Summa Teologica - I

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Articolo 4 - Se sia esatta l'enumerazione dei sensi interni

De anima, a. 13

Pare che non sia esatta l'enumerazione dei sensi interni.

Infatti:

1. Il comune e il proprio non sono parti di un'unica divisione.

Perciò non si deve enumerare il senso comune tra le potenze sensitive interiori, come facoltà distinta dai sensi propri o esterni.

2. Non è necessario ammettere una facoltà conoscitiva interiore laddove bastano i sensi esterni.

Ma i sensi propri ed esterni hanno la capacità di giudicare dei sensibili: poiché ciascuno di essi giudica del suo oggetto.

Essi poi paiono anche capaci di percepire i loro atti: essendo infatti la sensazione come intermedia tra la potenza e l'oggetto, parrebbe che la vista dovesse percepire più facilmente la sua visione, come ad essa più vicina, che non il colore; e così per gli altri sensi.

Non era dunque necessario, per raggiungere questo scopo, ammettere quella facoltà interna chiamata senso comune.

3. Secondo il Filosofo [ De mem. et remin. 1 ], la fantasia e la memoria sono modalità del centro primitivo della sensibilità.

Ma le modalità non si contraddistinguono dal loro soggetto.

Perciò la memoria e la fantasia non vanno ritenute come potenze distinte dal senso.

4. L'intelletto dipende dai sensi meno di qualsiasi potenza della parte sensitiva.

Eppure l'intelletto non conosce un oggetto senza riceverlo dai sensi, per cui, secondo Aristotele [ Anal. post. 1,18 ], « chi manca di un senso, manca della scienza corrispondente ».

Molto meno quindi si può ammettere una potenza speciale della parte sensitiva, chiamata estimativa, per la percezione di certi aspetti [ delle cose ] non percepiti dai sensi.

5. L'atto della cogitativa, che è quello di confrontare, unire e dividere, e l'atto della reminiscenza, la quale fa quasi un sillogismo nel processo di ricerca, non sono meno distanti [ rispettivamente ] dall'atto dell'estimativa e della memoria di quanto l'atto dell'estimativa disti da quello della fantasia.

Perciò, o bisogna aggiungere la cogitativa e la reminiscenza come facoltà distinte, oltre all'estimativa e alla memoria, oppure bisogna considerare l'estimativa e la memoria come fuse con la fantasia.

6. S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12, cc. 6,7 ] conta tre generi di visione, cioè: la corporea, che si compie mediante i sensi, la spirituale, che avviene mediante l'immaginazione o fantasia, l'intellettuale, che si produce nell'intelletto.

Non esiste dunque un'altra facoltà interiore tra il senso e l'intelletto all'infuori dell'immaginazione.

In contrario:

Avicenna [ De anima 4,1 ] enumera cinque potenze sensitive interiori: il senso comune, la fantasia, l'immaginativa, l'estimativa e la memoria.

Dimostrazione:

La natura non è mai manchevole in ciò che è necessario: bisogna perciò che vi siano nell'anima sensitiva tante operazioni quante bastano alla vita dell'animale perfetto.

Quelle poi di queste attività che non possono ricondursi a un principio [ immediato ] unico richiedono potenze diverse: poiché le potenze dell'anima non sono altro che i princìpi prossimi delle sue operazioni.

Bisogna dunque considerare che per la vita dell'animale perfetto non si richiede soltanto la percezione dell'oggetto quando esso è presente, ma anche quando è assente.

Altrimenti l'animale non si muoverebbe a cercare una cosa assente, dato appunto che il moto e l'azione dell'animale seguono la percezione; invece vediamo verificarsi il contrario specialmente negli animali perfetti, che si muovono da un luogo a un altro: poiché essi si muovono verso oggetti conosciuti, ma non presenti.

È quindi necessario che l'animale, in forza dell'anima sensitiva, non solo riceva le immagini delle realtà sensibili quando queste lo colpiscono con la loro presenza, ma sia anche capace di ritenerle e di conservarle.

Ora, ricevere e ritenere sono funzioni che negli esseri corporei appartengono a princìpi diversi: infatti i corpi umidi ricevono bene e ritengono male, mentre accade il contrario per i corpi secchi.

Essendo quindi la potenza sensitiva l'atto di un organo corporeo, bisogna che vi sia una potenza per ricevere le immagini delle realtà sensibili e una per conservarle.

- Si osservi inoltre che, se gli animali si muovessero soltanto perché una sensazione è piacevole o sgradevole, basterebbe ammettere in essi la sola conoscenza delle forme percepite con i sensi di fronte alle quali sentono piacere o ripulsa.

L'animale ha invece necessità di ricercare o di fuggire alcune cose non soltanto perché sono o non sono gradevoli alla sensazione, ma ancora per altre funzioni e utilità, oppure per certi nocumenti.

Come la pecora, vedendo venire il lupo, fugge, non perché le è sgradito il colore o la figura, ma perché è un suo nemico naturale; parimenti l'uccello raccoglie le pagliuzze non perché piacevoli ai sensi, ma perché utili a fare il nido.

È dunque necessario che l'animale percepisca questi dati intenzionali che non cadono sotto i sensi esterni.

Bisogna quindi che esista un principio operativo distinto di queste percezioni: poiché esse non derivano dalle trasmutazioni dei sensi, come invece le percezioni delle qualità sensibili.

Concludendo, per apprendere le qualità sensibili servono i sensi propri e il senso comune, della cui distinzione parleremo in seguito [ ad 1,2 ].

- Per raccogliere però e per conservare queste percezioni abbiamo la fantasia o immaginativa: essendo appunto la fantasia, o l'immaginativa, che è la stessa cosa, una specie di ricettacolo delle forme apprese per mezzo dei sensi.

- Per apprendere invece quei dati intenzionali che sfuggono ai sensi [ propri ] abbiamo l'estimativa.

Finalmente, per conservare questi ultimi abbiamo la memoria, che è come un ricettacolo di questi dati intenzionali.

E ne abbiamo la riprova dal fatto che negli animali il motivo di un ricordo proviene da qualcuno di questi dati intenzionali, cioè dall'essere una data cosa nociva o vantaggiosa.

E tra questi dati intenzionali va pure computata la percezione del passato in quanto tale, che è oggetto della memoria.

Si deve poi ancora notare che, riguardo alle percezioni dei sensi, non vi è differenza tra l'uomo e gli altri animali: analoghe infatti sono le trasmutazioni subite da parte degli oggetti sensibili esterni.

Vi è differenza invece quanto ai dati intenzionali sopra ricordati: poiché gli altri animali li percepiscono solo per un certo istinto naturale, mentre l'uomo può arrivarci anche mediante una specie di ragionamento.

Perciò quella potenza che negli altri animali è chiamata estimativa naturale, nell'uomo viene detta cogitativa, poiché raggiunge queste immagini intenzionali mediante una specie di ragionamento.

E così questa facoltà, alla quale i medici assegnano come organo determinato la parte centrale del cervello, è chiamata anche ragione particolare: essa infatti raccoglie i dati conoscitivi concreti come la ragione intellettiva raccoglie quelli universali.

Quanto poi alla memoria, l'uomo non solo possiede, come gli altri animali, la capacità di ricordare spontaneamente il passato, ma possiede pure la reminiscenza, mediante la quale cerca di evocare i ricordi con un procedimento quasi sillogistico sui dati conoscitivi concreti e individuali.

Avicenna però pone una quinta potenza tra l'estimativa e l'immaginativa, che unisce o scompone le immagini fantastiche: come succede p. es. quando noi, mediante le immagini dell'oro o del monte, componiamo l'immagine unica di un monte d'oro, che non abbiamo mai visto.

Questa operazione però non la riscontriamo negli animali, ma solo nell'uomo, la cui facoltà immaginativa è già capace di ciò.

E a quest'ultima attribuisce la cosa anche Averroè, nel suo libro De Sensu et Sensibilibus [ 8 ].

Dunque non è necessario porre se non quattro facoltà interne nella parte sensitiva, cioè il senso comune e l'immaginativa, l'estimativa e la memoria.

Analisi delle obiezioni:

1. Il [ primo ] senso interno è chiamato comune non perché sia un predicato comune a più cose, quasi fosse un genere, ma in quanto radice comune e principio di tutti i sensi esterni.

2. Il senso proprio giudica del proprio oggetto sensibile discernendo un oggetto dagli altri che cadono sotto lo stesso senso: [ l'occhio ], p. es., discerne il bianco dal nero o dal verde.

Se però si tratta di discernere il bianco dal dolce, questo non può farlo né la vista né il gusto: poiché è necessario che chi distingue due cose diverse le conosca ambedue.

È quindi necessario che un tale giudizio appartenga a un senso comune, nel quale vengano a confluire tutte le percezioni dei sensi come a un termine comune, e dal quale siano pure percepite le sensazioni stesse, come quella di chi vede di vedere.

Questo infatti non può farlo il senso proprio, il quale non conosce se non la qualità sensibile da cui subisce una trasmutazione: trasmutazione questa nella quale si compie la visione, e che viene seguita da un'altra trasmutazione nel senso comune, il quale percepisce la visione.

3. Una potenza può nascere dall'anima mediante un'altra potenza, come si è detto [ q. 77, a. 7 ]; e per lo stesso motivo l'anima può essere il soggetto di una potenza mediante un'altra potenza.

E proprio sotto questo aspetto la fantasia e la memoria si dicono modalità del centro primigenio della sensibilità.

4. Sebbene l'operazione dell'intelletto abbia origine dal senso, tuttavia l'intelletto conosce, nell'oggetto percepito dal senso, molto più di quanto possa percepire il senso.

E così fa l'estimativa, benché in un grado inferiore.

5. La cogitativa e la memoria hanno nell'uomo tanta eccellenza non per ciò che è proprio della parte sensitiva, ma a motivo dell'affinità e vicinanza con la ragione universale, secondo una certa ridondanza.

Quindi, benché più perfette, esse sono facoltà non diverse, ma identiche a quelle degli altri animali.

6. S. Agostino chiama spirituale la visione che avviene mediante le immagini dei corpi nell'assenza di questi.

Essa perciò abbraccia tutte le sensazioni interne.

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