Summa Teologica - I-II

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Articolo 3 - Se le virtù morali siano compatibili con la tristezza

Pare che le virtù [ morali ] non siano compatibili con la tristezza.

Infatti:

1. Le virtù sono effetti della sapienza: poiché sta scritto [ Sap 8,7 ] che la sapienza « insegna la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza ».

Ma la Scrittura aggiunge [ Sap 8,16 ] che « la compagnia della sapienza non dà amarezza ».

Quindi le virtù non sono compatibili con la tristezza.

2. Come dimostra Aristotele [ Ethic. 7,13; 10,5 ], la tristezza è di ostacolo all'operazione.

Ma ogni ostacolo a ben operare è incompatibile con la virtù.

Quindi la tristezza è incompatibile con la virtù.

3. La tristezza è una certa malattia dell'anima, come dice Cicerone [ Tusc. disp. 3, cc. 6,7 ].

Ma la malattia dell'anima si contrappone alla virtù, che è invece il benessere dell'anima.

Perciò la tristezza è il contrario della virtù, ed è incompatibile con essa.

In contrario:

Cristo era perfetto nella virtù.

Eppure in lui ci fu la tristezza, poiché egli disse [ Mt 26,38 ]: « La mia anima è triste fino alla morte ».

Quindi la tristezza è compatibile con la virtù.

Dimostrazione:

Come riferisce S. Agostino [ De civ. Dei 14,8 ], « gli Stoici vollero sostituire con tre eupatie », cioè con tre buone passioni, « tre turbamenti nell'animo del savio: al posto della concupiscenza misero la volontà; al posto del godimento, la gioia; al posto del timore, la cautela.

Ma al posto della tristezza affermavano che non si poteva sostituire alcunché nell'animo del sapiente », e ciò per due motivi.

Primo, perché la tristezza, o dolore, ha per oggetto un male già accaduto.

Ora, essi pensavano che all'uomo saggio non potesse accadere alcun male: infatti credevano che i beni del corpo non siano beni per l'uomo, essendo la virtù l'unico suo bene, per cui l'unico male per l'uomo sarebbe la disonestà, che non può trovarsi nell'uomo virtuoso.

Ma ciò non è ragionevole.

Essendo infatti l'uomo composto di anima e corpo, quanto giova alla conservazione della vita fisica è un bene per l'uomo; sebbene non sia il suo bene supremo, poiché l'uomo può usarne male.

Per cui, potendosi ritrovare nell'uomo saggio il male contrario a questo bene, può trovarsi in lui una moderata tristezza.

- Inoltre, sebbene l'uomo virtuoso possa stare senza gravi peccati, tuttavia non si trova nessuno che viva senza peccati leggeri, secondo l'affermazione di S. Giovanni [ 1 Gv 1,8 ]: « Se diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi ».

- In terzo luogo perché anche se la persona virtuosa ora non ha peccati, probabilmente li ha avuti in passato.

E di ciò può giustamente dolersi, come nota S. Paolo [ 2 Cor 7,10 ]: « La tristezza secondo Dio produce un pentimento irrevocabile che porta alla salvezza ».

- Infine perché può giustamente addolorarsi dei peccati altrui.

- Perciò, come le virtù morali sono compatibili con le altre passioni moderate dalla ragione, così sono compatibili con la tristezza.

In secondo luogo gli Stoici insistevano sul fatto che la tristezza ha per oggetto un male presente, il timore invece un male futuro: parallelamente al piacere, che ha per oggetto il bene presente, e al desiderio, che si riferisce a un bene futuro.

Ora, se si può ammettere che la virtù porti a godere di un bene che si possiede, o a desiderare un bene che manca, o a evitare un male futuro, sembra invece del tutto contrario alla ragione che l'animo dell'uomo si lasci dominare dal male presente con la tristezza: per cui la tristezza sarebbe incompatibile con la virtù.

Ma anche questo argomentare non è ragionevole.

Infatti certi mali possono realmente trovarsi nella persona virtuosa, come si è appena visto.

E la ragione senza dubbio li detesta.

Perciò quando l'appetito sensitivo se ne rattrista, non fa che seguire l'impulso della ragione: purché la tristezza sia moderata, secondo il giudizio della ragione.

Ora, il conformarsi dell'appetito sensitivo alla ragione spetta alla virtù, come si è detto [ a. 1, ad 2 ].

Quindi spetta alla virtù che uno si rattristi moderatamente di ciò che comporta dolore o tristezza: come lo stesso Filosofo [ Ethic. 2,6 ] insegna.

- Anzi, ciò serve anche a fuggire il male.

Come infatti per il piacere si cerca il bene con maggiore prontezza, così per il dolore si fugge il male con più forza.

Si deve dunque concludere che addolorarsi di quanto si addice alla virtù non è compatibile con la virtù: poiché la virtù si diletta di quanto le appartiene.

Ma la virtù si rattrista moderatamente di quanto ad essa in qualsiasi modo ripugna.

Analisi delle obiezioni:

1. Da quel testo si deve dedurre che il saggio non può rattristarsi della sapienza.

Egli però può rattristarsi di ciò che ostacola la sapienza.

Perciò nei beati, in cui la sapienza non può trovare alcun ostacolo, non c'è luogo per la tristezza.

2. La tristezza ostacola l'operazione che ci rattrista, ma giova a compiere con maggiore prontezza quanto serve a fuggirla.

3. La tristezza esagerata è una malattia dell'anima, ma una tristezza moderata, nello stato della vita presente, fa parte del giusto equilibrio dell'anima.

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