Summa Teologica - I-II

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Articolo 5 - Se nella volontà ci possa essere qualche abito

In 2 Sent., d. 27, q. 1, a. 1, ad 2; In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 1; De Verit., q. 20, a. 2; De Virt., q. 1, a. 1

Pare che nella volontà non ci possa essere alcun abito.

Infatti:

1. L'abito esistente nell'intelletto è costituito dalle specie intelligibili, mediante le quali l'intelletto conosce.

Ma la volontà non agisce servendosi di specie.

Quindi la volontà non è sede di alcun abito.

2. A differenza dell'intelletto possibile, l'intelletto agente non ammette abiti, essendo una potenza attiva.

Ma la volontà è la più attiva delle potenze, poiché muove tutte le potenze ai loro atti, come si è visto in precedenza [ q. 9, a. 1 ].

Quindi in essa non ci sono abiti.

3. Nelle potenze naturali non ci sono abiti poiché per loro natura sono già determinate a una data cosa.

Ma la volontà per sua natura è ordinata a tendere verso il bene conforme alla ragione.

Quindi nella volontà non c'è alcun abito.

In contrario:

La giustizia è un abito.

Ma la giustizia risiede nella volontà: infatti la giustizia, come dice Aristotele [ Ethic. 5,1 ], è « un abito mediante il quale si vogliono e si compiono cose giuste ».

Quindi la volontà è sede di qualche abito.

Dimostrazione:

Tutte le facoltà che possono essere ordinate ad agire in più modi hanno bisogno di un abito per essere ben disposte al proprio atto.

Ora, essendo la volontà una potenza razionale, può essere ordinata all'operazione in più modi.

Perciò è necessario ammettere qualche abito nella volontà, che serva a ben disporla al proprio atto.

- Anzi, dalla stessa definizione dell'abito risulta che esso ha un rapporto particolare con la volontà, in quanto l'abito è « il mezzo di cui uno si serve quando vuole », come sopra [ a. 1, ob. 1; q. 49, a. 3, s. c. ] abbiamo spiegato.

Analisi delle obiezioni:

1. Come nell'intelletto c'è la specie [ intenzionale ] che è un'immagine dell'oggetto, così nella volontà e in qualsiasi altra potenza appetitiva ci deve essere qualcosa che serva a inclinarla verso il proprio oggetto: poiché l'atto della potenza appetitiva non è altro che un'inclinazione, come si è già spiegato [ q. 6, a. 4 ].

Perciò quando si tratta di cose verso le quali è già efficacemente inclinata dalla sua stessa natura, essa non ha bisogno di una qualità che la inclini.

Ma essendo necessario, per raggiungere il fine della vita umana, che la facoltà appetitiva venga inclinata a qualcosa di determinato, verso cui non è inclinata in base alla sua natura di potenza aperta a cose molteplici e diverse, si richiede che nella volontà, e nelle altre potenze appetitive, ci siano delle qualità che diano questa inclinazione, vale a dire gli abiti.

2. L'intelletto agente è agente soltanto, e in nessun modo paziente.

Invece la volontà, e qualsiasi potenza appetitiva, è un motore mosso, come dice Aristotele [ De anima 3,10 ].

Perciò il paragone non regge: infatti la capacità di ricevere un abito è proprio di ciò che in qualche modo è in potenza.

3. La volontà è inclinata al bene di ordine razionale dalla sua stessa natura di potenza.

Ma proprio perché tale bene si diversifica in modo molteplice, è necessario che la volontà riceva da qualche abito l'inclinazione verso un bene razionale determinato, in modo da compiere le sue operazioni con maggiore prontezza.

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