Summa Teologica - II-II

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Articolo 8 - Se il sortilegio sia una divinazione illecita

C. G., III, c. 154; De sort., cc. 4, 5; Quodl., 12, q. 22, a. 3; In Psalm., 30; In Ephes., c. 1, lect. 4; In Col., c. 1, lect. 3

Pare che il sortilegio non sia una divinazione illecita.

Infatti:

1. Commentando quel testo dei Salmi [ Sal 31,16 ]: « Nelle tue mani sono le mie sorti », S. Agostino [ cf. Glossa ord. ] afferma: « La sorte non è nulla di male, ma un indizio che nel dubbio indica la volontà di Dio ».

2. Non sono illecite le cose che, stando alla Scrittura, furono praticate daisanti.

Ora, si riscontra che i santi, sia nell'antico che nel nuovo Testamento, fecero ricorso alle sorti.

Infatti di Giosuè si legge [ Gs 7,13s ] che per comando di Dio punì Acar, il quale aveva sottratto alcune cose all'anatema, rimettendone il giudizio alla sorte.

E anche di Saul si legge [ 1 Sam 14,38ss ] che mediante le sorti scoprì che a mangiare il miele era stato Gionata suo figlio.

Inoltre Giona [ Gn 1,7ss ] fu preso a sorte, mentre fuggiva dalla faccia del Signore, e gettato in mare.

Nel Vangelo [ Lc 1,9 ] poi si legge che a Zaccaria « toccò in sorte di offrire l'incenso ».

E finalmente S. Mattia fu dagli Apostoli eletto all'apostolato mediante la sorte, come si legge negli Atti [ At 1,26 ].

Perciò la divinazione che si basa sul sorteggio non è illecita.

3. Il duello, cioè il combattimento privato, detto monomachia, e i giudizi del fuoco e dell'acqua, denominati ordalie, si riducono a dei sorteggi: poiché con essi si indagano le cose occulte.

Ma non pare che tali pratiche siano illecite, poiché anche Davide ebbe un duello col [ gigante ] filisteo [ 1 Sam 17,32ss ].

Quindi la divinazione basata sulle sorti non è illecita.

In contrario:

Nel Decreto di Graziano [ 2,26,5,7 ] si legge: « Le sorti con le quali nei vostri affari decidete ogni cosa, e che i Padri hanno condannato, altro non sono che divinazioni e malefici.

Perciò vogliamo che esse siano condannate, e che non siano più nominate fra i cristiani: e affinché non siano praticate le proibiamo sotto pena di scomunica ».

Dimostrazione:

Come sopra [ a. 3 ] si è visto, si ha la sorte o il sortilegio quando si compie un atto con il fine di arguire dall'osservazione del suo risultato qualcosa di occulto.

E se da questo giudizio delle sorti si vuole sapere a chi si deve assegnare qualcosa, cioè dei beni materiali, onori, dignità, castighi o altro, abbiamo la sorte divisoria.

Se invece si vuole sapere il da farsi, abbiamo la sorte consultoria.

Se infine si vuole conoscere il futuro, si ha la sorte divinatoria.

Ora, gli atti umani richiesti per le sorti e i loro risultati non sono soggetti alle disposizioni degli astri.

Se quindi uno ricorre alle sorti pensando che gli atti umani richiesti dipendano nei loro effetti dalle disposizioni degli astri, la sua è un'opinione stolta e falsa, e quindi aperta all'intervento diabolico.

Perciò tale divinazione è superstiziosa e illecita.

Eliminata dunque la causalità dei corpi celesti, il risultato degli atti compiuti per il sortilegio va necessariamente affidato o alla fortuna o a una causa spirituale.

Se ci si affida alla fortuna, e ciò può accadere solo nella sorte divisoria, l'azione pare che non presenti altro vizio che quello di una certa leggerezza: come se alcuni, non riuscendo ad accordarsi nel dividere una certa cosa, decidessero di affidare la divisione al sorteggio, quasi affidando al caso la parte che ciascuno deve prendere.

Se invece si attende il giudizio del sorteggio da una causa spirituale, in certi casi c'è chi lo attende dai demoni: come si legge in Ezechiele [ Ez 21,21 ]: « Il re di Babilonia è fermo al bivio all'inizio delle due strade, per interrogare le sorti: agita le frecce, interroga gli dèi domestici, osserva il fegato ».

Ora, questi sortilegi sono illeciti e proibiti dai Canoni.

Altre volte invece il giudizio è atteso da Dio, secondo le parole dei Proverbi [ Pr 16,33 ]: « Nel grembo si getta la sorte, ma la decisione dipende tutta dal Signore ».

E tali sorteggi, come afferma S. Agostino [ Enarr. in Ps. 31,16 ], non sono riprovevoli.

Tuttavia anche in questi casi in quattro modi può insinuarsi la colpa.

Primo, se si ricorre alle sorti senza necessità: poiché ciò si riduce a tentare Dio.

Da cui le parole di S. Ambrogio [ In Lc 1, su 1,8 ]: « Chi viene eletto a sorte sfugge al giudizio umano ».

- Secondo, se uno, anche in caso di necessità, ricorre al sortilegio senza la debita riverenza.

Da cui le parole di S. Beda [ In Act. 1,26 ]: « Se qualcuno stretto dalla necessità pensa di ricorrere a Dio mediante le sorti, sull'esempio degli Apostoli, osservi che gli Apostoli si accinsero a ciò solo dopo aver radunato l'assemblea dei fratelli, e dopo aver pregato Dio ».

- Terzo, se i responsi divini vengono adoperati per gli interessi terreni.

Infatti S. Agostino scrive [ Epist. 55,20.37 ]: « Quanto a coloro che traggono le sorti dalle pagine del Vangelo, sebbene sia preferibile far questo che consultare i demoni, tuttavia a me dispiace questa consuetudine di volgere i divini oracoli agli interessi terreni, e alle vanità della vita presente ».

Quarto, se si ricorre al sorteggio nelle elezioni ecclesiastiche, che devono svolgersi sotto l'ispirazione dello Spirito Santo.

Per cui S. Beda [ l. cit. ] nota che « Mattia, ordinato prima della Pentecoste, fu scelto a sorte » perché nella Chiesa non era stata ancora infusa la pienezza dello Spirito Santo; « in seguito invece i sette diaconi furono chiamati all'ordinazione non a sorte, ma mediante la scelta dei discepoli ».

Diverso però è il caso delle cariche civili, che sono ordinate a disporre dei beni terreni, e nell'assegnazione delle quali spesso gli uomini ricorrono alle sorti, come anche nella spartizione dei beni temporali.

Tuttavia nei casi di urgente necessità è lecito chiedere mediante le sorti, con la debita riverenza, il giudizio di Dio.

Da cui le parole di S. Agostino [ Epist. 228 ]: « Se in tempo di persecuzione i ministri di Dio discutono su chi di essi debba rimanere e chi invece fuggire per evitare che la Chiesa rimanga abbandonata in seguito alla fuga o alla morte di tutti, se non si può finire diversamente la discussione, mi pare che si debba ricorrere al sorteggio, per stabilire chi deve fuggire e chi invece rimanere ».

E altrove [ De doctr. christ. 1,28.29 ] egli dice: « Se tu hai del superfluo da dare a chi non ha, e ti trovi nell'impossibilità di dare a due persone, nel caso che ti si presentassero due individui di cui né l'uno né l'altro può giustificare la tua preferenza, sia per l'indigenza, sia per qualche legame con te, non potresti fare nulla di più giusto che tirare a sorte la persona da beneficare con l'offerta che non puoi dare a entrambi ».

Analisi delle obiezioni:

1, 2. Sono così risolte anche la prima e la seconda obiezioni.

3. Il giudizio del ferro rovente o dell'acqua bollente ha lo scopo di investigare sul peccato occulto di una persona considerando il risultato di atti compiuti da qualcuno, e in ciò assomiglia al sortilegio; tuttavia per il fatto che qui si attende un effetto miracoloso da Dio, si va oltre i comuni termini del sortilegio.

Per cui questo giudizio è reso illecito sia perché è ordinato a giudicare cose occulte, riservate al giudizio di Dio, sia perché non è sanzionato dall'autorità divina.

Da cui la precisazione del Papa Stefano V [ cf. Decr. di Graz. 2,2,5,20 ]: « I sacri canoni non ammettono che si possa strappare ad alcuno la confessione ricorrendo alla prova del ferro rovente, o dell'acqua bollente; e quanto non è sancito dall'insegnamento dei Santi Padri non va preteso con superstiziose innovazioni.

Infatti a noi è concesso di giudicare i delitti confessati spontaneamente, o quelli accertati da testimoni sicuri, senza distogliere lo sguardo dal timor di Dio.

I peccati occulti o sconosciuti invece bisogna lasciarli a colui che "solo conosce il cuore dei figli degli uomini" ».

- E lo stesso si dica della legge del duello: con la sola differenza che qui ci si avvicina maggiormente al concetto ordinario del sorteggio, in quanto non ci si aspetta un effetto miracoloso; a meno che i duellanti non siano troppo sproporzionati per forza o abilità.

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