Il principio Persona

Indice

Epilogo

1. L'epoca della riproducibilità tecnica della vita

In queste pagine abbiamo elaborato il convincimento che il principio-persona trovi solida espressione nel personalismo ontologico più che nel solo personalismo etico, e che la filosofia dell'essere ne rappresenti la miglior garanzia.

In base alla determinazione boeziana una ripresa dell'idea di persona richiede di riscoprire i concetti che ne formano il tessuto: individuo, natura, ragione, sostanza.

Qui il compito è stato compiuto seguendo in specie il filo conduttore della sostanza, il concetto su cui si sono forse addensati i maggiori equivoci, e più in generale la via metafisica: quest'ultima si è mostrata ineludibile per la « personologia », né sarebbe difficile mostrare che lo è anche per l'assiologia, dal momento che la dottrina dei valori e dell'azione affonda radici nella dottrina dell'essere.

Nella prospettiva che si è dischiusa la persona non è apparsa come un elemento riducibile solo al divenire della storia e del cosmo.

Se questi non sono « macchine » per produrre la persona, è perché essa appartiene con una parte di se stessa ad un ordine più alto.

Storia e cosmo costituiscono luoghi in cui essa da prova di sé e compie il suo cammino personalizzante, allo scopo di diventare nel registro dell'agire, del pensare, dell'amare quella persona che è già per dono di natura nel registro dell'essere.

Argomentando in favore di una filosofia della persona intesa come la sfera più alta e interiore dell'essere, ci si è allontanati da una concezione del soggetto ridotto ad alcune funzioni e ultimamente a quella tecnico-produttiva, che non conosce la relazione umana.

Il principio-persona ruota intorno a due nuclei filosofico-teologici alti: l'uomo è dotato di ragione e volontà libera; l'uomo è creato da Dio a sua immagine.

Questi cardini sono un chiaro portato del cristianesimo: riposano su una base elaborata dalla Patristica, successivamente con particolare vigore dal pensiero medievale dall'XI al XIII secolo, e poi ripresi dalla cultura umanistica.

In tale lunga fase i riferimenti simbolici essenziali per pensare l'uomo sono più biblici che greci, e si chiamano Adamo e Cristo, non Prometeo.

La particolare dignità dell'uomo è stata espressa con illuminanti immagini nel pensiero biblico, ed il Salmo 8 può ben essere il nucleo di una biblica oratio de hominis dignitate.

La controprova storica di quanto asserito sta in un evento, su cui non è mai troppo tardi meditare: le posizioni antipersonaliste si collocano entro il distacco del progetto moderno da quei presupposti metafisici e cristiani che nutrono l'idea di persona.

Reciprocamente larga parte degli autori personalisti del Novecento affonda più o meno ampiamente le proprie radici nel discorso biblico, come se nel momento del più travolgente pericolo per la persona, il movimento personalista abbia trovato solide ragioni di speranza nella vicenda della Creazione e dell'Incarnazione.

Nel secolo da poco iniziato le difficoltà d'avanzamento del principio-persona manifestano nuovi volti, e il personalismo è di nuovo « in tiro » per esprimere il suo massimo rendimento.

Più che sollevare la domanda « Ne sarà capace? », faremo meglio a dire: « Ne saremo capaci? »

Nella storia possono accadere guadagni durevoli, ma anche e forse spesso le perdite: quelle perdite che succedono quando l'occasione cairotica passa davanti a noi e nessuno l'afferra: thE lost moments ofhistory, appunto.

Se saremo all'altezza del tema, dopo l'epoca dell'egologia moderna e della crisi della soggettività trascendentale può aprirsi l'era della « personologia ».

Questa non dice: cogito, ergo sum, e neppure, volo, ergo sum, ma: ego existo uti persona.

Il principio-persona si inserisce con originalità nel movimento fondamentale della ricerca umana.

Se consideriamo i massimi orizzonti della scienza contemporanea:

1) la teoria del Tutto cosmico con i temi dell'inizio dell'universo e del tempo;

2) la questione della vita, che chiama in causa biologia e la genetica e la domanda sulla creazione della vita in laboratorio;

3) la questione dell'evoluzione: da dove vengo?

4) la domanda sulla mente e il suo rapporto col cervello: come penso e chi sono?

La questione della persona è implicata in trE dei quattro titoli.

Il principio-persona deve essere rappresentato pubblicamente e questo lo può fare una metafisica ontologica che di per sé è pubblica.

Non sono viceversa in grado di cogliere la valenza del principio-persona e di farsene rappresentanti pubblici né il pensiero tecnico, ne quello economico, né la razionalità dell'efficacia strumentale, incapaci di comprenderne la complessità e gli strati profondi di cui si compone.

Da qui i principali avversali della persona: il nichilismo di ogni forma; teoretico, pratico, politico, giuridico, teologico; le filosofie scientiste e materialiste; positivismo e storicismo di vario genere; l'atteggiamento riduzionistico che opera un'estrema semplificazione della persona, rendendola unidimensionale.

Queste culture non sono in grado di dare forma al principio-persona, di rappresentarlo pubblicamente; piuttosto ne operano una costante critica mirante a dissolverlo.

2. Un nomos personalista

In nessuna epoca come la nostra il massimo potere si unisce al massimo vuoto; il massimo di conoscenza tecnica va insieme col minimo sapere sugli scopi.

Per evitare la débàcle del principio-persona risulta necessario passare dalla tastiera del logos, su cui è stata sin qui accordata la musica fondamentale, a quella del nomos: un nomos della persona, fondato sulla comune appartenenza umana, contrario a dividere gli esseri umani in liberi e schiavi, signori e servi, cittadini e stranieri, uomini e donne.

La base da cui partire sta nell'inscindibilità tra logos e nomos, che solo un equivoco può voler separare: un logos personalistico, orientale da un diverso modo di guardare la persona, non può che favorire un cambiamento degli ordinamenti concreti.

Il nomos è ciò in cui si esprime non solo il modo in cui è pensata la società, ma il modo in cui è organizzata e normata, e in cui è stabilito il rapporto con l'Altro.

Il nomos, che è il nome greco della legge, non è solamente un codice, un complesso di norme scritte e non scritte.

Per i greci esso era nello stesso tempo ethos, costume, usanze, culto, insomma l'ordine complessivo della società; non a caso nomos è la parola con cui i Settanta traducono l'ebraica Torah.

Si possono indicare alcuni nomi o imperativi di un'etica personalista del futuro.

Ne suggerisco sei, consapevole che altri imperativi possono essere aggiunti.

1) Impiega il principio-persona e il suo linguaggio come nuovo medium transculturale, ponendolo più in alto del linguaggio della scienza occidentale, che oggi vuole essere l'unico medium valido di comunicazione universale.

La teoria della scienza come unico specchio della realtà si può sostenere solo se si mantiene fuori dal quadro tutto ciò che esso non può contenere.

Panikkar sottolinea la violenza di cui si fa portatore il razionalismo illuminista, quando considera la scienza occidentale l'unico linguaggio transculturale: « Oltrepassare le frontiere culturali spianando il fucile della " pura " ragione (cioè la sola ragione) è abbandonarsi a un atto di violenza "
e di contrabbando culturale ».1

Panikkar respinge la pretesa della scienza di proporsi come universale e neutrale, rispetto alle altre cosmologie.

L'esportazione del modello occidentale appare oggi forte nel momento in cui si ammette che la cultura scientifica è superiore ad ogni altra e che le altre culture sono destinate a scomparire: impossibile in tal caso parlare di interculturalità.

Se esiste una sola cultura universalmente valida, quella della scienza galileiana, le culture altre diventano irrilevanti e inferiori.

Il dialogo interculturale è autentico solo nella consapevolezza che la nostra visione del mondo non è l'unica.

2) Dal lato del nomos e dell'azione il principio-persona è asimmetrico: rimani fedele a tale asimmetria.

Asimmetria significa che sono chiamato a rispettare l'altro, indipendentemente dal fatto che l'altro non applichi la regola della simmetria e non eserciti rispetto.

In merito non si dà scambio degli equivalenti come nei rapporti economici e nel mercato.

Naturalmente posso chiedere ed agire per favorire una chiara reciprocità, senza però cessare dal rispetto dell'altro.

Non posso dunque negarglielo se l'altro me lo nega.

3) Non porre mai a rischio il principio-persona nei dibattiti sull'essere e sull'agire dell'uomo, in modo che diventi una posta in gioco.

Di questo assioma si possono offrire due implicazioni:

a) La prima è stata formulata da H. Jonas così: « Includi nella tua scelta attuale l'integrità futura dell'uomo come oggetto della tua volontà ».2

In merito preciserei, aggiungendo un aggettivo: « Includi nella tua scelta attuale l'integrità presente e futura dell'uomo … ».

Che cosa significhi integrità, è stato accennato nel cap. V, almeno in rapporto alle biotecnologie;

b) la seconda implicazione potrebbe suonare: « Nelle vicende dell'essere e dell'agire non cercare di produrre la persona ».

Quest'ultimo criterio può essere ulteriormente sviluppato in altri " imperativi ":

b1) evita l'assolutizzazione del momento produttivo che, giunto al suo apice nella società tecnologica, non ha altro fine che la produzione stessa;

b2) non rapportarti all'altro, al mondo, alla natura, come a ciò che può soltanto essere prodotto, fino a pervenire all'alienazione che percorre la storia dell'Occidente, l'annullamento del soggetto nella cosa;

b3) allontanati dall'idea di una producibilità universale, nella quale lo stesso soggetto alla fine si trova incluso, rimanendo contraddittoriamente identificato col suo opposto, l'oggetto;

b4) evita l'influsso dell'antropologia utilitaristica centrata sul selfìnterest e non considerarea l'economia politica la scienza sociale fondamentale: esse conducono al declino del politico e dello spazio pubblico ( cfr. Alain Caillé, Il tramonto del politico. Crisi, rinuncia e riscatto delle scienze sociali. Dedalo, Bari 1995 ).

4) Adotta il principio-persona come filo conduttore per l'educazione della persona.

L'uomo può e deve essere educato a divenire concretamente quello che è già per essenza: educato fisiologicamente, corporalmente, psicologicamente, moralmente, intellettualmente, spiritualmente a crescere e ad entrare in rapporto positivo con l'altro.

Educare significa prendere per mano una persona e aiutarla a percepire il senso integrale della realtà, aiutarla a fare i conti con il reale, non con sogni, siano essi alti o modesti.

Ogni autentico processo educativo inizia con un atto di realismo, guardando le cose che sono e come sono.

Il vero educare è un processo antìnichilistico, essendo il nichilismo in radice denotato dal rifiuto del principio di realtà, e dall'adesione a criteri d'irrealtà e di sogno che sembrano costitutivi di importanti aspetti della postmodernità.

Il nichilismo è una costante sfida al linguaggio, è un modo di adulterarlo e di fargli dire l'antirealtà.

L'educazione è educazione della persona, prima ancora che educazione civica e politica ad essere buoni cittadini, o il dressage a competere con l'altro come in un combattimento tra galli.

L'oggetto dell'educazione è il soggetto, la persona del bambino e del giovane.

La conversione al materialismo che emerge in varie zone della società occidentale rende arduo il processo educativo.

Una pedagogia personalista evita che l'essere umano sia ridotto a transito di cibo, e punta sulla forza e l'educazione dell'anima.

Qui l'obiezione scientista è particolarmente distruttiva poiché, privando l'uomo della dimensione spirituale e del suo essere ad imaginem Dei ( prima si toglie Dio, poi la sua immagine ), lo abbassa quasi alla stregua di un animale fra i tanti che popolano il cosmo: magari più evoluto ma privo di una sua specifica dignità.

Da questo lato l'antropologia si pone semplicemente come un ramo della zoologia.

In certo modo il processo è stato iniziato da Machiavelli, uno dei maggiori negatori impliciti del principio-persona.

Riducendo l'uomo ad animalitas eferinitas, intendendolo come un animale per la potenza, sostituendo il paradigma della giustizia con quello della forza, ethos con kratos, egli ha avviato quel processo, con conseguenze devastanti nell'ambito dell'idea politica e dell'educazione.

Dalla posizione antiumanistica si diparte una difficoltà: come procedere all'educazione morale dell'essere umano, se questi è un animale che potrà forse venire addomesticato come un bipede implume, non moralmente educato per la verità e il bene.

Allevare e addomesticare da un lato ed educare dall'altro sono processi lontani.

Il filosofo-re platonico possiede un sapere per allevare e addomesticare o un sapere per educare?

In generale vi può essere un'educazione dell'uomo solo quando se ne ha un concetto adeguato, quando conosciamo i fini dell'educare e non falliamo nell'educare gli educatori.

Non possiamo educare se non siamo in grado di sostenere il valore umanistico e non meramente zoologico della vita umana.

In caso contrario il processo pedagogico può essere compreso solo come un cammino di addomesticamento e di allevamento dell' « animale uomo », come sembra ritenere P. Sloterdijk quando parla di « parco umano » e pare introdurre l'idea di una storia naturale dell'addomesticamento.3

L'umanesimo non cerca di produrre né il sottouomo, né il superuomo, ma l'uomo in carne ed ossa cui la cultura morale, l'esperienza e l'esempio, incarnato in persone, delle migliori possibilità dell'esistenza umana forniscono un appello che conta più di tante altre cose.

5) Fai valere il principio-persona come sorgente di riforma nei fondamentali ordinamenti concreti della vita: matrimonio e famiglia; lavoro; cultura e sapere; politica e diritto; religione.

O anche: applica il principio-persona a società, politica, cultura, e fanne il perno di un'azione conseguente: rapporto con l'altro entro istituzioni giuste ( come suggerisce Ricoeur ).

La società infatti non è un microcosmos ma un macroantropos; è la parola uomo scritta in grande, e risulta illusorio ricercare una scienza della società senza dotarsi di una scienza dell'uomo.

Tommaso d'Aquino aveva determinato lo scopo della società nel modo seguente: « Ad hoc enim homines congregantur, ut simul bene vivant ».4

Ora il bene vivere, che è lo scopo, non può essere definito dalla società o dalle scienze sociali.

Quale sia la buona vita, la forma di vita più degna dell'uomo come essere sociale diventa anzi il presupposto di ogni pensiero e di ogni prassi politica che vogliano realizzarlo.

Da questa fondamentale lezione della filosofia politica personalista diverge larga parte della modernità, in cui la dimenticanza fra vivere ( zen ) e bene vivere ( eu zen ) denota spesso la nuova partenza.

In Telesio e Campanella, nel conatus sese conservandi di Spinoza, in Hobbes, ecc., il massimo bene è la conservazione della vita.

Lo zen prende il sopravvento sull'eu zen, particolarmente in Hobbes per il quale società e Stato non sono stabiliti sul bene vivere ma sulla volontà dell'individuo di conservarsi in vita.

Le concezioni politiche del personalismo hanno contribuito a rompere questo schema, reintroducendo la questione della buona vita, dei diritti umani, del solidarismo e comunitarismo, aprendo il cammino ad un nuovo paradigma antihobbesiano di cui è superfluo sottolineare la necessità.

In parte del pensiero politico dell'ultimo mezzo secolo è in atto un tentativo di recidere i legami con l'eredità hobbesiana e di riscoprire l'ambito del bene vivere.

Un essenziale passo avanti accadrebbe quando il principio-persona fosse applicato ai rapporti internazionali e al tema della guerra e della pace, dove la sua emarginazione è maggiore.

6) Per l'ultimo suggerimento ci affidiamo alle parole di E. Scalfari, sospeso tra tentazione antiumanistica e nostalgia dell'Altro: « Personalmente non credo che il ruolo della specie alla quale io appartengo sia superiore a quello delle api o delle formiche o dei passeri » …

In questo scenario letteralmente occidentale ( cioè da « tramonto », perché « occidente » vuole dire terra del tramonto del sole ) brilla ancora più forte e affascinante la luce della fede: essa ci svela il senso della vita e, conseguentemente, accende una lampada davanti alla nostra libertà.

La fede, innanzi tutto, dando forza all'evidenza, dice che Dio ha creato l'uomo e la donna per puro amore ( quale altro scopo poteva avere Dio? ) e li ha collocati nella festa della creazione, la quale oggi, a motivo delle straordinarie scoperte scientifiche, ci appare sempre di più come uno scenario di divina sproporzione e di divina fantasia: la galassia - soltanto per fare un esempio - nella quale si trova il sistema solare con il nostro piccolo pianeta ha un diametro di 100.000 anni luce, pari a un miliardo di miliardi di miliardi di chilometri!

E la nostra galassia è un angolo dell'universo!

Viene subito la domanda: perché Dio ha creato l'uomo?

La risposta della fede è stupendamente semplice, ma anche meravigliosamente rispondente a ciò che la ragione umana cerca e intuisce: Dio ha creato l'uomo, affinché possa, con la sua libertà, firmare l'innata relazione con Dio e così possa aprirsi ad un abbraccio di amore con Lui, che è la sorgente della festa e di ogni festa » ( "la Repubblica", 24 gennaio 1996 ).

3. Due ostacoli

1) Il postulato antropocentrico, che fa perno sull'uomo intendendolo centrato solo su se stesso, non è superato: appare in crisi ma non domo.

Nella transizione da un antropocentrismo orgoglioso di sé sino alla presunzione ad altre forme, non poco è mutato ma è finora rimasto l'antropo centrismo.

Per perpetuarsi esso ha di molto abbassato i suoi orizzonti, adottando una concezione antieroica dell'esistenza, cedendo alle pusillanimità dell'io minimo, concedendosi all'abbraccio della tecnica, acconciandosi ad una razionalità diminuita come quella rappresentata dal proceduralismo e dalla morale secolare ( questi aspetti sono ampiamente svolti nei capp. V e VI del mio Religione e vita civile, cui rinvio ).

L'umanesimo antropocentrico ha raggiunto esiti e successi, ma ha pure incontrato a Dachau ed Auschwitz il suo « altro » fiammeggiante, il nemico che da solo non è in grado di debellare.

Una frase di Solgenitsin dà da pensare: « Un antropocentrismo sicuro di sé non può dare risposte a molte domande della vita ed è tanto più impotente, quanto più le domande sono profonde ».5

Da tempo si verifica un passaggio intenso da un antropocentrismo a sfondo idealistico ad uno materialistico ed evoluzionistico: e qui infine l'antropocentrismo potrebbe rinnegarsi e concludere nel suo contrario.

Ciò che oggi dobbiamo temere è la diminuzione dell'uomo, l'abbassamento che si infligge con le proprie mani, diventando nemico di se stesso e finendo per disprezzarsi.

Ancora recentemente si è tornati a parlare di « morte di Dio », con scarsa verosimiglianza, perché se per « morte di Dio » si intende la fine delle religioni le evidenze empiriche sembrano dire il contrario, ossia che è in atto una ripresa del ruolo anche pubblico delle grandi religioni mondiali.

Più appropriato è parlare di rischio di « morte dell'uomo », di declino di ciò che è più tipicamente umano.

Mentre Dio sembra tornare, l'uomo continua ad andare, ad andare via, ad essere assoggettato a violenze, manipolazioni, nuove forme di schiavitù.

Non siamo fuori dalla notte del materialismo, come molti anni fa avvertiva con la lucidità dei poeti B. Pasternak.

In una lettera del 5 marzo 1933, indirizzata ai genitori a Berlino, così si esprime: « Una stessa cosa mi deprime sia nella nostra condizione sia nella vostra.

È il fatto che questo movimento [ il nazismo ] non è cristiano ma nazionalistico, cioè corre lo stesso pericolo di scivolare nel bestialismo del fatto.

C'è lo stesso distacco dalla secolare misericordiosa tradizione che viveva di trasformazioni e anticipazioni, e non delle sole constatazioni della cieca emozione.

Sono movimenti binari [ nazismo e comunismo ], dello stesso livello, l'uno provocato dall'altro e per questo tutto ciò è ancora più triste.

Sono l'ala destra e l'ala sinistra di una nuova notte materialistica ».6

2) L'obiezione del nichilismo europeo.

Lo spostamento dei Zentralgebiete ( C. Schmitt ).

La ricomprensione naturalistica della persona, quale cerca oggi di farsi valere attraverso il biologismo e larghe parti della teoria dell'evoluzione quale nuova filosofia prima, segnerebbe la supremazia del funzionalismo sul sostanzialismo nella metafisica della persona e il trionfo della concezione « mobilista » della realtà secondo cui tutto diviene e niente è.

Il passaggio dal sostanzialismo al funzionalismo è un modo per integrare senza residui l'uomo in un divenire che non ammette eccezioni o sporgenze.

Entro tale quadro appare un nuovo volto del nichilismo che tratteggiamo così: speculativamente come oblio della sostanza quale portato dell'oblio dell'essere; antropologicamente come dissoluzione della sostanzialità della persona e sua riconduzione-riduzione a funzione; teologicamente come abbandono della verità dell'imago Dei.

L'antipersonalismo costituisce una forma notevole di nichilismo.

Questo procede da antefatti che hanno interessato la storia europea dal XVI secolo in avanti, attraverso uno spostamento progressivo dei centri di riferimento della cultura o Zentralgebiete secondo la denominazione impiegata da C. Schmitt nello scritto: « L'epoca delle neutralizzazioni e delle spoliticizzazioni »,7 verso cui ci volgiamo.

Il saggio, breve e succoso, è notevole.

Per il suo autore può valere quanto don Ferrante dice di Machiavelli, « mariolo sì, ma profondo ».8

Schmitt è a mio parere un « mariolo » per il suo Begriff des Politischen disperatamente consegnato allo scontro senza requie tra amico e nemico, ma acuto per i lampi di intelligenza che rischiarano la sua visione del diritto e del nomos.

L'ambito del discorso schmittiano è l'Europa e in senso affine l'Occidente, non la storia universale: che il nichilismo sia l'esito attuale della storia mondiale lo si può assumere solo a patto di elevare, ricorrendo a potenti semplificazioni, la vicenda spirituale dell'Occidente a vicenda universale.

La questione del nichilismo deve essere ancora compresa nel suo ambito nativo d'origine e di sviluppo prima di ricorrere ad azzardate estrapolazioni alla storia mondiale e ad altri contesti di civiltà come l'India, la Cina, e in certo modo l'Isiam.

Le diagnosi oracolari e onnicomprensive, cui hanno ceduto Heidegger e i suoi successori persuadendo a cercare fuori dalla modernità le scaturigini del nichilismo, suonano dubbie.

Schmitt ricostruisce sobriamente « le fasi attraverso cui si è sviluppato lo spirito europeo negli ultimi quattro secoli e le diverse sfere spirituali nelle quali esso trovò il centro della propria espressione umana.

Si tratta di quattro grandi, semplici passi secolari.

Essi corrispondono ai quattro secoli [ dal XVI al XIX ] e vanno dal teologico al metafisico, da questo al morale umanitario e infine all'economico …

Negli ultimi quattro secoli della storia europea la vita spirituale ha avuto quattro centri diversi, e il pensiero dell'elite attiva, che costituiva il gruppo di punta nei diversi momenti, si è mosso, nei diversi secoli, intorno a centri di riferimento diversi » ( p. 168 e s. ).

Fra tutti i rivolgimenti spirituali della storia europea Schmitt considera il più intenso e carico di successo quello avvenuto nel '600 che condusse dalla tradizione teologica cristiana al sistema di una scientificità « naturale », la quale abbastanza rapidamente allontanerà da sé il correlato metafisico-ontologico cui era in partenza unita.

Il passaggio da un centro di prospettiva al successivo comporta la neutralizzazione e l'emarginazione di quello precedente, nell'intento di trovare sul nuovo terreno e intorno al nuovo centro di riferimento quel minimo d'accordo e di premesse comuni che « permettano sicurezza, evidenza, comprensione e pace » ( p. 176 ), sino all'approdo sul terreno della tecnica.

In questo si crede di aver trovato il luogo assolutamente e definitivamente neutrale, che risponde all'esigenza del « nient'altro che tecnica ».

Illusione maestosa tuttavia, poiché dietro alla tecnica sta lo spirito della tecnica, ed esso non è qualcosa di tecnico, ma di essenzialmente spirituale che impiega la tecnica per i suoi scopi.

Tanto lo spirito della tecnica non è qualcosa di tecnico, altrettanto il senso della politica ( e del diritto ) non sta solo o principalmente nelle regole, norme e procedure.

Di tale illusione testimonia l'idea, diventata moneta passepartout, che la democrazia non abbia bisogno di alcun presupposto etico, antropologico e religioso.

Per ciascuno dei quattro centri di riferimento vale la tendenza a costruire attorno ad esso un autonomo « concetto di verità ».

E propria della posizione di Schmitt l'idea che la storia non sia uno « sgomitolamento lineare », ma che includa fratture interne, cesure, salti qualitativi: la filosofia della storia non è ne può essere una filosofia della certezza proiettata verso il futuro.

Da rimarcare pure l'assunto schmittiano che molto dipenda dall'azione delle élites volta a volta attive.

I centri di riferimento prendono tale nome in quanto assicurano se non una totalità ordinata, almeno una qualche unificazione: attorno ad essi si riformula e si unifica una cultura seppure a livelli di indebolimento crescente.

É una diagnosi ripetuta che il nichilismo consista non solo nell'erosione dei valori, ma appunto nella perdita di ogni centro di riferimento e di prospettiva.

Il nichilismo avanza man mano che i centri di riferimento individuati da Schmitt si depotenziano e unificano in modo sempre più precario, sino a quando si evidenzia l'esito di cui la pancia della storia era per così dire già gravida: il soggetto umano rotola via da ogni centro e precipita da ogni parte come è annunciato dall'uomo folle sulla piazza del mercato, che rende nota ai distratti e agli inconsapevoli la « morte di Dio ».

Con validi motivi dunque il processo del nichilismo è riassumibile nella « morte di Dio » nel senso che spentosi il Centro, ogni altro centro minore e derivato dura solo per un tempo limitato e poi si dissolve.

Spentosi il fulgore di Dio sulla storia universale, la dispersione vince, la vita si sparpaglia, l'umanità dell'uomo si dissolve.

Simpatizzo con l'analisi schmittiana per il rilievo attribuito al mutamento, che spesso fu piuttosto uno scardinamento, dei centri fondamentali della cultura.

Non sostengo che il processo del loro mutare e l'avvento del nichilismo siano pienamente sovrapponibili e procedano di conserva.

L'assunto che intendo svolgere è che con l'imporsi dei nuovi centri di riferimento dello spirito europeo si è progressivamente estenuata l'apertura contemplativa della mente, ci si è mossi verso un'accettazione supina del divenire come fenomeno innocente e improblematico, e verso un affidamento alla potenza trasformatrice della tecnica: la volontà di potenza al posto della volontà di verità.

Uorbis ad deum ordinatus e l'intellectus ad esse ordinatus vengono meno e sono sostituiti dal principio tecnico-economico.

È accaduto un depotenziamento del realismo, un crescente oblio dell'essere, una riformulazione del concetto di verità, sino all'arrivo sul terreno del null'altro che tecnica, dove si sviluppa l'antireligione del tecnicismo o la fede secolare nella tecnica, che rappresenta l'opposizione più forte al livello teologico di partenza.

Invertire il processo di declino nichilistico significa riaprire il cammino verso un riattingimento dei centri di riferimento oggi in eclisse: questo lo possono minoranze creative o élite attive.

Nessun destino è già segnato.

4. Umanesimo e ( neo ) illuminismo

Secondo C. Taylor si danno varie forme di umanesimo: vi sono i sostenitori di un umanesimo secolare, i neonietzschiani, e « coloro che riconoscono un bene che va oltre la vita.

Ciascuno dei tre può allearsi con un altro contro il terzo su qualche importante questione.

I neonietzschiani e i fautori di un umanesimo secolare condannano la religione e respingono ogni idea di un bene che vada oltre la vita.

Ma i neonietzschiani e chi riconosce il trascendente sono accomunati dal distacco con cui assistono ai continui scacchi dell'umanesimo secolare, e concordano anche sul fatto che la sua visione della vita manca di una dimensione.

In un terzo scenario, i fautori dell'umanesimo secolare e i credenti si alleano nella comune difesa di un'idea di bene umano contro l'antiumanesimo degli eredi di Nietzsche ».9

Nella triade delle possibili relazioni isoliamo la terza: i migliori fautori dell'umanesimo secolare sono attualmente i sostenitori dell'illuminismo e neoilluminismo.

Tuttavia l'umanesimo secolare è solo una parte della realtà dell'umanesimo come tale: nella cultura europea umanesimo e illuminismo designano atteggiamenti tipici dello spirito su cui conviene sostare per delineame i caratteri differenziali.

Ma prima per amore di precisione è saggio richiamare la differenza tra umanesimo e personalismo: il primo possiede un significato più ampio e forse più vago dell'altro.

Vi sono stili di umanesimo che non sono personalisti: se in passato si è parlato di « umanesimo marxista », sarebbe impossibile richiamarsi ad un personalismo marxista ( lo vieta la sesta tesi di Marx su Feuerbach ), o anche ad un personalismo ateo che scelga tra Dio e l'uomo, poiché nel marxismo l'uomo non è persona ma particolarizzazione transeunte della Gattungswesen ( essenza del genere ).

Messo a punto il linguaggio, inoltriamoci nel rapporto tra umanesimo e illuminismo.

L'umanesimo ( con la minuscola ) costituisce una categoria generale dello spirito, di cui l'Umanesimo ( con la maiuscola ) del XV e XVI secolo rappresenta un'importante espressione storico-culturale.

Esso si nutriva di una filosofia religiosa della persona ( spesso di una concezione teandrica della presenza di Dio nell'uomo ), aperta a valorizzarne l'interiorità e il suo rapporto col mondo.

La sua cifra si gioca nell'equilibrio tra il fin « contemplativo » del conoscere e dell'amare gli « oggetti », in specie i più alti, e la molteplicità dell'agire in cui predominano la relazione con l'altro uomo, la giustizia, la responsabilità verso l'altro.

Il profilo di persona che si delinea nell'umanesimo non può perciò essere raggiunto dalla critica heideggeriana al soggetto moderno manipolante, animato da volontà di potenza10

Nella cultura dell'illuminismo si esprime una fondamentale fiducia nei saperi mondani, nella progettazione tecnico-politica, nella duttile capacità di disporre delle cose, nella liberazione che verrà all'uomo per il suo concentrarsi sull'azione civile e politica.

Accadono un mutamento del desiderio e una trasformazione dell'ondo amoris: la gestione confortevole del vivere tende ad occupare la scena, anche per la non infrequente alleanza tra illuminismo e utilitarismo.

Dell'umanesimo rimane l'idea dell'azione guidata da regole morali e valori ( forse meno quella di una sapienza contemplativa ), che però si estendono universalmente e che tendono al riscatto della vita comune e al riconoscimento di una sostanziale uguaglianza tra gli uomini.

Mentre l'illuminismo rischia di trovarsi accaparrato dalla gestione tecnica, dall'orizzonte acquisitivo e dallo scambio economico nel mercato, l'istanza dell'umanesimo introduce un'ulteriorità, una riserva critica aprente contro i sempre ritornanti riduzionismi.

D'altra parte istanza umanistico-personalistica e istanza illuministica trovano un buon terreno di incontro sulla questione dei diritti umani, entro il quale levare difese contro l'antiumanesimo degli eredi di Nietzsche.

Si tratta di un nucleo fondamentale, attualmente messo alla prova nel rapporto difficile tra uomo e tecnica.

Qui non sappiamo come evolverà la dialettica tra personalismo e illuminismo in specie per quanto riguarda la parte del naturale e dell'artificialmente prodotto nell'uomo.

È possibile riassumere le categorie discriminanti dell'universo di pensiero e cultura proprio dell'umanesimo e dell'illuminismo, disponendole secondo alcune endiadi polari:

umanesimo illuminismo
Persona Individuo
Interiorità Io nell'azione
Teismo Riserbo sulla trascendenza
Comunità ( filosofia io-tu ) Società contrattuale
Concezione della vita aperta ad una ulteriorità Concezione intramondana

5. Compito del principio-persona

La modernità filosofica prese le mosse con l'io e la soggettività, non con la persona: queste partenze assolute non si dimenticano e portano a conseguenza.

La crisi della centralità del soggetto nella filosofia contemporanea, attestata dai suoi esiti antiumanistici e antipersonalistici, testimonia del declino probabilmente irreversibile della linea soggettocentrica moderna, espressasi in specie lungo il versante dell'io trascendentale.

In questo processo l'istanza umanistica ha rappresentato un momento di resistenza contro la dissoluzione dell'idea di persona.

Se è stato il principio-soggetto a dare il segnale del nuovo avvio moderno, confidiamo che sarà il principio-persona ad aprire una strada diversa, a dare vita ad una « rivoluzione della persona », ampliando a tutte le culture il riconoscimento concreto della sua centralità: una rivoluzione che, per usare un termine caro a E. Mounier, potremmo chiamare « personalista e comunitaria », capace di attuare un mutamento della vicenda storica ed una svolta rispetto al mattatoio « rivoluzionario » del XX secolo.

L'immenso dibattito innescatesi in rapporto ai temi bioetici e alle biotecnologie segna una fase da cui il criterio personalistico può ricevere un colpo o un rilancio.

Non esistono compartimenti stagni nella cultura e quanto risulterà al termine di tale dibattito, influirà diffusamente.

Che il principio-persona possa dissolversi, non lo credo.

Può però entrare in una prolungata eclissi in cui « essere umano » e « persona » saranno intesi come diversi, in cui cioè gli esseri umani non sarebbero più persone e le persone non più esseri umani.11

Lo stesso dibattito in corso sta facendo emergere una nuova vitalità dell'idea di persona che, sotto la pressione delle contingenze, da prova del suo coefficiente di realtà.

Una grande dottrina, in epoche remote pensata per altri problemi, mostra la sua forza nel fronteggiare nuove sfide.

Queste spremono il massimo rendimento dall'idea di persona, obbligano la tradizione a ripensarsi e precisarsi, favoriscono la critica delle posizioni avverse che presumono di valere solo perché sono venute dopo.

Là dove prima non vi erano risposte poiché non vi erano domande, nascono nuove risposte a nuove domande; ed è corroborante osservare che i nuovi sviluppi sono omogenei col contenuto essenziale dell'essere persona.

È in tal modo verificata una legge generale del progresso in filosofia, secondo cui esso accade nella forma paradossale di un'identità che cresce, cioè di uno sviluppo o incremento omogeneo.

Nonostante gli accentuati contrasti del quadro tratteggiato, il filo conduttore finora seguito suggerisce che non siamo dinanzi alla fine della persona, quanto ad una sua eclissi che potrà lasciare il passo ad una ripresa.

La necessità di una « resurrezione » della persona e di un umanesimo ad essa conforme fa parte delle migliori speranze: un umanesimo come dottrina delle autentiche potenzialità umane; capace di riconoscere i propri limiti, la propria finitezza e di accettarsi senza orgoglio; di ritenere che il male non avrà la meglio.

Non tutti i giochi sono fatti, e non è detto che dopo i fallimenti dei miti del XX secolo, ci restino solo un ateismo meno presuntuoso ed un materialismo ancora più esagitato.

Ci resta la speranza fondata nella divisa: humana dignitas servando, est.

Alcune condizioni sono necessario : ne elenco tre.

La prima è che l'Occidente secolarizzato ritorni alle sorgenti metafisiche e religiose dell'umanesimo, non dimenticando che il principio-persona procede da Gerusalemme.

Dio ha parlato non in Occidente ma in Oriente e qui si è incarnato.

L'Occidente non ha ascoltato direttamente la voce di Dio, ma solo indirettamente attraverso la missione evangelizzatrice: eppure un tempo comprese che attraverso la missione gli veniva affidato il compito di esplorare, entro lo sguardo che il Vangelo porta sull'uomo, le sue molteplici dimensioni.

Che l'Occidente non accompagni la diffusione planetaria dei diritti umani mediante la diffusione concomitante di ateismo e secolarismo, secondo un modello di modernizzazione innervato dall'indifferenza per le esigenze spirituali dell'uomo!

Se l'Occidente ebbe e forse ha ancora una missione, questa è di sviluppare il principio-persona nella cultura e nella civiltà, di dargli slancio, di stimolare una tensione di inappagamento nell'uomo: principio-persona e quanto chiamerei principio di inappagamento vanno insieme.

Questo grande sforzo si sta allentando e irrigidendo in un formalismo che prende il sopravvento sulla vita: l'umanesimo occidentale appare stanco, e non può riprendere slancio attraverso il riferimento esclusivo ai canoni liberali della tolleranza, della libertà, della più estesa privatizzazione dell'esistenza, della separazione fra fede religiosa e vita civile.

Su questi temi decisivi lo spirito occidentale si impoverisce nel momento stesso in cui esprime il massimo sforzo per diventare mondiale, alla cui cultura non porta però il principio-persona ma la globalizzazione economica.

La seconda condizione è che la filosofia della persona superi l'attacco di cui è fatta oggetto in Occidente dal materialismo e oggi dal biologismo.

L'adagiarsi nella finitezza rende più agevole il tentativo di intendere l'uomo sulla base di un compiuto naturalismo e materialismo biologico.

L'uomo, si dice, possiede intrinseca similitudine con la materia, è qualcosa di impersonale, è corporeità soggetta alla tecnologia e/o corporeità in cui si esprimono pulsioni.

Il processo è indirizzato all'integrale naturalizzazione dell'uomo, risolto nella vita della physis.

Settori della cultura filosofica contemporanea, abbandonando l'apriori idealistico e soggettocentrico del passato, guardano verso un nuovo apriori, quello bioantropologico.

Una grande demoralizzazione umanistica può essere l'esito del tentativo di integrale naturalizzazione dell'uomo, che può giungere al predominio del biologico e dell'organico su ogni altro aspetto.

Nelle correnti radicali si esprime talvolta l'idea che l'uomo sia un animale mal riuscito a causa della presenza dello spirito in lui, e che dunque per portarlo ad essere un animale riuscito e adattato a se stesso, occorra intraprendere una lotta contro lo spirito per abolirlo.

Di ciò è traccia in filigrana la « morte dell'anima » nella cultura corrente, fenomeno che va di pari passo con una grande afflictio animarum, con quel male oscuro della depressione che nessun farmaco e nessuna terapia riescono a debellare compiutamente.12

La terza condizione è che il principio-persona sia impiegato per avviare l'incontro fra le civiltà verso il dialogo e non il conflitto, favorendo l'interfecondazione culturale.

Un compito urgente poiché negli ultimi lustri siamo nuovamente immersi in un clima di crisi e di scontro delle civiltà che, nonostante innegabili differenze, può avere elementi di somiglianza con la crisi di civiltà che infierì negli anni '20 e '30 del secolo scorso, e di cui molte sentinelle della cultura furono consapevoli: B. Croce, D. H. Lawrence, J. Huizinga, E. Husseri, T. Mann, J. Maritain, O. Spengler, A. Toynbee, S. Zweig, Ortega y Gasset, N. Berdjaev.

La congiuntura odierna rimette in onore il concetto di civiltà/cultura, lungamen te sacrificato a favore di quello di ideologia.

Di ciò è emblema il noto volume di S. Huntington Thè Clash of Civiliwtions ( Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, trad. it, Garzanti 2000 ), in cui si ristabilisce la centralità storica ed ermeneutica dell'idea di civiltà/cultura.

Secondo quest'autore « la storia umana è la storia delle civiltà … nel corso della storia le civiltà hanno rappresentato per l'uomo la più importante fonte di identificazione » ( p. 43, trad. it. ).

Huntington sostiene l'intercambiabilità dei concetti di civiltà e cultura: « Tranne che in Germania, una civiltà rappresenta sempre un'identità culturale … [ i ] tentativi di distinguere fra cultura e civiltà non hanno attecchito » ( p. 45 ).

Individuata la tesi di fondo nel fatto che « la cultura e le identità culturali - che al livello più ampio corrispondono a quelle delle rispettive civiltà - siano alla base dei processi di coesione, disintegrazione e conflittualità che caratterizzano il mondo post-Guerra Fredda », Huntington lo conclude sostenendo che « nell'epoca che ci apprestiamo a vivere, gli scontri di civiltà rappresentano la più grave minaccia alla pace mondiale, e un ordine internazionale basato sulle civiltà è la miglior protezione dal pericolo di una guerra mondiale ( p. 14 e p. 479 ).

Affinché ciò accada occorre essere aperti agli incroci, sia pure misurati.

Ma la civiltà occidentale e quella islamica sono disposte a questo, dal momento che l'incrocio richiede due soggettività capaci di comunicare?

L'Occidente politico-economico cerca oggi l'universalismo del mercato, del capitale, della scienza-tecnica, della democrazia, mentre dialoga meno con le altre culture.

Forse anche a questo elemento si collega il rinchiudersi dell'Occidente, a dispetto della portata mondiale di alcuni processi quali la globalizzazione, partiti dall'Occidente stesso.

All'incirca dal Rinascimento questo ha meno praticato l'interfecondazione culturale, cercando di esportare e non di rado di imporre la sua cultura.

D'altro canto nella tumultuosa area islamica le tensioni tra moderati e fondamentalisti radicali stanno salendo ad un livello distruttivo, mentre aumenta l'obiezione contro l'Occidente, e cresce il bisogno di identità e di riconoscimento.

Esso si manifesta più basale del bisogno di libertà, su cui la modernità ha puntato le sue carte migliori.

L'attuale orientamento rende più complesso il pervenire alla solidarietà fra estranei, perché essi cercano di restare se stessi, di mantenere le proprie radici prima ancora che di rivendicare libertà civili.

I rapporti in gioco non si fondano sul conflitto strategico degli interessi o sulla razionalità utilitaristica, ma sulle aspettative di riconoscimento e di comunicazione.

L'esito sarà possibile se si edificheranno identità aperte all'altro che possano provocare l'incontro e non l'inimicizia fra le civiltà.

Se vi è una « morale della favola » che sorregge il dipanarsi della presente ricerca, l'esprimerei così: l'estendersi effettivo del principio-persona nelle culture costituisce il racconto o la storia dell'umanizzazione dell'uomo.

Esso mostrerà la sua massima fecondità quando si estenderà oltre il mondo storico e culturale in cui ha preso avvio e dove sino ad oggi affonda le sue radici, quando sarà attivo in contesti geoculturali in cui non venne pensato e da cui appare assente.

Indice

1 Pace e interculturalità. Una riflessione filosofica, Jaca Book, Milano 2002, p. 46.
2 H. Jonas, II principio responsabilità, Einaudi, Torino 1992, p. 16.
3 De regimine principum. I, 14.
4 L'esaurimento della cultura,"!} Sole 24 Ore", 19 ottobre 1997, p. 21.
5 Citato da V. Strada, Introduzione, in B. Pastemak, Opere narrative, Mondadori, Milano 1994, p. XXVII.
6 Regole per il parco umano. Una replica alla lettera sull'umanismo, «AutAut», n. l,2001,pp. 120-139.
7 Il saggio è raccolto in Le categorie del politico, il Mulino, Bologna 1972, pp. 167-183.
8 Cfr. I promessi sposi, cap. XXVII.
9 C. Taylor, La modernità della religione, p. 99.
10

Heidegger ha sostenuto che la parola umanismo abbia perduto significato e vada abbandonata, addirittura come causa di un non-pensare che dura da millenni. Anzi cristianesimo, marxismo ed esistenzialismo sarebbero tré forme di umanismo che si differenziano solo superficialmente e che eludono la domanda sull'essenza dell'uomo, che non può essere pensata come un'animalitas cui si aggiunge la spiritualitas. Egli ha inteso unire in un unico rifiuto metafisica e umanismo, procedendo a ribaltare sul secondo la critica dissolvente rivolta alla prima: "ogni umanismo o si fonda in una metafisica, o si fa esso stesso fondamento di una metafisica", Lettera sull'Umanismo, a cura di A. Carlini, La Nuova Italia, Firenze 1965, p. 95. L'obiezione tiene sin quando si adotti il profilo da Heidegger assegnato all'intera metafisica da Fiatone ai nostri giorni, secondo un giudizio sommario che maschera senza vergogna immense differenze, e che a proposito dell'oblio dell'essere, del Dio causa dell'ente e dell'essere e della loro differenza ontologica, risulta largamente smentibile e inapplicabile alle maggiori tradizioni filosofiche del pensiero occidentale (a questi aspetti sono dedicate numerose pagine del mio Nichilismo e metafisica. Terza navigazione, in specie le 183-215 e 451-454). Sembra immanente alla prospettiva heideggeriana la limitazione o meglio il confinamento del Dasein nel circolo del
tempo: "La costituzione ontologico-esistenziale della totalità dell'Esserci si fonda sulla temporalità" (Essere e tempo, Longanesi, Milano 1988, p. 520). Rimane la domanda rilevante se il discorso heideggeriano conosca la persona o, almeno, quali siano le relazioni tra Persona e Dasein.

11 Cfr. G. Savagnone, Metamorfosi della persona, Elledici, Torino-Leumann 2004, p.119.
12 Cfr. AA.VV., L'anima, Seconda navigazione. Annuario di Filosofia 2004, Mondadori, Milano 2004.