Summa Teologica - I

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Articolo 1 - Se il fato sia una realtà

C. G., III, c. 93; Comp. Theol., c. 138; Quodl., 12, q. 3, a. 2; In Matth., c. 2; In 1 Periherm., lect. 14; In 6 Metaph., lect. 3

Pare che il fato non sia una realtà.

Infatti:

1. S. Gregorio [ In Evang. hom. 10 ] ammonisce: « Si guardino bene i fedeli dal pensare e dall'affermare che il fato sia qualcosa ».

2. Le cose soggette al fato non sono degli imprevisti: poiché, come osserva S. Agostino [ De civ. Dei 5,9 ], « sappiamo che fato deriva da fari, dire » per cui vengono attribuiti al fato gli eventi che sono stati predetti in anticipo da qualcuno che li determina.

Ma ciò che è oggetto di provvidenza non è né fortuito né casuale.

Se quindi si ammettesse che le cose sono soggette al fato, si escluderebbero dalle cose il caso e la fortuna.

In contrario:

Ciò che non esiste non è definibile.

Ma Boezio [ De consol., pr. 6 ] al contrario definisce il fato, dicendo che « esso è una disposizione inerente agli esseri mobili, con la quale la provvidenza lega ogni cosa al suo ordine ».

Quindi il fato è una realtà.

Dimostrazione:

È evidente che nel mondo alcuni eventi dipendono dalla fortuna e dal caso.

Capita però talvolta che un evento in rapporto alle cause inferiori sia fortuito o casuale, mentre in rapporto a una causa superiore si scopre che è voluto direttamente.

Si pensi, ad es., a due servi mandati dal padrone in una stessa località, l'uno all'insaputa dell'altro: l'incontro dei due servi, per loro, è causale, poiché avviene senza che essi lo vogliano, ma per il padrone che lo ha preordinato non è casuale, bensì voluto direttamente.

Vi furono dunque certuni i quali non vollero ricondurre ad alcuna causa superiore gli eventi terrestri fortuiti o casuali.

E questi negarono il fato e la provvidenza, come S. Agostino [ De civ. Dei 5,9 ] dice di Cicerone.

- Ma tale sentenza è contraria a quanto si disse trattando della provvidenza [ q. 22, a. 2, ad 1 ].

Altri invece vollero ricondurre gli eventi fortuiti e casuali, sia quelli del mondo fisico che quelli del mondo umano, a una causa superiore, cioè ai corpi celesti.

Secondo costoro, dunque, il fato non sarebbe altro che « la posizione degli astri sotto la quale uno fu concepito o venne alla luce » [ S. Agost., l. cit., cc. 1,8,9 ].

- Ma anche questa sentenza è insostenibile per due motivi.

Primo, in rapporto alle cose umane.

Infatti si è già dimostrato [ q. 115, a. 4 ] che gli atti umani sono soggetti all'azione dei corpi celesti soltanto in maniera accidentale e indiretta.

Invece la causa fatale, essendo ordinata a eventi fatali, deve essere una causa diretta e per se dell'evento.

- Secondo, in rapporto a tutto ciò che si verifica per accidens.

Si è detto infatti [ q. 115, a. 6 ] che un per accidens non è propriamente né ente né uno.

Invece ogni operazione della natura tende a produrre un effetto [ determinato e quindi ] unico.

Per cui è impossibile che un per accidens sia effetto per se di una causa agente naturale.

Per cui nessun agente naturale può causare per se il fatto che uno, volendo scavare una fossa sepolcrale, trovi un tesoro.

Ora, è evidente che i corpi celesti agiscono come cause naturali: perciò anche i loro effetti sulla terra sono naturali.

Quindi è impossibile che una virtù attiva dei corpi celesti sia causa di quanto nel mondo avviene per accidens, cioè per combinazione o per caso.

Bisogna quindi affermare che gli eventi casuali, sia quelli del mondo fisico che quelli del mondo umano, dipendono da una causa preordinante, che è la provvidenza divina.

Nulla infatti impedisce che ciò che è per accidens sia concepito come un tutt'uno da un'intelligenza: altrimenti l'intelletto non potrebbe neppure formulare questa proposizione: « Colui che scavava un sepolcro ha trovato un tesoro ».

E come un intelletto può concepire questo fatto, così può anche provocarlo: sapendo infatti uno dov'è nascosto un tesoro, potrebbe spingere un contadino che lo ignora a scavare il sepolcro in quel punto.

Quindi nulla impedisce che gli eventi che accadono quaggiù per accidens, quali sono le cose fortuite e casuali, dipendano da una causa intellettiva predeterminante; e specialmente dall'intelletto divino.

Infatti solo Dio può influire direttamente sulla volontà, come si è dimostrato [ q. 105, a. 4; q. 106, a. 2; q. 111, a. 2 ].

Per conseguenza la coordinazione causale degli atti umani, che dipendono dalla volontà, deve essere attribuita soltanto a Dio.

Concludendo, noi possiamo ammettere il fato perché quanto accade quaggiù è soggetto alla provvidenza divina, e accade come un evento preordinato e quasi pre-detto da essa: sebbene i santi Dottori abbiano ricusato di servirsi di questo vocabolo, a motivo di coloro che attribuivano il fato all'influsso e alla posizione degli astri.

Per cui S. Agostino [ De civ. Dei 5,1 ] ammoniva: « Chi attribuisce gli eventi umani al fato perché con tale vocabolo intende significare la stessa volontà e potenza di Dio, pensi pure così, ma corregga il suo linguaggio ».

Ed è questa la ragione per cui nega il fato S. Gregorio [ l. cit. ].

Analisi delle obiezioni:

1. È così risolta la prima obiezioni.

2. Nulla impedisce che alcuni eventi siano fortuiti e casuali in rapporto alle cause prossime, e non lo siano invece in rapporto alla provvidenza divina: infatti in rapporto a quest'ultima, come dice S. Agostino [ Lib. LXXXIII quaest. 24 ], « nulla nel mondo avviene inconsideratamente ».

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