Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se la persona che procede, il Figlio per esempio, sia coeterna al suo principio

In 3 Sent., d. 11, q. 1, a. 1; De Pot., q. 3, a. 13; Comp. Theol., c. 43; Expos. I Decr.; In Ioan., c. 1, lect. 1

Pare che la persona che procede, il Figlio p. es., non sia coeterna al suo principio.

Infatti:

1. Ario enumera dodici modi di derivazione.

Il primo è quello della linea che nasce dal punto: e qui manca l'uguaglianza della semplicità.

Il secondo è quello dell'emissione dei raggi dal sole: dove manca l'uguaglianza di natura.

Il terzo modo è quello del bollo o dell'impronta lasciata dal segreto: ove però manca la consostanzialità e l'efficienza della potenza.

Il quarto è quello dell'infusione della buona volontà da parte di Dio: dove ancora manca la consostanzialità.

Il quinto è quello della derivazione dell'accidente dalla sostanza: ma all'accidente manca la sussistenza.

Il sesto modo è quello dell'astrazione delle specie conoscitive dalla materia, come i sensi ricevono la specie dalle realtà sensibili: e qui manca l'uguaglianza [ di immaterialità o ] di semplicità spirituale.

Il settimo è quello dell'eccitazione della volontà prodotta dal pensiero: ma questa eccitazione richiede il tempo.

L'ottavo modo è quello della mutazione di figura, come quando col bronzo si forma una statua: ma questa è sempre materiale.

Il nono è quello del moto prodotto dal movente: e anche qui si ha causa ed effetto.

Il decimo è quello desunto dalle specie che vengono tratte fuori dal genere [ nel quale erano contenute ]: ma questo modo non può convenire a Dio, poiché il Padre non si predica del Figlio come il genere della specie.

L'undicesimo è quello della ideazione, secondo cui l'arca esteriore deriva da quella ideale esistente nella mente [ dell'artigiano ].

Il dodicesimo è quello della nascita, cioè quello del figlio che nasce dal padre: ma qui abbiamo un prima e un poi in ordine di tempo.

È chiaro dunque che in qualunque modo una cosa derivi da un'altra, manca o l'uguaglianza di natura o quella di durata.

Se dunque il Figlio deriva dal Padre, si deve dire o che egli è minore del Padre, o che è posteriore, o l'una e l'altra cosa insieme.

2. Tutto ciò che deriva da altro ha un principio.

Ma nulla di eterno ha principio.

Quindi né il Figlio né lo Spirito Santo sono eterni.

3. Tutto ciò che si corrompe cessa di essere.

Quindi tutto ciò che viene generato incomincia a essere: infatti viene generato affinché sia.

Ma il Figlio è generato dal Padre.

Quindi incomincia a essere, e non è coeterno al Padre.

4. Se il Figlio è generato dal Padre, o è continuamente generato, o si può assegnare un istante della sua generazione.

Se è continuamente generato, siccome ciò che si sta generando è imperfetto, e lo vediamo nelle cose in divenire, cioè nel tempo e nel moto, ne segue che il Figlio è sempre imperfetto, il che è inammissibile.

Quindi deve esserci un istante della generazione del Figlio.

Quindi prima di quell'istante il Figlio non esisteva.

In contrario:

Nel Simbolo atanasiano si legge che « tutte e tre le persone sono coeterne ».

Dimostrazione:

È necessario affermare che il Figlio è coeterno al Padre.

Per mettere in chiaro la cosa si osservi che due possono essere i motivi per cui quanto deriva da un principio è ad esso posteriore: primo, dalla parte dell'agente; secondo, dalla parte dell'azione.

Se dalla parte dell'agente, ciò avviene in modi diversi secondo che si tratti di agenti volontari o di cause naturali.

Negli agenti volontari [ la posteriorità di quanto ne deriva ] è dovuta alla scelta del tempo: poiché come è in loro facoltà la scelta della forma da dare all'effetto, secondo quanto si è già spiegato [ q. 41, a. 2 ], così è in loro potere la scelta del tempo in cui produrlo.

Trattandosi invece di cause naturali, la posteriorità dell'effetto è dovuta al fatto che un agente inizialmente non ha quella perfezione di energia necessaria per agire, ma la acquista dopo qualche tempo: come l'uomo da principio non è atto alla generazione.

- Dalla parte dell'azione invece può essere impedito che il principio e quanto ne deriva siano simultanei se l'azione ha un certo svolgimento.

Quindi, pur ammettendo che un agente cominci a compiere un'azione di questo genere dal primo istante in cui esiste, tuttavia il suo effetto non si produrrà nello stesso istante, ma solo in quello che è il termine della sua azione.

Ora, stando a quanto si è detto sopra [ q. 41, a. 2 ], è chiaro che il Padre non genera il Figlio per volontà, ma per natura.

Inoltre la natura del Padre è perfettissima da tutta l'eternità.

Di più l'azione con cui il Padre produce il Figlio non è un'azione che abbia uno svolgimento: perché altrimenti il Figlio di Dio sarebbe generato con uno sviluppo progressivo, e la sua generazione sarebbe di carattere materiale e soggetta a mutamento, il che è inammissibile.

Rimane dunque stabilito che il Figlio esiste da quando esiste il Padre.

Quindi il Figlio è coeterno al Padre; e così pure lo Spirito Santo è coeterno a entrambi.

Analisi delle obiezioni:

1. Nessuno dei modi di derivazione delle creature può rappresentare perfettamente la generazione divina, come dice S. Agostino [ Serm. 38, cc. 6,8 ].

Quindi bisogna farsene un'idea ricavandola da questi vari modi per similitudine, affinché ciò che manca in uno possa in certo qual modo essere supplito da un altro.

Per questo il Concilio di Efeso [ 3,10 ] insegna: «Il termine splendore ti manifesti che il Figlio coesiste sempre coeterno al Padre; il termine verbo ti mostri l'impassibilità della sua nascita; il nome Figlio ti insinui la sua consostanzialità ».

Ma fra tutte le similitudini la più espressiva è quella del verbo che procede dall'intelletto: poiché il verbo non è posteriore a chi lo esprime, a meno che non sia un intelletto che, [ come l'umano ], passa dalla potenza all'atto: cosa che di Dio non si può dire.

2. L'eternità esclude l'inizio o il principio temporale, ma non il principio di origine.

3. Ogni corruzione è una mutazione: quindi ciò che si corrompe cessa di essere e incomincia a non essere.

Ma la generazione divina non è una trasmutazione, come si è detto [ q. 27, a. 2 ].

Per cui il Figlio viene sempre generato, e il Padre sempre lo genera.

4. Nella categoria del tempo ciò che è indivisibile, cioè l'istante, è diverso da ciò che perdura, cioè dal tempo.

Nell'eternità invece l'istante indivisibile dura sempre, come si è detto [ q. 10, a. 2, ad 1; a. 4, ad 2 ].

Ora, la generazione del Figlio non avviene né in un istante del tempo, e meno ancora nel tempo, ma nell'eternità.

Quindi, per esprimere meglio la presenzialità e la permanenza eterna [ dell'atto della divina generazione ], si può dire con Origene [ In Hierem. hom. 6 ] che il Figlio « perpetuamente nasce ».

Però è meglio dire, con S. Gregorio [ Mor. 29,1 ] e con S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 37 ], che il Figlio è sempre nato, per indicare con l'avverbio sempre la sua permanenza eterna, e col participio nato la perfezione del generato.

Così dunque il Figlio né è imperfetto, né « ci fu un tempo in cui non esisteva », come disse Ario.

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