Summa Teologica - I-II

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Articolo 2 - Se chiunque pecca per abito pecchi per malizia

In 2 Sent., d. 43, q. 1, a. 2

Pare che non tutti quelli che peccano per abito pecchino per malizia.

Infatti:

1. Un peccato commesso per malizia è gravissimo.

Invece talora per abito si commettono peccati leggeri: come fa chi ha l'abitudine di dire parole oziose.

Quindi non tutti i peccati commessi per abitudine sono di malizia.

2. Aristotele [ Ethic. 2,2 ] insegna che « gli atti derivanti da un abito sono simili agli atti che lo producono ».

Ora, gli atti che precedono un abito vizioso non [ sempre ] sono di vera malizia.

Quindi non sono di malizia neppure quelli che da esso derivano.

3. Quando uno commette un peccato per malizia, dopo averlo commesso se ne rallegra, secondo l'espressione dei Proverbi [ Pr 2,14 ]: « Godono nel fare il male, gioiscono dei loro propositi perversi ».

E questo perché a ciascuno piace il conseguimento di quanto cerca, e l'agire conformemente a quanto è a lui connaturale secondo un abito.

Invece chi pecca per abito si rattrista dopo il peccato: infatti, secondo Aristotele [ Ethic. 9,4 ], « i malvagi, cioè i viziosi, sono pieni di pentimenti ».

Quindi i peccati fatti per abito non sono di malizia.

In contrario:

Si dice che è di malizia un peccato che deriva dalla scelta del male.

Ora, come afferma Aristotele [ Ethic. 6,2 ] a proposito dell'abito virtuoso, ciascuno trova eleggibile l'oggetto a cui è inclinato dal proprio abito.

Quindi un peccato fatto per abito è un peccato di malizia.

Dimostrazione:

Non è la stessa cosa peccare avendo un abito e peccare per abito.

Infatti non è una necessità usare dell'abito, ma dipende dal volere di chi lo possiede: infatti l'abito viene definito come un'abilità « di cui uno fa uso quando vuole ».

Come può quindi avvenire che chi ha un abito vizioso faccia un atto di virtù - dato che la ragione non è totalmente corrotta dall'abito cattivo, ma conserva qualcosa di sano da cui deriva la capacità del peccatore di compiere qualcosa di buono -, così può anche capitare che chi possiede un abito vizioso talora non operi servendosi di esso, bensì per una passione che insorge, o per ignoranza.

Ogni volta però che si serve dell'abito vizioso pecca necessariamente per malizia.

Per chi ha un abito infatti è di per sé amabile ciò che a lui conviene secondo tale abito, dato che in forza della consuetudine e dell'abito la cosa gli è divenuta connaturale come una seconda natura.

Ora, ciò che conviene secondo un abito cattivo è un qualcosa che esclude il bene spirituale.

Dal che segue che il vizioso, per raggiungere il bene che l'abito reclama, sceglie il male spirituale.

Ma questo è un peccato di malizia.

Quindi è evidente che chiunque pecca per abito pecca per malizia.

Analisi delle obiezioni:

1. I peccati veniali non escludono il bene spirituale che è la grazia di Dio, ossia la carità.

Perciò non sono un male in senso assoluto, ma in senso relativo.

Quindi anche l'abito di essi non può dirsi cattivo in senso assoluto, ma solo relativo.

2. Gli atti che derivano dagli abiti sono simili specificamente agli atti che producono gli abiti, ma differiscono da essi quanto a perfezione.

E tale è precisamente la differenza tra il peccato commesso per malizia e quello commesso per passione.

3. Quando uno pecca per abito gode sempre di quanto compie per abito.

Siccome però può anche non fare uso dell'abito, e meditare su qualcos'altro servendosi della ragione, che non è totalmente corrotta, può anche addolorarsi, quando non fa uso dell'abito, di quanto ha commesso per abito.

- Spesso però questi peccatori si affliggono del peccato non perché il peccato dispiaccia loro per se stesso, ma per qualche danno che esso procura.

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