L'ideale cristiano e religioso

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Gesù Cristo artefice della nostra Redenzione e tesoro infinito delle nostre grazie

4 - Per mezzo di queste soddisfazioni, come del resto per mezzo di tutti gli atti della sua vita, Gesù Cristo ha meritato per noi ogni grazia di perdono, di salvezza, di santificazione.

Che cosa è infatti il merito propriamente detto, quello che in teologia si chiama meritum de condigno?

È un diritto stretto e rigoroso alla ricompensa.

Quando diciamo che le opere di Gesù Cristo sono meritorie per noi, diciamo che, per mezzo loro, Gesù Cristo ci ottiene il diritto alla vita eterna e a tutte le grazie che vi conducono o vi si allacciano.

È appunto ciò che ci dice S. Paolo: " Noi siamo giustificati, vale a dire resi giusti agli occhi di Dio, non per mezzo delle nostre opere, ma gratuitamente, per un dono gratuito di Dio, ossia per la grazia che ci viene per mezzo della Redenzione operata da Gesù Cristo ".

L'Apostolo ci fa dunque capire che la passione di Gesù Cristo, che termina e corona tutte le opere della sua vita terrena, è la sorgente da cui deriva per noi la vita eterna: Gesù Cristo è causa meritoria della nostra santificazione.

E qual è la ragione profonda di questo merito?

- Che ogni merito è personale.

- Quando siamo in stato di grazia, possiamo meritare, per noi stessi, un aumento di questa grazia; ma questo merito si restringe alla nostra persona.

Per le altre, non possiamo meritare la grazia; tutt'al più possiamo implorarla, sollecitarla da Dio.

Come dunque Gesù Cristo può meritare per noi?

Qual è la ragione fondamentale per la quale, non soltanto Gesù Cristo può meritare per se stesso, ad esempio, la glorificazione della sua umanità, ma anche meritare la vita eterna, per gli altri, per noi, per tutto il genere umano?

Il merito, frutto e proprietà della grazia ha, per così dire, la stessa grandezza della grazia su cui si fonda.

Gesù Cristo è pieno della grazia santificate in virtù della quale può personalmente meritare per se stesso.

Ma questa grazia in Gesù non si ferma a Lui solo, non ha soltanto un carattere personale, essa gode di un privilegio di universalità.

Gesù Cristo fu predestinato a diventare la nostra testa, il nostro capo, il nostro rappresentante.

L'Eterno Padre vuol fare di Lui " il primogenito di ogni creatura ".

In seguito alla predestinazione eterna ad essere Egli il capo di tutti gli eletti, la grazia di Gesù Cristo, che per l'Incarnazione appartiene alla nostra progenie, riveste un carattere di eminenza e di universalità, il cui fine non è più di santificare l'anima umana di Gesù, ma di far di Lui, nel dominio della vita eterna, il Capo dell'umanità.

Di qui deriva un carattere sociale, che si trova in tutti gli atti di Gesù quando li consideriamo in rapporto al genere umano.

Tutto ciò che Gesù Cristo fa, lo compie non soltanto per noi, ma in nome nostro.

Perciò San Paolo ci dice, " se la disobbedienza di un solo uomo, Adamo, ci ha trascinati tutti nel peccato e nella morte, è bastata l'obbedienza - e che obbedienza! - di un altro uomo, ma di un uomo che è ugualmente Dio, per rimetterci tutti nell'ordine della grazia " ( Rm 5,19 ).

Gesù Cristo, nella sua qualità di Capo, ha dunque meritato per tutti noi; come sostituendosi a noi, ha soddisfatto per noi.

E siccome, colui che merita è un Dio, i suoi meriti hanno un valore infinito e un'efficacia inesauribile.

Ciò che dà alle soddisfazioni e ai meriti di Gesù Cristo ogni bellezza e ogni pienezza, è l'aver Egli accettato le sue sofferenze volontariamente e per amore.

La libertà è un elemento essenziale del merito, poiché l'atto è degno di lode soltanto se colui che lo compie è responsabile.

Dove non c'è libertà, non c'è merito, dice S. Bernardo.

Questa libertà avvolge tutta la missione redentrice di Gesù, Uomo-Dio, che accettò volontariamente di soffrire nella propria carne passibile, suscettibile di dolore.

Quando, nella sua entrata in questo mondo, Egli ha detto a suo Padre: " Eccomi ", Ecce venio, ut faciam, Deus, voluntatem tuam, Egli conosceva tutte le umiliazioni, tutti i dolori della sua passione e della morte, e liberamente, dal fondo del cuore, per amore di suo Padre e di noi, ha accettato tutto.

Gesù Cristo serba intatta, durante tutta la sua vita, questa volontà di patire.

L'ora del suo sacrificio gli è sempre presente, l'aspetta con impazienza, la chiama la " sua opera ".

Egli annunzia la sua morte ai discepoli, ne traccia loro in precedenza i particolari, e quando S. Pietro commosso al pensiero di veder morire il suo maestro, vuole opporsi all'effettuazione di quelle sofferenze, Gesù lo respinge: " Tu non hai il senso delle cose di Dio " ( Mc 8,31-33 ).

Egli tende alla passione con tutto l'ardore dell'anima sua, ma anche con una suprema libertà pienamente padrona di sé.

Benché questa volontà di patire per amore sia così viva da essere in Lui come una fornace: " Io brucio dal desiderio di essere battezzato " ( Lc 12,50 ) di un battesimo di sangue, ciononostante nessuno avrà il potere di togliergli la vita; Egli la lascerà spontaneamente ( Gv 10,18 ).

Basta ricordare ciò che avvenne a Nazareth ( Lc 5,30 ), nel tempio e nell'orto degli Olivi ( Mt 26,53 ).

Durante la passione le soldatesche lo conducono di tribunale in tribunale; Egli lascia fare.

Però davanti al Sinedrio, tribunale supremo degli Ebrei, Egli proclama i suoi diritti di Figlio di Dio, poi si abbandona al furore dei suoi nemici fino al momento in cui consuma il suo sacrificio sulla Croce.

Gesù si è dato alla morte proprio perché l'ha voluto.

Oblatus est quia ipse voluit ( Is 53,7 ).

In questa consegna volontaria, piena d'amore, di tutto se stesso, sulla croce; per mezzo di questa morte dell'Uomo-Dio; per mezzo di questa immolazione di una vittima senza macchia, che si offre per amore e con una suprema libertà, noi diamo una infinita soddisfazione alla giustizia divina; Gesù Cristo acquista per noi un merito inesauribile, mentre la vita eterna è resa all'umanità.

Poiché ha consumato l'opera della sua mediazione, Gesù Cristo è divenuto per tutti coloro che lo seguono la causa meritoria della salvezza eterna.

Quando si studia il disegno divino, soprattutto alla luce delle lettere di S. Paolo, si vede che Dio vuole che noi cerchiamo la nostra salvezza e la nostra santità, soltanto nel sangue di suo Figlio.

Non c'è altro Redentore, non c'è " sotto il cielo, altro nome che sia stato dato agli uomini, pel quale essi possano esser salvi ".

Perciò il cantico che l'umanità riscattata fa sentire in cielo è: " Ci avete riscattati per mezzo del vostro prezioso sangue, o Gesù Cristo, Agnello immacolato; grazie a voi, alla vostra passione, al vostro sacrificio sulla Croce, alle vostre soddisfazioni, ai vostri meriti, noi siamo salvi dalla morte e dalla dannazione eterna, in vostra lode, onore, gloria e benedizione eterna! " ( Ap 5, 11-12 ).

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