Summa Teologica - I-II

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Articolo 1 - Se ogni virtù sia una virtù morale

In 3 Sent., d. 23, q. 1, a. 4, sol. 2; In 1 Ethic., lect. 20; 2, lect. 1

Pare che ogni virtù sia una virtù morale.

Infatti:

1. La virtù morale prende la sua denominazione da mos [ moris ], che significa consuetudine.

Ora, noi possiamo rendere consueti gli atti di tutte le virtù.

Perciò tutte le virtù sono virtù morali.

2. Il Filosofo [ Ethic. 2,6 ] scrive che « la virtù morale è un abito elettivo che tende a fissarsi nel giusto mezzo della ragione ».

Ma tutte le virtù sono abiti elettivi: poiché possiamo compiere per scelta l'atto di qualsiasi virtù.

Inoltre ogni virtù tende in qualche modo, come vedremo in seguito [ q. 64, aa. 1,2,3 ], a fissarsi nel giusto mezzo della ragione.

Quindi ogni virtù è una virtù morale.

3. Scrive Cicerone [ De invent. 2,53 ] che « la virtù è un abito connaturato, consentaneo alla ragione ».

Ora le virtù umane, essendo ordinate al bene dell'uomo, devono tutte convenire con la ragione: poiché, come insegna Dionigi [ De div. nom. 4 ], il bene dell'uomo consiste « nell'essere conforme alla ragione ».

Quindi ogni virtù è una virtù morale.

In contrario:

Il Filosofo [ Ethic. 1,13 ] ha scritto: « Parlando della moralità noi non giudichiamo se uno è sapiente o intelligente, ma se è mite o sobrio ».

Perciò la sapienza e l'intelletto non sono qualità morali.

E tuttavia sono virtù, come sopra [ q. 57, a. 2 ] abbiamo detto.

Quindi non tutte le virtù sono morali.

Dimostrazione:

Per chiarire il problema bisogna considerare che cosa significa mos: e allora potremo sapere che cosa sia una virtù morale.

Ora, mos [ costume ] ha due significati.

Talora infatti sta a indicare una consuetudine; e in questo senso sta scritto negli Atti [ At 15,1 ]: « Se non vi fate circoncidere secondo la consuetudine [ secundum morem ] di Mosè, non potete essere salvi ».

Altre volte invece significa una certa inclinazione naturale, o connaturale, a compiere qualcosa: per cui si parla persino dei costumi [ mores ] degli animali; e in questo senso nel libro dei Maccabei [ 2 Mc 11,11 ] si dice: « Gettatisi come leoni [ more leonum ] sui nemici, li stesero al suolo ».

E sempre in tal senso sta scritto nei Salmi [ Sal 68,7 Vg ]: « [ Dio ], il quale fa abitare sotto un medesimo tetto quelli che hanno gli stessi costumi ».

- Ora, verbalmente questi due significati non si distinguono per nulla in latino.

Invece si distinguono in greco: infatti ethos, che noi traduciamo con mos, qualche volta ha la prima lettera lunga e viene scritto con l'eta, altre volte invece ha la prima sillaba breve e viene scritto con l'epsilon.

Ora, una virtù è detta morale da mos in quanto questo termine sta a indicare una certa inclinazione naturale a compiere qualcosa.

E a questo significato si avvicina anche l'altro, che vuole indicare una consuetudine: infatti la consuetudine in qualche modo si cambia in natura, e dà un'inclinazione simile a quella naturale.

È evidente però, in base alle spiegazioni date [ q. 9, a. 1 ], che l'inclinazione all'atto va attribuita alla potenza appetitiva, che mette tutte le altre potenze in azione.

Perciò non tutte le virtù possono dirsi morali, ma soltanto quelle che risiedono in una facoltà appetitiva.

Analisi delle obiezioni:

1. L'argomento è valido se prendiamo mos nel significato di consuetudine.

2. Ogni atto di virtù può essere compiuto per [ libera ] scelta, ma la buona scelta viene compiuta soltanto dalle virtù che risiedono nella parte appetitiva dell'anima: infatti abbiamo già dimostrato [ q. 13, a. 1 ] che scegliere o eleggere è un atto della parte appetitiva.

Perciò abito elettivo, cioè principio di scelta, è soltanto quello che rafforza una facoltà appetitiva; sebbene anche gli atti degli altri abiti possano essere oggetto di scelta.

3. Come insegna Aristotele [ Phys. 2,1 ], « la natura è il principio del moto ».

Ora, muovere o agire è proprio della parte appetitiva.

Quindi cercare la somiglianza con la natura acconsentendo alla ragione è proprio delle virtù che risiedono nella parte appetitiva.

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