sant'Ambrogio spezza e vendae i vasi sacri per riscattare gli schiavi illirici, la più parte Ariani:

san Martino di Tours intercede per i Priscillianisti presso Massimo imperatore in una parte dell'occidente; e considera come scomunicato Itacio e gli altri vescovi che l'avevano mosso a infierire contro di quelli:

sant'Agostino supplica il proconsole d'Africa per i Donatisti, dai quali ognuno sa che travaglio avesse la Chiesa.

Non avere a sdegno, dice, che imploriamo da te la vita di quelli, dei quali imploriamo da Dio il ravvedimento.

E lasciando stare tanti altri fatti simili, di cui abbonda la storia ecclesiastica di tutti i tempi, giova rammentarne uno tra i meno antichi, anche perchè è stato tentato ( e pur troppo, non senza effetto presso di molti ), non solo di rapirne la gloria alla Chiesa, ma di cambiarla in ignominia: ed è la condotta del clero cattolico in America.

L'ira contro ogni resistenza, l'avarizia resa incontentabile dalle promesse di fantasie riscaldate, il timore che nasce anche negli animi più determinati e li rende crudeli, quando non sono fortificati dall'idea d'un dovere, e quando gli offesi sono molti, tutte insomma le passioni più inesorabili della conquista, avevano snaturati affatto gli animi degli Spagnoli; e gli Americani non ebbero quasi altri avvocati che gli ecclesiastici; e questi non ebbero altri argomenti in favor loro che quelli del Vangelo e della Chiesa.

Citiamo qui il giudizio del Robertson, giudizio importantissimo, e per l'imparzialità certa dello storico, e per la quantità e l'accuratezza delle ricerche sulle quali è fondato.

« Con ingiustizia ancor maggiore è stato da molti autori rappresentato l'intollerante spirito della Romana Cattolica Religione come la cagione dell'esterminio degli Americani, ed hanno accusati gli ecclesiastici spagnoli d'aver animati i loro compatriotti alla strage di quell'innocente popolo come idolatra ed inimico di Dio.

Ma i primi missionari che visitarono l'America, benché deboli ed a ignoranti, erano uomini pii.

Essi presero di buon'ora la difesa dei nazionali, e li giustificarono dalle calunnie dei vincitori, i quali descrivendoli come incapaci d'essere istruiti negli uffici della vita civile, e di comprendere le dottrine della Religione, sostenevano esser quelli una razza subordinata d'uomini, e sopra cui la mano della natura aveva posto il segno della schiavitù.

Dalle relazioni che ho già date dell'umano e perseverante zelo dei missionari spagnoli nel proteggere l'inerme greggia a loro commessa, eglino compariscono in una luce che aggiunge lustro alla loro funzione.

Eran ministri di pace che procuravano di strappare la verga dalle mani degli oppressori.

Alla potente loro interposizione doverono gli Americani ogni regolamento diretto a mitigare il rigore del loro destino.

Negli stabilimenti spagnoli il clero sì regolare che secolare è ancor dagli Indiani considerato come il suo naturai protettore, cui ricorrono nei travagli e nelle esazioni, alle quali troppo frequentemente sono essi esposti ».

Qual è questa religione, in cui i deboli, quando sono pii, resistono alla forza in favore dei loro fratelli! in cui gli ignoranti svelano i sofismi che le passioni oppongono alla giustizia!

In una spedizione, dove non si parlava che di conquiste e d'oro, quelli non parlavano che di pietà e di doveri; citavano al tribunale di Dio i vincitori, dichiaravano empia e irreligiosa l'oppressione.

Il mondo, con tutte le sue passioni, aveva mandato agl'Indiani dei nemici che essi non avevano offesi; la religione mandava loro degli amici che non avevano mai conosciuti.

Questi furono odiati e perseguitati; furono costretti qualche volta a nascondersi; ma almeno raddolcirono la sorte dei vinti; ma coi loro sforzi e coi loro patimenti, prepararono alla religione un testimonio, che essa non è stata nemmeno un pretesto di crudeltà; che queste furono commesse malgrado le sue proteste.

Ah! gli avari crudeli avrebbero voluto passare per zelanti, ma i ministri della religione non gli hanno permesso di mettersi al viso questa maschera; gli hanno costretti a cercare i loro sofismi in ogni altro principio, che in quello della religione; gli hanno costretti a ricorrere alle ragioni di convenienza, d'utilità politica, d'impossibilità di stare esattamente alla legge divina; gli hanno costretti a parlare dei gran mali che sarebbero venuti, se gli uomini fossero stati giusti, a dire ch'era necessario opprimer gli uomini crudelmente, perchè altrimenti diveniva impossibile l'opprimerli.

Un solo ecclesiastico disonorò il suo ministero, eccitando i suoi concittadini al sangue; e fu il troppo noto Valverde.

Ma, esaminando la sua condotta, come è descritta dal Robertson, si vede chiaro al mio parere, che costui era mosso da tutt'altro che dal fanatismo religioso.

Pizzarro aveva formato il perfido disegno d'impadronirsi dell'Inca Atahualpa, per dominare nel Perù, e per saziarsi d'oro.

Adescato con pretesti di amicizia Tinca a un abboccamento, questo si risolvette in un'allocuzione del Valverde, nella quale i misteri e la storia della santa e pura religione di Cristo non erano esposti che per venire all'assurda conseguenza, che Tinca doveva sottomettersi al re di Castiglia, come a suo legittimo sovrano.

La risposta e il contegno di Atahualpa servirono di pretesto al Valverde per chiamare gli Spagnuoli contro i Peruviani.

« Il Pizzarro » cito ancora il Robertson, « che nel corso di questa lunga conferenza aveva con difficoltà trattenuti i soldati impazienti d'impadronisi delle ricche spoglie ch'essi vedevano allora sì da vicino, diede il segno all'assalto ».

Il Pizzarro stesso, ch'era venuto a quel fine, fece prigioniero Tinca; il quale poi, con un processo atrocemente stolto, fu condannato a morte; e il Valverde commise anche il delitto d'autorizzare la sentenza con la sua firma.

Ora, chi non vede che a degli uomini deliberati a un'azione ingiusta, a degli uomini forti contro uomini ricchi, ogni pretesto era bono?

che il Valverde stesso fu istrumento orribile, ma non motore dell'ingiustizia?

che la sua condotta svela piuttosto la bassa connivenza all'ambizione e all'avarizia di Pizzarro, che il fanatismo religioso?

Il solo bon senso fa vedere che non è nella natura dell'uomo, per quanto sia fanatico, il concepire un odio violento contro degli uomini che non professano il cristianesimo, perchè l'ignorano.

Difatti, se la disposizione degli ecclesiastici spagnoli era tale che dalla religione dovessero ricevere impulsi di questa sorte, perchè tutti gli altri parlarono e operarono, non solo diversamente, ma all'opposto?

E se la condotta del Valverde era conforme al modo di sentire dei suoi concittadini in fatto di religione, perchè è stata censurata da tutti i loro storici, come osserva il Robertson?

Del resto, la religione oltraggiata dal Valverde è stata ben vendicata, non solo da quasi tutti gli ecclesiastici delle diverse spedizioni, ma anche da quelle migliaia di missionari che, portando la fede ai selvaggi e agl'infedeli d'ogni sorte, ci andarono e ci vanno senza soldati, senz'armi, come agnelli tra i lupi ( Lc 10,3 ), e col core diviso tra due sole passioni, quella di condurre molti alla salute, e quella del martirio.

Se il rappresentare l'intolleranza persecutrice come una conseguenza dello spirito del cristianesimo, è una calunnia smentita dalla dottrina della Chiesa, è una singolare ingiustizia il rappresentarla come un vizio particolare ai cristiani.

Erano le verità cristiane che rendevano intolleranti gli imperatori gentili?

Sono esse che hanno creata quella crudeltà senza contrasto e senza rimorso, che sparse il sangue di tanti milioni, non dirò d'innocenti, ma d'uomini che portavano la virtù al più alto grado di perfezione?

Sono esse che hanno scatenato il mondo contro quelli di cui il mondo non era degno? ( Eb 11,38 ).

Sul principio del secondo secolo, un vecchio fu condotto in Antiochia davanti l'imperatore.

Questo, dopo avergli fatte alcune interrogazioni, l'interpellò finalmente se persisteva a dichiarare di portar Gesù Cristo in core.

Al che avendo il vecchio risposto di sì, l'imperatore comandò che fosse legato e condotto a Roma, per essere dato vivo alle fiere.

Il vecchio fu caricato di catene; e, dopo un lungo tragitto, arrivato in Roma, fu condotto all'anfiteatro, dove fu sbranato e divorato, per divertimento del popolo romano.

Il vecchio era sant'Ignazio, vescovo d'Antiochia.

Discepolo degli Apostoli, la sua vita era stata degna d'una tale scola.

Il coraggio che mostrò al sentire la sua sentenza, l'accompagnò per tutta la strada del supplizio; e fu un coraggio sempre tranquillo, e come uno di quei sentimenti ultimi che vengono dalla più ponderata e ferma deliberazione, in cui ogni ostacolo è stato preveduto e pesato.

Al sentire il ruggito delle fiere, si rallegrò: il supplizio, quella morte senza combattimento e senza incertezza, la presenza della quale è una rivelazione di terrore per gli animi i più preparati, che dico? un tal supplizio non aveva nulla d'inaspettato per lui: tanto lo Spirito Santo aveva rinforzato quel core, tanto egli amava!

L'imperatore era Traiano.

Ah! quando alla memoria d'un cristiano si può rimproverare che, per uno zelo ingiusto e erroneo, abbia usurpato il diritto sulla vita altrui, sia pure stato, in tutto il resto, pio, irreprensibile, operoso nel bene; a ogni sua virtù si contrappone il sangue ingiustamente sparso: una vita intera di meriti non basta a coprire una violenza.

E perchè nel giudizio tanto favorevole di Traiano non si conta il sangue d'Ignazio e dei tanti altri innocenti, che pesa sopra di lui?

perchè si propone come un esemplare?

perchè si mantiene ai suoi tempi quella lode che dava loro Tacito, che in essi fosse lecito sentire ciò che si voleva, e dire ciò che si sentiva?

Perchè noi riceviamo per lo più l'opinione fatta dagli altri; e i gentili, che stabilirono quella di Traiano, non credevano che spargere il sangue cristiano togliesse nulla all'umanità e alla giustizia d'un principe.

È la religione che ci ha resi difficili a concedere il titolo d'umano e di giusto; è essa che ci ha rivelato che nel dolore d'un'anima immortale c'è qualche cosa d'ineffabile; è essa che ci ha istruiti a riconoscere e a rispettare in ogni uomo l'immagine di Dio, e il prezzo della Redenzione.

Quando si ricordano gli uomini condannati alle fiamme col pretesto della religione, se alcuno, per attenuare l'atrocità di quei giudizi, allega che i giudici erano fanatici, il mondo risponde che non si deve esserlo; se alcuno allega ch'erano ingannati, il mondo risponde che non bisogna ingannarsi quando si pretende disporre della vita d'un uomo; se alcuno allega che credevano di rendere omaggio alla religione, il mondo risponde che una tale opinione è una bestemmia.

Ah! chi ha insegnato al mondo, che Dio non s'onora che con la mansuetudine e con l'amore, col dar la vita per gli altri e non col levargliela, che la volontà libera dell'uomo è la sola di cui Dio si degna ricevere gli omaggi?

Per spiegare le persecuzioni contro i cristiani, si sarebbe quasi indotti a supporre che il rispetto alla vita dell'uomo fosse ignoto ai gentili, che sia un altro mistero rivelato dal Vangelo.

In quelle si vedono crudeltà incredibili commesse senza un forte impulso; si vedono principi senza fanatismo secondare il trasporto del popolo per i supplizi, non per timore, non per ira, ma direi quasi per indifferenza; perchè la morte crudele di migliaia d'uomini non era forse un oggetto che meritasse un lungo esame.

Non si fa torto a supporre quest'animo a quelli che facevano scannare migliaia di schiavi per una festa.

La famosa lettera di Plinio a Traiano, e la risposta di questo, sono un esempio notabile d'un tale spirito del gentilesimo.

Plinio, legato propretore in Bitinia, consulta l'imperatore sulla causa dei cristiani, espone la sua condotta antecedente, parla d'una lettera cieca, per mezzo della quale ne ha scoperti alcuni, e chiede istruzioni.

L'imperatore approva la condotta del legato, proibisce di far ricerca dei cristiani, e prescrive di punirli se sono denunziati e convinti; a quelli che neghino d'esserlo, e diano di ciò la prova di fatto, adorando gli dei, vuole che si perdoni, in grazia del pentimento.

Finalmente ordina che, delle accuse anonime, non si faccia caso per nessun delitto; essendo, dice, cosa di pessimo esemplo, e indegna del nostro secolo.

Ma, in fatto di barbarie, qual cosa mai poteva essere indegna d'un secolo in cui un magistrato, celebre per coltura d'ingegno e per dolcezza di carattere, domanda per sua regola, se è il nome solo di cristiano che s'abbia a punire, quantunque senza alcun delitto, o i delitti che porta con sé questo nome; se si deva far distinzione d'età, o trattare ugualmente i fanciulli, per quanto teneri siano, e gli adulti?

d'un secolo in cui quest'uomo racconta d'aver fatti condurre al supplizio quelli che, denunziati a lui come cristiani, erano stati duri per tre volte nel confessarsi tali; non dubitando, dice, che qualunque fosse la cosa che confessavano, la loro inflessibile ostinazione dovesse esser punita?

E raccontando poi che altri, i quali dissero d'essere stati cristiani, ma di non esserlo più, e maledissero il Cristo, e adorarono l'immagine dell'imperatore e i simulacri degli dei, affermavano però, che, col professar quella fede, non s'erano impegnati a veruna cosa iniqua, ma, anzi, a non commetter mai ne furti, né latrocini, ne adultèri, a non mancar di fede, a non negare il deposito; non lascia vedere la più piccola inquietudine per quegli ostinati che aveva fatti morire?

Qual cosa poteva essere indegna d'un secolo in cui un principe più celebre àncora, e celebre per sapienza e per mansuetudine, non trova che dire a dei giudizi di questa sorte? e senza farsi carico dei dubbi del magistrato, e riguardo all'età degli accusati, e intorno a ciò che costituisca il delitto, gli rimanda per unica spiegazione la parola Cristiani; e proibisce che se ne faccia ricerca, prescrivendo insieme, che, scoperti, si puniscano, qualunque poi sia per essere la pena?

E s'è visto qual'era quella che il magistrato ordinava.

Ma che dico? d'un secolo, in cui un vecchio divorato dalle fiere era un passatempo per il popolo, e un tal principe dava al popolo un tal passatempo?

Purtroppo i secoli cristiani hanno esempi di crudeltà commesse col pretesto della religione; ma si può sempre asserire che quelli i quali le hanno commesse, furono infedeli alla legge che professavano; che questa li condanna.

Nelle persecuzioni gentilesche, nulla può essere attribuito a inconseguenza dei persecutori, a infedeltà alla loro religione, perchè questa non aveva fatto nulla per tenerli lontani da ciò.

Con questa discussione parrà forse che ci siamo allontanati dall'argomento; ma essa non sarà affatto inutile, se potrà dare occasione d'osservare che molti scrittori hanno adoprato due pesi e due misure per giudicare dei cristiani e dei gentili; se potrà servire a rimovere sempre più dalla morale cattolica l'orribile taccia di sangue, che tante volte le è stata data, a rammentare che la violenza esercitata in difesa di questa religione di pace e di misericordia è affatto avversa al suo spirito, come è stato professato senza interruzione in tutti i secoli dai veri adoratori di Colui che con tanta autorità gridò i discepoli che invocavano il foco del cielo sulle città che ricusavano di ricevere la loro salute, di Colui che comandò agli Apostoli di scuotere la polvere dei loro piedi ( Mt 10,14 ), e d'abbandonare gli ostinati.

Onore a quegli uomini veramente cristiani che, in ogni tempo, e in faccia a ogni passione e a ogni potenza, predicarono la mansuetudine; da quel Lattanzio che scrisse doversi la religione difendere col morire, e non con l'uccidere, fino agli ultimi che si sono trovati in circostanze in cui ci volesse coraggio per manifestare un sentimento così essenzialmente evangelico.

Onore a essi, giacche noi non possiamo più averne onore, in tempi e in luoghi in cui non si può sostenere il contrario senza infamia; in cui, se gli uomini non hanno ( così avessero! ) rinunziato agli odi, hanno almeno saputo vedere che la religione non può accordarsi con quelli; se ammettono troppo spesso il pretesto dell'utile e delle gran passioni per bona scusa di vessazioni e di crudeltà, confessano che la religione è troppo pura per ammetterlo, che la religione non vuol condurre gli uomini al bene se non per mezzo del bene.

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