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X - Il bene supremo

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Il bene supremo.

Disputa sul bene supremo.

« Ut sis contentus temetipso et ex te nascentibus bonis ».

Si contraddicono, perché alla fine consigliano di uccidersi.

Una vita davvero felice quella da cui ci si libera come dalla peste.

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Seconda parte.

Come l'uomo senza la fede non possa conoscere il vero bene né la giustizia.

Tutti gli uomini cercano di essere felici.

Per quanto i mezzi possano differire, ciò si verifica senza eccezione.

Tutti tendono a questo fine.

Chi va in guerra e chi non ci va sono spinti dallo stesso desiderio, anche se con idee diverse.

La volontà non si muove di un passo se non in questa direzione.

È la causa di tutte le azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che vanno a impiccarsi.

E tuttavia, dopo tanto tempo, non c'è mai stato qualcuno che, senza la fede, abbia raggiunto quello che tutti vogliono continuamente.

Tutti si lamentano, principi, sudditi, nobili, plebei, vecchi, giovani, forti, deboli, dotti, ignoranti, sani, malati, di ogni paese, in tutti i tempi, a ogni età e di tutte le condizioni.

Una testimonianza così prolungata, continua e uniforme dovrebbe assolutamente convincerci della nostra incapacità ad arrivare al bene con le sole nostre forze.

Ma l'esempio ci è servito poco.

Non ci sembra mai così perfettamente adeguato da escludere una sottile differenza, e proprio da questi ci ripromettiamo, in un caso e nell'altro, il soddisfacimento delle nostre attese; e così, con un presente che sempre ci delude, l'esperienza ci inganna, e di sventura in sventura ci conduce fino alla morte, che ne costituisce l'eterno suggello.

Cosa ci gridano dunque l'avidità e l'impotenza se non che un tempo nell'uomo c'è stata un'autentica felicità, di cui ora gli rimangono il segno e l'impronta vuota, che egli tenta invano di riempire con tutto quanto lo circonda, ripromettendosi dalle cose assenti l'aiuto che non ottiene da quelle presenti, ma invano, perché questo abisso infinito non può essere colmato che da un'infinita e immutabile realtà, cioè Dio stesso.

Solo lui è il suo vero bene.

E da quando l'ha abbandonato è singolare che non vi sia nella natura niente capace di prenderne il posto, astri, cielo, terra, elementi, piante, cavoli, porri, animali, insetti, vitelli, serpenti, febbre, peste, guerra, carestia, vizi, adulterio, incesto.

Da quando ha perso il vero bene, tutto gli può sembrare bene, anche la propria distruzione, benché contraria a Dio, alla ragione e alla natura insieme.

Alcuni lo cercano nell'autorità, altri nelle rarità e nelle scienze, altri nei piaceri.

Altri ancora, e vi si sono effettivamente più avvicinati, hanno riflettuto sulla circostanza che necessariamente questo bene universale, desiderato da tutti gli uomini, non deve risiedere in nessuna cosa particolare, che potrebbe essere posseduta da uno solo, o che, divisa tra molti, affliggerebbe i vari possessori per la parte di cui sarebbero privi, più che rallegrarli per quella in loro possesso.

Essi hanno compreso che il bene autentico deve essere tale che tutti possano averlo senza diminuzione e senza invidia, e che nessuno possa perderlo contro la sua volontà; e la ragione è che, essendo questo desiderio connaturato all'uomo, poiché si trova necessariamente in tutti, e nessuno può non averlo, ne concludono …

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