L'ideale cristiano e religioso

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Nelle desolazioni dell'anima

In certe ore, Iddio in persona sembra che si schieri contro di noi e ci obblighi a terribili combattimenti.

I dolori che allora c'invia sono, fra tutti, i più acuti e i più terribili; e sono anche i più rari, perché la maggior parte delle anime sono incapaci di conoscerli.

La sofferenza aveva per fine di soddisfare la divina giustizia e di provare l'amore; ma le desolazioni dell'anima devono segnar l'anima col suggello supremo della perfezione e imprimerle la massima rassomiglianza con Gesù Cristo.

Questi dolori vengono direttamente da Dio.

La loro radice profonda è l'infinita santità di Dio; la loro causa immediata, i misteriosi procedimenti dello Spirito Santo che, volendo far partecipare l'anima all'eterna e suprema Purezza, l'afferra, la purifica nell'amarezza fino alla completa trasformazione.

È Dio stesso che agisce senza intermediario per raggiungere le segrete profondità, fino a quell'ultimo fondo dell'anima ch'Egli solo può scrutare, per esaminare rigorosamente tutte le potenze dello spirito e tutte le pieghe del cuore.

In tali ore, tutto è doloroso, anche la rimembranza delle grazie altre volte ricevute, perché lo Spirito Santo spande nell'anima una luce segreta e purissima che, illuminandola sulla propria miseria e sulla grandezza di Dio, getta tutto il resto in una notte profonda, fa crollare tutti i sogni naturali, la immerge in una desolante solitudine in faccia d'Iddio tre volte Santo e la piomba in tenebre spirituali grandissime, spesso anche in un terrore pieno d'angoscia.

È Dio che vuole purificare tutto.

Che fare allora? Abbandonarsi all'azione divina.

Resistere sarebbe nocivo, e per lo più impossibile.

Il rimanere in questo dolore purificatore, è rimanere in Dio.

L'unione a Gesù Cristo e alla sua Passione è più utile che mai.

Per quanto sia grande la desolazione dell'anima, essa non si avvicinerà mai all'assoluto abbandono dell'anima di Gesù nelle ore spaventose, quando si udiva gemere:

« L'anima mia è triste fino alla morte… Mio Dio, mio Dio, perché mi hai abbandonato? ».

In quei momenti l'unione stessa con Gesù è fredda, muta e dolorosa.

Il cuore non la sente, ma è nella fede che l'unione si fa.

È nella fede che l'anima deve tenersi unita e in certo modo aggrappata a Dio.

La fede è l'unico rifugio, il regno immutabile ( Eb 12,28 ).

« È nella fede che dobbiamo star saldi » ( 2 Cor 1,24 ).

Più che mai l'anima abbandonata deve credere « all'eccessiva carità ».

Ella deve credere che Dio mai non l'amò tanto quanto in quei momenti, in cui sembra respingerla e che mai non le fu così presente.

« Quanto più ti credi abbandonata - diceva Gesù alla Beata Angela da Foligno - tanto più sei amata e a me unita ».

Allora facciamo nostre le parole di S. Giovanni Evangelista:

« Quanto a noi crediamo all'amor che Dio ha per noi » ( Gv 4,16 ).

In quelle benedette ore di desolazione interiore o, per dir meglio, di purificazione soprannaturale, si compiono grandi cose:

l'Amore compie l'unione dell'anima col suo Dio, secondo la promessa ch'egli ne fece:

« È nella fede ch'io ti sposerò mediante un'unione eterna » ( Os 2,19 ).

Quando l'anima è nella prova, non ha che da tenersi unita a Gesù Cristo e per le Piaghe della sua Umanità penetrare nella Divinità.

L'anima sacrificata è un olocausto, un'ostia.

Se ella vi consente, il suo olocausto non solo si unisce a quello di Gesù, ma vi si fonde: ella diventa per Dio, con Gesù, un unico olocausto gloriosissimo.

Non ci lamentiamo dunque di soffrire.

Andiamo incontro alla croce con Gesù che offre se stesso come un'ostia di soave odore.

« Con Cristo sono confitto in croce » ( Gal 2,12 ).

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