L'ideale cristiano e religioso

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Il dono della sapienza

1 - Se amiamo Dio, Dio si dà all'anima nostra; viene ad abitare con noi; si abbandona al nostro cuore, cioè al nostro affetto, alla nostra volontà.

Diventiamo capaci di gustare Dio presente, di toccarlo, di prendere deliziosamente coscienza della sua presenza in noi.

Noi possediamo una facilità infusa, una disposizione abituale, una costante attitudine a giudicare di Dio e delle cose divine mediante l'intima esperienza acquisita e ciò grazie al soave gusto che ne abbiamo provato.

Questa disposizione abituale si chiama il Dono della Sapienza.

Tale dono ha questo carattere particolare che ci rende atti a giudicare di Dio e delle cose che a Lui si riferiscono, mediante la conoscenza sperimentale che abbiamo di Dio stesso.

Dio, causa suprema, è quindi il termine medio, il fondamento del giudizio che noi diamo sopra di Lui e sopra tutto ciò che a Lui si riferisce.

È da notare che non è una qualunque conoscenza di Dio che ci mette in grado di giudicare, ma una conoscenza sperimentale di Dio, che proviene dalla dolcezza, dalle delizie che noi proviamo al suo contatto.

Questa intima esperienza del divino ce lo fa facilmente distinguere da tutto ciò che non è Lui.

Certo, in questa vita, si tratta di conoscenza imperfetta, negativa.1

Sappiamo con evidenza, dopo aver gustato Dio, che nessuna cosa sensibile o creata è a Lui paragonabile; ma noi non si arriva, mediante il dono della sapienza, a sapere positivamente che cosa è quel Dio di cui gustiamo sperimentalmente la dolcezza.

Questa evidenza positiva il dono della sapienza ce la serba pel Cielo.

La ragione di tale incapacità non si trova nello stesso dono della Sapienza, ma nella fede che quaggiù gli serve di base e che, in cielo, sarà sostituita dalla luce della gloria.

Basato sopra di questa, il dono della sapienza ci farà deliziosamente gustare Dio visto faccia a faccia, e questo dolce possesso ci metterà in grado di conoscerlo qual è Lui medesimo ( 1 Cor 13,12 ).

Col dono della sapienza noi giudichiamo di Dio e delle cose divine mediante la conoscenza sperimentale od affettiva che ne abbiamo.

È dunque il cuore che illumina l'intelligenza?

È uno stato affettivo che genera conoscenza?

Non è ciò sovvertire tutte le nozioni?

Possiamo noi amare un oggetto che non ci sia prima presentato dall'intelligenza e possiamo amarlo in modo più intenso che la luce la quale ce lo fa percepire?

Per una specie di solidarietà delle facoltà umane, l'amore procura, produce, in certo modo, un di più di conoscenza come avviene nel fanciullo che ama sua mamma e può dire di conoscerla meglio di qualunque altro.

Certamente non vi è amore senza conoscenza; questa è una causa e misura dell'amore, ed è tuttavia vero che l'affezione che abbiamo per Dio ce lo fa conoscere di più.

Quando l'intelligenza illuminata dalla fede ci mostra Dio presente in noi, la carità ce lo fa sperimentalmente gustare col dono della sapienza, a patto che Dio voglia darcene la grazia attuale.

Questo gusto unisce la volontà più strettamente a Dio e le permette di raggiungerlo in modo più immediato e più intimo.

L'oggetto così posseduto, Dio amato, gustato in modo ineffabile, è poi presentato all'intelligenza sotto questa nuova luce.

L'intelligenza conclude, senza comprenderlo, che tale oggetto, così sentito e gustato, deve essere più elevato e più eccellente di qualunque altro che potesse possedere.

In tal modo l'amore della volontà, sebbene esso medesimo non illumini l'intelligenza, è causa di una conoscenza più elevata, più soave di Dio e delle cose divine.

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1 L'espressione "conoscenza negativa" non vuol dire la mancanza di conoscenza positiva, ma solo "mancanza di conoscenza adeguata".
Infatti abbiamo di Dio, anche nell'ordine naturale, una conoscenza per analogia o per proporzione, basata, come dice S. Tommaso, sopra una certa affinità d'essere tra Dio e il creato.