Summa Teologica - I

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Articolo 2 - Se la luce sia un corpo

In 2 Sent., d. 13, q. 1, a. 3; In 2 De anima, lect. 14

Pare che la luce sia un corpo.

Infatti:

1. Dice S. Agostino [ De lib. arb. 3,5.12 ] che « la luce tiene il primo posto fra gli esseri corporei ».

Quindi è un corpo.

2. Secondo il Filosofo [ Top. 5,5 ] « la luce è una specie di fuoco ».

Ora, il fuoco è un corpo.

Quindi anche la luce.

3. La trasmissione, l'intercettazione e la riflessione sono proprietà dei corpi.

Ma tutto ciò viene attribuito anche alla luce, o ai suoi raggi.

Inoltre, al dire di Dionigi [ De div. nom. 4,5 ], raggi diversi si congiungono e si separano, il che non può competere che ai corpi.

Quindi la luce è un corpo.

In contrario:

Due corpi non possono trovarsi insieme nel medesimo luogo.

Ma la luce si trova insieme con l'aria.

Quindi la luce non è un corpo.

Dimostrazione:

Non si può ammettere che la luce sia un corpo, e ciò per tre motivi.

Primo, per le condizioni [ reali ] dello spazio.

Infatti il luogo occupato da un corpo è distinto da quello occupato da un altro corpo; né è possibile, naturalmente parlando, che due corpi stiano insieme nel medesimo luogo, per quanto diversi essi siano, poiché il contiguo esige una distinzione spaziale.

Secondo, per la natura del moto.

Se infatti la luce fosse un corpo, l'illuminazione non sarebbe altro che un suo movimento locale.

Ora, nessun movimento locale di un corpo può essere istantaneo, dovendo l'oggetto che si muove da un luogo a un altro raggiungere la zona intermedia prima del limite estremo del suo percorso.

Invece l'illuminazione si produce istantaneamente.

- Né si può opporre che essa avviene in una frazione impercettibile di tempo.

Perché se il tempo può sfuggirci in un piccolo spazio, non lo può in una grande estensione, p. es. dall'oriente all'occidente.

Ora, noi osserviamo che non appena il sole è su un punto dell'orizzonte a oriente, subito si illumina tutto l'emisfero sino al punto opposto.

- Si deve inoltre considerare che ogni corpo possiede un movimento naturale ben determinato: invece il movimento dell'illuminazione si svolge in tutte le direzioni, in senso tanto circolare quanto retto.

È quindi evidente che l'illuminazione non è il moto locale di un corpo.

Terzo, la medesima conclusione risulta dallo studio della generazione e della decomposizione dei corpi.

Se infatti la luce fosse una sostanza materiale, quando l'aria si abbuia per l'assenza del corpo illuminante la sostanza corporea della luce dovrebbe decomporsi, e la sua materia ricevere un'altra forma.

Il che non appare, a meno che qualcuno non dica che anche le tenebre sono un corpo.

- E nemmeno si mezzo emisfero.

- Sarebbe poi addirittura ridicolo affermare che una massa così grande viene a decomporsi per la sola assenza della sorgente luminosa.

- Se tuttavia qualcuno asserisse che non si decompone, ma che viene e va insieme con il sole, che cosa risponderà all'osservazione che tutta la camera si oscura quando un corpo estraneo viene messo intorno alla candela?

E non si dica che tutta la luce si addensa intorno alla candela: infatti qui non vediamo una luce più intensa di prima.

- Concludendo, poiché tutto ciò contrasta non solo con la ragione, ma anche con l'esperienza sensibile, affermiamo che la luce non può essere una sostanza materiale.

Analisi delle obiezioni:

1. Per luce S. Agostino intende il corpo dotato di luminosità attuale, cioè il fuoco, che è il più nobile fra i quattro elementi.

2. Aristotele chiama luce il fuoco quando è nella sua materia: come noi lo chiamiamo fiamma quando è nella materia aerea, e carbone [ quando è ] nella materia terrea.

- Si badi però di non dare troppo peso agli esempi che Aristotele porta nei libri di logica, poiché li riporta come probabili, secondo l'opinione di altri.

3. I fenomeni addotti sono attribuiti alla luce metaforicamente, e così potrebbero essere attribuiti anche al calore.

Infatti il moto locale è in natura il primo dei movimenti, come prova Aristotele [ Phys. 8,7 ].

E per questa ragione noi adoperiamo locuzioni tratte dal moto locale anche parlando dell'alterazione e di tutti gli altri moti; come usiamo allo stesso modo la parola distanza, che deriva dall'estensione, quando parliamo di ogni specie di elementi contrari, come dice Aristotele [ Met. 10,4 ].

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