Pensieri

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Serie XXVII

645

La castità di Alessandro non è stata di esempio per tanti morigerati quanto la sua ubriachezza per gli intemperanti.

Non è vergognoso non essere virtuosi come lui, e sembra perdonabile non essere più viziosi.

Quando ci si rispecchia nei vizi dei grandi uomini si pensa di non avere niente a che fare con quelli della gente comune.

Ci si attacca a loro per quell'estremo con cui essi si attaccano al popolo.

Perché per quanto superiori siano c'è sempre qualcosa che li unisce agli ultimi.

Non sono affatto sospesi nell'aria, totalmente avulsi dalla società.

No, No; se sono più grandi di noi è per l'elevatezza della testa, ma i loro piedi sono in basso quanto i nostri.

Sono tutti allo stesso livello e poggiano sulla stessa terra, e per via di questa estremità si trovano in basso quanto noi, i più piccoli, i bambini, gli animali.

646

Una continua eloquenza annoia.

Anche i principi e i re ogni tanto giocano.

Non sono sempre sui loro troni.

Si annoiano.

Per essere avvertita la grandezza ha bisogno di essere lasciata.

La continuità disgusta in tutto.

Il piacere del freddo è che poi ci si scalda.

La natura agisce progressivamente.

Itus et reditus, va e torna, poi va più lontano, poi due volte meno, poi più che mai, ecc.

Così va la marea, così cammina il sole: Avete ricevuto uno sgarbo: « Scusatemi per favore ».

Senza le scuse non vi sareste accorti dello sgarbo.

Con licenza parlando, non c'è altro male che le loro scuse.

647

Niente ci piace quanto la lotta, non la vittoria.

Ci piace assistere ai combattimenti tra animali, ma non all'accanimento del vincitore sul vinto.

Cosa volevamo vedere se non il realizzarsi della vittoria?

Ma quando arriva ne siamo disgustati.

Così nel gioco; così nella ricerca della verità; ci piace vedere nelle discussioni lo scontro delle opinioni, ma non ci piace affatto contemplare la verità, una volta trovata.

Per farla notare con piacere, bisogna farla vedere mentre nasce dalla disputa.

E così nelle passioni è piacevole vedere i due contrari che si scontrano, ma quando uno domina, non rimane che la brutalità.

Noi non cerchiamo mai le cose, ma la ricerca delle cose.

Anche nelle commedie, le scene serene, senza timori, non valgono niente, e neppure le miserie estreme senza speranza, o gli amori brutali, o le dure crudeltà.

648

Contro quelli che confidando nella misericordia di Dio restano inerti e non fanno del bene.

Poiché le due fonti dei nostri peccati sono l'orgoglio e la pigrizia, Dio ci ha rivelato due sue qualità per guarirle, la misericordia e la giustizia.

La proprietà della giustizia è di abbattere l'orgoglio, per quanto sante siano le opere, « et non intres in judicium ecc. », mentre la proprietà della misericordia è di combattere la pigrizia spingendo alle opere buone, secondo questo passaggio: « La misericordia di Dio invita alla penitenza », e quest'altro dei Niniviti: « Facciamo penitenza per vedere se per caso avrà pietà di noi ».

E così è tanto poco vero che la misericordia autorizza la rilassatezza, che al contrario è proprio ciò che combatte dichiaratamente; così che invece di dire: « Se in Dio non ci fosse misericordia, dovremmo fare ogni tipo di sforzo per la virtù », dobbiamo al contrario dire che proprio perché in Dio c'è la misericordia dobbiamo fare ogni tipo di sforzo.

649

Contro coloro che abusano dei passi della Scrittura facendosi forti di quelli che sembrano dar ragione ai loro errori.

Il capitolo dei Vespri, la domenica di Passione, la preghiera per il re.

Spiegazione di queste parole: « Chi non è con me è contro di me ».

E di queste altre: « Chi non è contro voi è con voi ».

A una persona che dice: « Non sono né a favore né contro », si deve rispondere …

650

La storia della Chiesa deve essere propriamente chiamata la storia della verità.

651

Una delle antifoni dei vespri di Natale: « Exortum est in tenebris lumen rectis corde ».

652

Non s'insegna ad essere gentiluomini, ma tutto il resto sì.

E gli uomini non si vantano mai di sapere qualcosa del resto come si vantano di essere gentiluomini.

Si vantano di sapere la sola cosa che non hanno imparato.

I bambini si spaventano del viso che si sono imbrattato, sono bambini; ma il mezzo per cui ciò che è così debole quando si è bambini diventi davvero forte con il passare dell'età!

Si cambia solo fantasia.

Tutto quello che si perfeziona con il progresso, con il progresso scompare.

Tutto ciò che è stato debole non può mai diventare assolutamente forte.

Si ha un bel dire: « È cresciuto, è cambiato », è sempre lo stesso.

653

Prefazione alla prima parte.

Parlare di quelli che hanno trattato della conoscenza di se stessi, delle divisioni di Charron che rattristano e annoiano.

Della confusione di Montaigne, che pure aveva avvertito la mancanza di un metodo giusto.

Metodo che eludeva saltando di soggetto in soggetto, cercando di darsi un tono.

Il progetto sciocco di fare un ritratto di se stesso, non di sfuggita e contro la sua intenzione, come capita a tutti, ma volontariamente, seguendo un disegno preciso e fondamentale.

Dire sciocchezze per sbaglio e per debolezza è un male normale, ma dirle intenzionalmente, questo è insopportabile, e dirne proprio di così grandi.

Prefazione alla seconda parte.

Parlare di quelli che hanno trattato questo argomento.

Ammiro il coraggio di costoro che si sono messi a parlare di Dio.

Rivolgendosi agli empi, nel primo capitolo vogliono provare la divinità attraverso le opere della natura.

Non mi stupirei del loro tentativo se si rivolgessero ai fedeli, perché è certo che questi hanno una fede viva e il loro cuore [ vede ] prontamente che tutto è opera di quel Dio che adorano, ma quelli in cui questa luce, che pure si vorrebbe far rivivere, è spenta, privi della fede e della grazia, e che cercano con tutta la loro intelligenza se qualcosa nella natura li conduce alla conoscenza divina, ma non trovano che oscurità e tenebre, dire proprio a loro che basta osservare la più piccola delle cose per vedere manifestarsi Dio, e dare loro come prova di un argomento così grande e importante i movimenti della luna e dei pianeti, e pretendere con simili discorsi di aver ottenuto la prova, significa suggerire loro che le prove della nostra religione sono davvero deboli, e la ragione, nonché l'esperienza, mi dicono che niente è più adatto a fargliela disprezzare.

La Scrittura, che certo conosce meglio le cose di Dio, non ne parla in questo modo.

Al contrario, essa dice che Dio è un Dio nascosto, e dopo che la natura si è corrotta egli ha lasciato gli uomini in una cecità da cui non possono uscire che tramite Gesù Cristo, senza di cui non è possibile alcun rapporto con Dio: « Nemo novit patrem nisi filius et cui filius voluerit revelare ».

È quanto la Scrittura sottolinea quando in tanti passaggi dice che quelli che cercano Dio lo trovano.

Non è questa la luce di cui si parla quando ci si riferisce alla luce in pieno giorno.

Non si dice affatto che quelli che cercano la luce in pieno giorno o l'acqua nel mare, le troveranno, e dunque è necessario che l'evidenza di Dio nella natura non sia tale.

E altrove dice: « Vere tu es deus absconditus ».

654

Quante creature ci ha rivelato il cannocchiale, che prima non esistevano per i nostri filosofi!

Si attaccava apertamente la Sacra Scrittura per il gran numero di stelle, dicendo: « Ce ne sono 1022, lo sappiamo ».

Sulla terra ci sono delle erbe, le vediamo; dalla luna non si vedrebbero.

E su queste erbe dei peli, e in questi peli dei piccoli animali.

Ma oltre a questo più niente.

Che presunzione!

« I composti sono composti di elementi ma gli elementi no ».

Che presunzione!

Ecco un punto sottile.

Non bisogna dire che esiste ciò che non si vede.

Bisogna dunque dire quello che dicono gli altri, ma non pensare come loro.

Quando si vogliono inseguire le virtù fino all'estremo, compaiono i vizi, che s'insinuano impercettibilmente sulle loro impercettibili vie, dal lato del piccolo infinito, altri vizi si affollano sul lato del grande infinito, così che ci si perde nei vizi e si perdono di vista le virtù.

Si mette in discussione la perfezione stessa.

Le parole disposte in modo diverso hanno un significato diverso.

E i significati disposti in modo diverso generano effetti diversi.

« Ne timeas pusillus grex ».

« Timore et tremore ».

« Quid ergo? Ne timeas, modo timeas ».

Non temete, purché temiate, ma se non temete, temete.

« Qui me recepit, non me recepit, sed eum qui me misit ».

« Nemo scit neque filius ».

Se mai ci fosse un tempo in cui ammettere i due contrari, questo è quando si rimprovera di ometterne uno; dunque i Gesuiti e i Giansenisti hanno torto a negarli, ma i Giansenisti di più, perché i Gesuiti hanno meglio professato entrambi.

Il Signore de Condren: « Non si può paragonare », dice « l'unione dei santi a quella della Santa Trinità ».

Gesù Cristo afferma il contrario.

La dignità dell'uomo consisteva nell'usare e dominare le creature in condizione d'innocenza, oggi a separarsene e ad assoggettarvisi.

I sensi.

Uno stesso senso cambia a secondo delle parole che lo esprimono.

I sensi ricevono dignità dalle parole piuttosto che conferirla loro.

Bisogna cercarne gli esempi.

Credo che Giosuè sia il primo ad aver avuto nel popolo di Dio questo nome, come Gesù Cristo l'ultimo.

« Nubes lucida obumbravit ».

San Giovanni doveva convertire i cuori dei padri ai bambini, Gesù Cristo portarvi la divisione.

Senza contraddizione.

Gli effetti in communi e in particulari.

I semi-pelagiani errano dicendo a proposito delle cose in communi ciò che è vero solo di quelle in particulari, e i calvinisti dicendo in particulari ciò che è vero in communi, mi sembra.

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