Summa Teologica - I

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Se un intelletto creato possa vedere l'essenza divina con le sue forze naturali

Infra, q. 64, a. 1, ad 2; I-II, q. 5, a. 5; In 2 Sent., d. 4, a. 1; d. 23, q. 2, a. 1; In 4 Sent., d. 29, q. 2, a. 6; C. G., I, c. 3; III, cc. 49, 52; De Verit., q. 8, a. 3; De anima, a. 17, a. 10; In 1 Tim., c. 6, lect. 3.

Pare che un intelletto creato possa vedere l'essenza divina con le sue forze naturali.

Infatti:

1. Dionigi [ De div. nom. 4 ] dice che l'angelo è « uno specchio puro, nitidissimo, che accoglie in sé, se è lecito dir così, tutta la bellezza di Dio ».

Ma un oggetto [ riflesso in uno specchio ] è visto non appena è visto lo specchio.

Siccome quindi l'angelo conosce naturalmente se stesso, pare evidente che con le sue forze naturali intenda anche l'essenza divina.

2. Un oggetto di per sé visibilissimo può diventare per noi meno visibile a causa della debolezza della nostra vista sia corporea che intellettuale.

Ma l'intelletto dell'angelo non soffre di alcun difetto.

Siccome dunque Dio in se stesso è quanto mai intelligibile, pare evidente che lo sia anche per l'angelo.

Conseguentemente l'angelo, se con le sue forze naturali conosce gli altri intelligibili, con più ragione dovrà conoscere Dio.

3. Il senso corporeo non può assurgere alla conoscenza della sostanza incorporea perché questa oltrepassa la sua natura.

Se quindi vedere Dio nella sua essenza eccedesse la natura di ogni intelligenza creata, ne verrebbe che nessun intelletto creato potrebbe giungere alla visione di Dio: il che è erroneo, come appare da quanto si è detto [ a. 1 ].

Pare chiaro dunque che per l'intelletto creato è naturale vedere l'essenza divina.

In contrario:

S. Paolo [ Rm 6,23 ] dice: « Il dono di Dio è la vita eterna ».

Ma la vita eterna consiste nella visione dell'essenza divina, secondo il detto del Signore [ Gv 17,3 ]: « Questa è la vita eterna: che conoscano te, l'unico vero Dio », ecc.

Quindi vedere l'essenza di Dio appartiene all'intelletto creato per grazia, e non per natura.

Dimostrazione:

È impossibile per un intelletto creato vedere con le sue forze naturali l'essenza di Dio.

Infatti la conoscenza avviene per il fatto che il conosciuto viene a essere nel conoscente.

Ma il conosciuto è nel conoscente secondo il modo del conoscente.

Quindi la conoscenza in ogni soggetto conoscitivo è conforme al modo della sua propria natura.

Se dunque il modo di essere di una realtà conosciuta eccede il modo di essere della natura del conoscente, è necessario che la conoscenza di tale realtà trascenda la natura di tale conoscente.

Ora, molti sono i modi di essere delle cose.

Alcune sono tali che la loro natura non ha l'essere che in questa o quella materia individuale: e tali sono tutti gli enti corporei.

Ve ne sono poi di quelle le cui nature sono per sé sussistenti, fuori di ogni materia, e tuttavia non sono il loro essere, ma sono nature che hanno l'essere: e tali sono le sostanze incorporee, chiamate angeli.

Soltanto a Dio infine appartiene di esistere in maniera tale che egli sia il suo stesso essere sussistente.

A noi dunque è connaturale conoscere quelle cose che non hanno l'essere se non nella materia individuale: poiché la nostra anima, con la quale conosciamo, è anch'essa forma di una materia.

Quest'anima, tuttavia, ha una duplice potenza conoscitiva.

Una è l'atto di un organo corporeo, e ad essa è connaturale conoscere le cose secondo che sono nella materia individuale: per cui il senso non conosce che i singolari.

L'altra potenza conoscitiva dell'anima è invece l'intelletto, il quale non è l'atto di alcun organo corporeo.

Quindi mediante l'intelletto ci è connaturale conoscere nature che propriamente non hanno l'essere se non nella materia individuale: tuttavia non in quanto esistenti nella materia, ma in quanto ne sono astratte dall'intelletto che le considera.

Per cui noi possiamo conoscere intellettualmente tali cose con una conoscenza universale: il che supera la capacità del senso.

- All'intelletto angelico infine è connaturale conoscere le nature esistenti fuori della materia, il che supera la capacità naturale dell'intelletto dell'anima umana nello stato della vita presente, durante il quale è unito al corpo.

Resta dunque che il conoscere l'essere sussistente è connaturale al solo intelletto divino e supera il potere naturale di ogni intelletto creato, poiché nessuna creatura è il suo proprio essere, ma ha un essere partecipato.

L'intelletto creato non può dunque vedere Dio per essenza se non in quanto Dio si unisce ad esso con la sua grazia quale oggetto di conoscenza.

Analisi delle obiezioni:

1. All'angelo è connaturale questo modo di conoscere Dio, cioè conoscerlo attraverso la somiglianza di lui che risplende nello stesso angelo.

Ma conoscere Dio attraverso un'immagine creata non è conoscere l'essenza di Dio, come si è dimostrato sopra [ a. 2 ].

Quindi non segue che l'angelo possa con le sue forze naturali conoscere l'essenza di Dio.

2. L'intelletto dell'angelo è senza difetto se si prende « difetto » in senso privativo, quasi che l'angelo manchi di ciò che deve avere.

Se però si prende tale termine come negazione allora ogni creatura, di fronte a Dio, è difettosa, non avendo quella eccellenza che si trova in Dio.

3. Il senso della vista, essendo del tutto materiale, in nessuna maniera può essere elevato alla realtà immateriale; il nostro intelletto o quello dell'angelo invece, essendo per sua natura elevato di un certo grado al disopra della materia, può essere innalzato dalla grazia a qualcosa di più alto oltre alla sua natura.

E un segno di ciò è che la vista in nessun modo può conoscere in astratto ciò che conosce in concreto: infatti non può in alcun modo conoscere una natura se non come questa qui.

Il nostro intelletto invece può considerare in astratto ciò che conosce in concreto.

Sebbene infatti conosca realtà aventi forma nella materia, tuttavia risolve tali composti nei loro due elementi e considera direttamente la forma.

Similmente l'intelletto dell'angelo, sebbene abbia a sé connaturale la conoscenza dell'essere concretato in una certa natura, tuttavia può separare l'essere stesso con l'intelligenza, quando conosce che altra cosa è egli stesso e altra il suo proprio essere.

Quindi, siccome l'intelletto creato ha per sua natura la capacità di apprendere le forme concrete e l'essere concreto in maniera astratta, attraverso una certa risoluzione [ o soluzione ], esso può venire elevato dalla grazia sino alla conoscenza della sostanza separata sussistente e dell'essere separato sussistente.

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