Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se la volontà appetisca per necessita qualcosa

I-II, q. 10, a. 1; In 2 Sent., d. 25, q. 1, a. 2; De Verit., q. 22, a. 5; De Malo, q. 6

Pare che la volontà non appetisca nulla per necessita.

Infatti:

1. Dice S. Agostino [ De civ. Dei 5,10 ] che se una cosa e necessaria non e più volontaria.

Ma tutto ciò che la volontà vuole è volontario.

Quindi nessuna cosa che sia voluta dalla volontà è desiderata in modo necessario.

2. Secondo il Filosofo [ Met. 9,2 ], le potenze razionali hanno per oggetto cose opposte tra loro.

Ma la volontà è una potenza razionale, poiché la volontà si trova nella ragione, come dice Aristotele [ De anima 3,9 ].

Quindi la volontà ha per oggetto cose opposte tra loro.

Di conseguenza a nulla è necessariamente determinata.

3. In forza della volontà noi siamo padroni dei nostri atti.

Ma di ciò che esiste necessariamente non siamo padroni.

Quindi l'atto della volontà non può avere un'esistenza necessaria.

In contrario:

S. Agostino[ De Trin. 13,4.7 ] insegna che « tutti con una volontà sola desiderano la felicita ».

Ora, se ciò non fosse necessario, ma contingente, si avrebbe, almeno qualche rara volta, un'eccezione.

Quindi c'e qualcosa che la volontà vuole necessariamente.

Dimostrazione:

Il termine necessità ha molti significati.

infatti necessario e « ciò che non può non essere ».

Ma ciò può verificarsi di una cosa prima di tutto in forza di un principio intrinseco: sia esso una causa materiale, come quando diciamo necessario che ogni sostanza composta di elementi contrari si corrompa; sia esso una causa formale, come quando diciamo necessario che il triangolo abbia i tre angoli uguali a due retti.

E questa è la necessita naturale e assoluta.

C'e poi un secondo modo per una cosa di non poter non essere, vale a dire in rapporto a una causa estrinseca, che può essere il fine o la causa efficiente.

In rapporto al fine quando senza quella data cosa non si può raggiungere uno scopo, o non si può raggiungerlo bene: come si dice che il cibo e necessario per la vita, e il cavallo per il viaggio.

E questa è chiamata necessita del fine, e talora anche utilità.

In rapporto poi alla causa agente si ha necessità quando l'agente costringe in modo che non si possa fare il contrario.

E quest'ultima e chiamata necessita di coazione.

Concludendo: la necessita di coazione ripugna del tutto alla volontà.

Infatti noi chiamiamo violento tutto ciò che è contro l'inclinazione di una cosa.

Ora, anche il moto della volontà e un'inclinazione verso qualcosa.

Come quindi si dice che qualcosa e naturale perche corrisponde all'inclinazione della natura, cosi si dirà volontario tutto ciò che corrisponde all'inclinazione della volontà.

Per conseguenza, come e impossibile che una cosa sia insieme violenta e naturale, cosi e impossibile che sia essenzialmente coatta, o violenta, e insieme volontaria.

Invece la necessità del fine non ripugna alla volontà quando il fine non e raggiungibile che in un modo solo: come dalla determinazione di passare il mare nasce per la volontà la necessità di volere la nave.

Parimenti, neppure la necessita naturale ripugna alla volontà.

Anzi, e indispensabile che come l'intelletto aderisce necessariamente ai primi principi, cosi la volontà aderisca necessariamente all'ultimo fine, che e la beatitudine: poiché, al dire di Aristotele [ Phys. 2,9 ], nell'ordine pratico il fine ha la l'unzione dei principi nell'ordine speculativo.

Bisogna infatti che il fondamento e il principio di tutto ciò che si attribuisce a una cosa sia ciò che le appartiene in maniera naturale e immutabile: poiché la natura è ciò che è primo in ogni essere, e ogni moto procede sempre da qualcosa di immutabile.

Analisi delle obiezioni:

1. La frase di S. Agostino va riferita a ciò che è necessario per necessita di coazione.

La necessita naturale invece « non toglie la libertà della volontà », come egli dice nello stesso libro [ De civ. Dei 5,10 ].

2. La volontà, in quanto vuole qualcosa naturalmente, corrisponde più all'intelletto dei principi naturali che non alla ragione, la quale ha per oggetto gli opposti.

Quindi, da questo punto di vista, e una potenza più intellettuale che razionale.

3. Noi siamo padroni dei nostri atti in quanto possiamo scegliere questa o quella cosa.

Ora, la scelta non ha per oggetto il fine, ma « i mezzi che portano al fine », come dice Aristotele [ Ethic. 3, cc. 3,6 ].

Quindi l'appetizione dell'ultimo fine non rientra tra le cose di cui siano padroni.

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