Summa Teologica - I-II

Indice

Articolo 5 - Se per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo

C. G., IV, cc. 79, 91; De Pot., q. 5, a. 10; Comp. Theol., c. 151

Pare che per la beatitudine dell'uomo si richieda anche il corpo.

Infatti:

1. La perfezione della virtù e della grazia presuppone la perfezione della natura.

Ma la beatitudine è la perfezione della virtù e della grazia.

D'altra parte l'anima senza il corpo non ha la perfezione della natura, poiché ogni parte è imperfetta se separata dal suo tutto.

Quindi l'anima senza il corpo non può essere beata.

2. La beatitudine, come si è spiegato [ q. 3, aa. 2,5 ], è un'operazione perfetta.

Ma l'operazione perfetta accompagna l'essere perfetto: poiché nulla può operare se non in quanto è un ente in atto.

Siccome dunque l'anima quando è separata dal corpo non possiede un essere perfetto, come non lo possiede una parte separata dal tutto, è chiaro che l'anima senza il corpo non può essere beata.

3. La beatitudine è la perfezione dell'uomo.

Ma l'anima separata dal corpo non è l'uomo.

Quindi la beatitudine non si può trovare nell'anima senza il corpo.

4. Il Filosofo [ Ethic. 7,13 ] afferma che « l'operazione della felicità », nella quale consiste la beatitudine, è « senza impedimenti ».

Ma l'operazione dell'anima separata è impedita: poiché, come scrive S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,35 ], « vi è nell'anima una certa tendenza naturale a governare il corpo che in certo qual modo le impedisce di slanciarsi interamente verso il cielo supremo », cioè verso la visione dell'essenza divina.

Quindi l'anima senza il corpo non può essere beata.

5. La beatitudine è un bene esauriente, che acquieta il desiderio.

Ma ciò non si verifica per l'anima separata: poiché questa desidera ancora l'unione col corpo, come insegna S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,35 ].

Quindi l'anima separata dal corpo non è beata.

6. L'uomo nella beatitudine è equiparato agli angeli.

Ma l'anima senza il corpo non è alla pari degli angeli, al dire di S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,35 ].

Quindi non è beata.

In contrario:

Sta scritto [ Ap 14,13 ]: « Beati i morti che muoiono nel Signore ».

Dimostrazione:

Ci sono due tipi di beatitudine: la prima imperfetta, possibile nella vita presente, e la seconda perfetta, che consiste nella visione di Dio.

Ora, è evidente che per la felicità di questa vita si richiede necessariamente il corpo.

Infatti questa felicità è un'operazione dell'intelletto, sia speculativo che pratico.

Ma nella vita presente non è possibile un'operazione dell'intelletto senza le immagini della fantasia, che a loro volta non possono prescindere da un organo corporeo, come si è visto nella Prima Parte [ q. 84, aa. 6,7 ].

Quindi la beatitudine possibile in questa vita dipende in qualche modo dal corpo.

Quanto invece alla beatitudine perfetta, che consiste nella visione di Dio, alcuni ritennero che essa non possa venire attribuita a un'anima separata dal corpo, dicendo che le anime dei Santi separate dai corpi non raggiungono quella perfetta beatitudine prima del giorno del Giudizio, quando riprenderanno i loro corpi.

- Ma la falsità di questa tesi viene dimostrata con argomenti sia di autorità che di ragione.

Di autorità in quanto l'Apostolo [ 2 Cor 5,6 ] afferma: « Finché abitiamo nel corpo siamo in esilio, lontano dal Signore »; e per mostrare di che natura sia tale esilio aggiunge [ 2 Cor 5,7 ]: « camminiamo nella fede e non ancora in visione ».

Dalle quali parole si rileva che fino a quando uno cammina nella fede e non nella visione, privo cioè della visione dell'essenza divina, non è ancora presente a Dio.

Invece le anime dei Santi separate dai corpi, sempre secondo l'Apostolo [ 2 Cor 5,8 ], sono presenti a Dio: « Siamo pieni di fiducia e preferiamo andare in esilio dal corpo e abitare presso il Signore ».

Quindi è evidente che le anime dei Santi separate dai corpi camminano nella visione, contemplando l'essenza di Dio: il che costituisce la vera beatitudine.

Ma tale conclusione si impone anche per argomenti di ragione.

Infatti l'intelletto ha bisogno del corpo nella propria operazione solo per le immagini della fantasia, nelle quali scorge la verità di ordine intelligibile, come si è spiegato nella Prima Parte [ q. 84, a. 7 ].

Ora, è evidente che l'essenza divina non può essere vista mediante le immagini della fantasia, come si è già dimostrato [ I, q. 12, a. 3 ].

Quindi, siccome la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nella visione dell'essenza divina, la perfetta beatitudine umana non dipende dal corpo.

Quindi l'anima può essere beata senza il corpo.

Bisogna però ricordare che una cosa può appartenere alla perfezione di un dato essere in due modi.

Primo, come costitutivo della sua essenza: come l'anima umana è richiesta alla perfezione dell'uomo.

Secondo, come elemento integrativo: come appartengono alla perfezione dell'uomo la bellezza del corpo e la prontezza dell'ingegno.

Sebbene dunque il corpo non appartenga alla perfezione della beatitudine umana nella prima maniera, vi appartiene però nella seconda.

Poiché infatti l'operazione dipende dalla natura di una cosa, l'anima avrà tanto più perfettamente la sua operazione, nella quale consiste la beatitudine, quanto più perfetta sarà nella sua natura.

Per cui S. Agostino [ De Gen. ad litt. 12,35.68 ], essendosi posto la questione: « Se gli spiriti dei defunti possano fruire senza il corpo della suprema beatitudine », risponde che « non sono in grado di vedere la sostanza incommutabile come la vedono gli angeli, sia per qualche altra ragione più nascosta, sia perché c'è in essi il desiderio naturale di governare il corpo ».

Analisi delle obiezioni:

1. La beatitudine è la perfezione dell'anima non in quanto questa è la forma naturale del corpo, ma in ordine all'intelletto, per il quale essa trascende gli organi corporei.

Quindi le anime separate possiedono la loro perfezione naturale in rapporto a ciò che costituisce la beatitudine, sebbene non la possiedano come forme dei corpi.

2. L'anima ha con l'essere un rapporto diverso da quello delle altre parti.

Infatti l'essere del tutto non è l'essere di nessuna delle sue parti: per cui dopo la distruzione del tutto o le parti cessano completamente di esistere, come le parti di un animale dopo la distruzione dell'animale, oppure, se rimangono, hanno un essere attuale diverso, come la parte di una linea ha un essere diverso dalla linea intera.

Invece l'anima umana, dopo la distruzione del corpo, conserva l'essere del composto: e ciò perché l'essere della forma è identico all'essere della materia, e questo è l'essere del composto.

D'altra parte l'anima nel suo essere è sussistente, come fu dimostrato nella Prima Parte [ q. 75, a. 2 ].

Rimane dunque stabilito che dopo la separazione dal corpo essa conserva l'essere nella sua perfezione, e quindi può avere l'operazione perfetta, sebbene non abbia la natura completa della sua specie.

3. La beatitudine appartiene all'uomo secondo il suo intelletto: perciò finché rimane l'intelletto egli può conservare la beatitudine.

Come i denti di un Etiope, secondo i quali costui può essere detto bianco, possono rimanere bianchi anche dopo essere stati cavati.

4. Una cosa può essere di impedimento a un'altra in due modi.

Primo, come un elemento contrario, cioè come il freddo impedisce l'azione del calore: e tale impedimento dell'operazione è incompatibile con la felicità.

Secondo, come una certa manchevolezza, cioè per il fatto che il soggetto così ostacolato non possiede tutto ciò che sarebbe richiesto alla sua perfezione totale: e questo impedimento non è incompatibile con la felicità, ma solo con la sua perfezione completa.

E in questo senso si dice che la separazione dal corpo impedisce all'anima di tendere con tutto lo slancio verso la visione dell'essenza divina.

Infatti l'anima desidera di godere Dio in modo che il godimento ridondi anche sul corpo, nella misura del possibile.

Quindi, finché essa ha il godimento di Dio senza il corpo, il suo appetito, pur acquietandosi nell'oggetto che possiede, vorrebbe inoltre che il suo corpo arrivasse a parteciparne.

5. Il desiderio dell'anima separata si acquieta totalmente rispetto all'oggetto appetibile: poiché possiede quanto sazia il suo appetito.

Non si acquieta però totalmente in rapporto al soggetto appetente: poiché questo non possiede quel bene secondo tutti i modi in cui vorrebbe possederlo.

Quindi con la riassunzione dei corpi la beatitudine non crescerà in intensità, ma in estensione.

6. Le parole di S. Agostino secondo cui « gli spiriti dei defunti non vedono Dio come gli angeli » non vanno riferite a una disuguaglianza di grado: poiché anche al presente alcune anime di Beati sono state assunte agli ordini angelici più sublimi, e quindi vedono Dio con maggiore chiarezza degli angeli inferiori.

Vanno invece riferite a una disuguaglianza di proporzionalità: poiché gli angeli, anche se infimi, possiedono già, a differenza delle anime separate dei Santi, tutta la perfezione della beatitudine che dovranno avere in seguito.

Indice