Summa Teologica - I-II

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Articolo 4 - Se la tristezza sia più nociva al corpo delle altre passioni dell'anima

Infra, q. 41, a. 1

Pare che la tristezza non sia la passione che più danneggia il corpo.

Infatti:

1. La tristezza ha un'esistenza immateriale nell'anima.

Ma cose che esistono solo in modo immateriale non possono produrre trasmutazioni corporali: il che è evidente nel caso dell'essere intenzionale dei colori esistenti nell'aria, dal quale nessun corpo viene colorato.

Quindi la tristezza non arreca alcun danno corporale.

2. Se la tristezza produce un danno fisico è solo perché è accompagnata da un'alterazione fisica.

Ma questa è implicita in tutte le passioni, come sopra [ q. 22, aa. 1,3 ] abbiamo dimostrato.

Quindi la tristezza non nuoce al corpo più delle altre passioni.

3. Il Filosofo [ Ethic. 7,3 ] insegna che « l'ira e il desiderio talvolta rendono pazzi », e questo sembra il danno più grave, essendo la ragione quanto di più eccellente si trova nell'uomo.

E anche la disperazione sembra essere più nociva della tristezza, essendone la causa.

Quindi la tristezza non nuoce al corpo più delle altre passioni dell'anima.

In contrario:

Sta scritto nei Proverbi [ Pr 17,22 ]: « Un cuore lieto fa bene al corpo, uno spirito abbattuto inaridisce le ossa ».

E ancora [ Pr 25,20 ]: « Come la tignola nel panno e il tarlo nel legno, così nuoce la tristezza al cuore dell'uomo ».

E nell'Ecclesiastico [ Sir 38,18 ]: « Dalla tristezza viene presto la morte ».

Dimostrazione:

Fra tutte le passioni dell'anima, quella che più nuoce al corpo è la tristezza.

E lo dimostra il fatto che la tristezza si contrappone alla vita umana nel suo moto specifico, e non soltanto per un eccesso di misura o di quantità, come le altre passioni.

Infatti la vita umana si riduce a un moto che parte dal cuore e si diffonde nelle altre membra: e questo moto è proporzionato alla natura umana secondo una determinata misura.

Se quindi questo moto viene accelerato oltre la misura dovuta, esso viene a opporsi alla vita umana secondo la misura della quantità, ma non quanto alla natura specifica.

Se invece lo sviluppo di questo moto viene impedito del tutto, allora avremo un'opposizione alla vita nella sua specie.

Ora, si deve osservare che in tutte le passioni dell'anima l'alterazione fisiologica, che ne è la parte materiale, è conforme e proporzionata al moto dell'appetito, che ne è la parte formale: come in tutte le cose la materia è proporzionata alla forma.

Di conseguenza quelle passioni che implicano un moto dell'appetito volto al raggiungimento di un oggetto, come l'amore, il piacere, il desiderio, ecc., non si oppongono specificamente al moto vitale [ del cuore ], ma possono opporvisi per un eccesso di misura.

Quindi questi moti per la loro stessa specie favoriscono la natura del corpo, e possono esserle nocivi solo per un eccesso.

- Invece le passioni che implicano un moto dell'appetito con la fuga, o con una certa sottrazione, si oppongono al moto vitale [ del cuore ] non solo per una discordanza di misura, ma anche per la stessa specie del moto, per cui sono nocive direttamente: e tali sono il timore e la disperazione, ma soprattutto la tristezza, che deprime l'animo in ragione di un male presente, che impressiona più fortemente di un male futuro.

Analisi delle obiezioni:

1. L'anima per sua natura muove il corpo, per cui il moto immateriale dell'anima è per sua natura causa delle trasmutazioni corporali.

Non è quindi lo stesso il caso delle « intenzioni » immateriali, che per natura non sono ordinate a muovere altri corpi non soggetti alla mozione dell'anima.

2. Le altre passioni hanno un'alterazione fisica specificamente conforme al moto vitale, mentre quella della tristezza è contraria, come si è spiegato [ nel corpo ].

3. Si richiede una causa meno forte per impedire l'uso della ragione che per distruggere la vita: vediamo infatti come molte malattie che tolgono l'uso della ragione non arrivino a troncare la vita.

E tuttavia il timore e l'ira apportano un gravissimo danno corporale poiché vi si mescola la tristezza, a motivo dell'assenza di ciò che si desidera.

Del resto anche la tristezza talvolta toglie la ragione: come è evidente in quelli che per il dolore cadono nella malinconia o nella follia.

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