Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se il bene sia concettualmente anteriore all'ente

In 1 Sent., d. 8, q. 1, a. 3; C. G., III, c. 20; De Verit., q. 21, a. 2, ad 5; a. 3

Pare che il bene sia concettualmente anteriore all'ente.

Infatti:

1. L'ordine dei nomi segue l'ordine delle cose espresse dai nomi.

Ora Dionigi [ De div. nom. 3 ], tra i nomi di Dio, pone il bene prima dell'ente.

Quindi il bene concettualmente è anteriore all'ente.

2. Viene prima secondo l'ordine di ragione ciò che si estende a un numero maggiore di oggetti.

Ma il bene ha un'estensione maggiore dell'ente poiché, al dire di Dionigi [ De div. nom. 5 ], « il bene si estende alle realtà esistenti e a quelle non esistenti, mentre l'ente si estende alle sole realtà esistenti ».

Quindi il bene concettualmente è prima dell'ente.

3. Ciò che è più universale ha una priorità di ragione.

Ora, Pare che il bene sia più universale dell'ente, poiché il bene si presenta come appetibile, mentre per alcuni è desiderabile il non esistere, come si afferma di Giuda [ Mt 26,24 ]: « Sarebbe stato meglio per quell'uomo se non fosse mai nato ».

Quindi il bene concettualmente è prima dell'ente.

4. Non soltanto l'essere è desiderabile, ma lo sono anche la vita e la sapienza e tante altre cose del genere: dal che appare che l'essere è un desiderabile particolare, mentre il bene è il desiderabile nella sua universalità.

Quindi il bene nel suo concetto è assolutamente anteriore all'ente.

In contrario:

È detto nel libro De Causis [ 4 ] che « l'essere è la prima delle realtà create ».

Dimostrazione:

L'ente è concettualmente anteriore al bene.

Infatti il significato letterale del nome [ che noi diamo a una cosa ] è ciò che l'intelletto concepisce della medesima, e che esprime mediante la parola: per cui è primo, come concetto, ciò che per primo cade sotto la concezione della nostra intelligenza.

Ora, la prima cosa che la nostra intelligenza concepisce è l'ente: poiché, come dice Aristotele [ Met. 9, 9 ], una realtà è conoscibile in quanto è in atto.

Per cui l'ente è l'oggetto proprio dell'intelligenza: e quindi è il primo intelligibile, come il suono è il primo udibile.

Così dunque l'essere precede concettualmente il bene.

Analisi delle obiezioni:

1. Dionigi tratta dei nomi di Dio in quanto essi implicano un rapporto di causalità riguardo a Dio: noi infatti, come egli osserva [ De div. nom. 1 ], nominiamo Dio [ partendo ] dalle creature, come si parte dagli effetti [ per denominare ] la causa.

Ora il bene, presentandosi come desiderabile, richiama l'idea di causa finale, il cui influsso ha un primato, poiché l'agente non opera se non in vista del fine, e dall'agente la materia viene disposta alla forma: perciò si dice che il fine è la causa delle cause.

In tal modo, nel causare, il bene è prima dell'ente, come il fine è prima della forma: ed è per questo motivo che tra i nomi esprimenti la causalità divina si mette il bene prima dell'ente.

- Bisogna poi anche osservare che, secondo i Platonici, i quali identificando la materia con la privazione dicevano che la materia è un non-ente, la partecipazione del bene sarebbe più estesa della partecipazione dell'essere.

Infatti la materia prima partecipa il bene, poiché lo appetisce ( e nessuna cosa appetisce se non ciò che le è simile ), ma non partecipa l'essere poiché, secondo i Platonici, è un non-ente.

Ed è per questo che Dionigi [ l. cit. nell'ob. 2 ] dice che « il bene si estende ai non esistenti ».

2. Così abbiamo anche dato la soluzione della seconda obiezione.

- Oppure si può dire che il bene si estende alle realtà esistenti e alle non esistenti non secondo la predicazione, ma secondo la causalità: intendendo per non esistenti non le realtà che non esistono affatto, ma quelle che sono in potenza e non in atto: poiché il bene comporta l'idea di fine, il quale fine non è raggiunto solo dalle cose in atto, ma attrae verso di sé anche le cose che non sono in atto, ma solo in potenza.

L'ente, viceversa, dice solo relazione di causa formale, intrinseca o esemplare; e tale causalità non si estende se non alle realtà esistenti in atto.

3. Il non essere non è appetibile di per sé, ma solo indirettamente, cioè in quanto è desiderabile la distruzione di un male, il quale male è eliminato dal non-essere.

La distruzione del male però non è desiderabile se non in quanto il male ci priva di un certo essere.

Quindi ciò che è di per sé appetibile è l'essere; il non-essere è invece appetibile solo indirettamente, in quanto cioè si desidera un certo essere di cui l'uomo non sa sopportare la privazione.

E così anche il non essere può essere detto bene in modo indiretto.

4. La vita, il sapere e gli altri beni sono desiderati in quanto sono in atto: perciò in tutte le cose si desidera un certo essere.

E così nulla è desiderabile all'infuori di ciò che è: di conseguenza nulla è buono all'infuori dell'ente.

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