Summa Teologica - II-II

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Articolo 3 - Se nel gioco si possa peccare per eccesso

In 4 Ethic., lect. 16

Pare che nel gioco non si possa peccare per eccesso.

Infatti:

1. Ciò che può scusare da un peccato non può essere un peccato.

Ora, il gioco talora scusa dal peccato: poiché ci sono molte cose che se fossero compiute seriamente sarebbero gravi peccati, mentre invece se sono fatte per gioco sono peccati leggeri, o non lo sono affatto.

Quindi nel gioco non si può peccare per eccesso.

2. Tutti gli altri vizi si riducono ai sette capitali, come insegna S. Gregorio [ Mor. 31,45 ].

Ma eccedere nel gioco non si riduce a nessuno dei vizi capitali.

Quindi non è un peccato.

3. Chi più eccede nel gioco sono i giocolieri, i quali ordinano al gioco tutta la loro vita.

Ora, se l'eccesso nel gioco fosse un peccato, tutti i giocolieri sarebbero in peccato.

E peccherebbero anche, come fautori del vizio, tutti quelli che si servono della loro attività, o che fanno loro qualche elargizione.

Il che evidentemente è falso.

Si legge infatti nelle Vitae Patrum [ 8,63 ] che al [ monaco ] S. Pafnuzio fu rivelato che un giocoliere sarebbe stato alla pari con lui nella vita futura.

In contrario:

A proposito di quel testo dei Proverbi [ Pr 14,13 ]: « Anche fra il riso il cuore prova dolore, e la gioia può finire in lutto », la Glossa [ interlin. ] aggiunge: « nel lutto perpetuo ».

Ora, l'eccesso del gioco implica un riso smodato e una gioia scomposta.

Quindi tale eccesso è un peccato mortale, a cui è riservato il lutto perpetuo.

Dimostrazione:

In tutto ciò che può essere regolato dalla ragione si ha un eccesso quando si supera la norma della ragione, e si ha un difetto quando non si raggiunge tale norma.

Ora, sopra [ a. prec. ] abbiamo visto che le parole e gli atti scherzosi possono essere regolati dalla ragione.

Perciò l'eccesso del gioco sta nel non rispettare la regola della ragione.

E ciò può avvenire in due modi.

Primo, a motivo della natura stessa delle azioni nelle quali si cerca il divertimento; ed è appunto questo tipo di divertimento che Cicerone [ De off. 1,29 ] chiama « scortese, insolente, delittuoso e osceno »: quando cioè per gioco si ricorre a parole o ad atti turpi, oppure a cose che fanno male al prossimo, e che sono peccati mortali.

E allora è evidente che l'eccesso nel gioco è un peccato mortale.

Secondo, l'eccesso nel gioco può avvenire perché non si rispettano le debite circostanze: quando p. es. si insiste nel gioco in tempi o luoghi non adatti, oppure non si rispettano le convenienze delle cose e delle persone.

E anche questo eccesso talora può essere un peccato mortale, per la veemenza dell'affetto al gioco, per cui uno si spinge al punto di preferire il piacere di un divertimento all'amore di Dio, o di agire contro la legge di Dio e della Chiesa per non rinunziare a un gioco.

Talora invece è un peccato veniale: quando cioè non si è attaccati al gioco fino al punto di voler commettere a motivo di esso qualcosa contro la legge di Dio.

Analisi delle obiezioni:

1. Certe cose sono peccato solo per l'intenzione cattiva, cioè perché sono fatte in spregio di qualcuno; ma il gioco esclude questa intenzione, poiché mira al divertimento e non all'ingiuria altrui.

In questi casi dunque il gioco scusa dal peccato, o lo diminuisce.

- Ci sono invece delle cose che per loro natura sono peccati: come l'omicidio, la fornicazione e simili.

E queste non sono scusate dal gioco: anzi, a motivo di esse il gioco diviene « delittuoso e osceno ».

2. L'eccesso nel gioco rientra nella sciocca allegria, che S. Gregorio [ l. cit. nell'ob. ] mette tra le figlie della gola.

Infatti nell'Esodo [ Es 32,6 ] si legge: « Il popolo sedette per mangiare e per bere, poi si alzò per darsi al gioco ».

3. Il gioco, come si è detto [ a. prec. ], è un'esigenza della vita umana.

Ora, per ciascuna di queste esigenze può essere deputato un mestiere corrispondente.

Perciò anche l'arte dei giocolieri, che è ordinata a far divertire gli uomini, di per sé non è illecita, ed essi non sono in stato di peccato: purché non abusino del gioco, ricorrendo a parole o ad atti illeciti, o non badando alle circostanze e al tempo che non lo permettono.

E sebbene costoro nella società non abbiano altre mansioni, tuttavia rispetto a Dio e a se stessi esercitano anche altre funzioni serie e virtuose: p. es. pregano, regolano le loro passioni e i loro atti, e talora fanno anche l'elemosina ai poveri.

Perciò quelli che moderatamente li sovvenzionano non fanno un peccato, ma un atto di giustizia, dando ad essi la mercede che si meritano.

Pecca invece chi sperpera i suoi beni in tali cose, oppure sostenta quelli che fanno dei giochi illeciti, perché così li incoraggia a peccare.

Per cui S. Agostino [ In Ioh. ev. tract. 100 ] afferma che « regalare i propri beni agli istrioni è un vizio gravissimo ».

A meno che forse un simile giocoliere non sia in estrema necessità: perché allora bisogna sempre soccorrerlo.

Dice infatti S. Ambrogio [ Serm. in Lc 12,18 ]: « Nutri chi muore di fame.

Perché se tu, chiunque tu sia, puoi salvare un uomo sfamandolo, se non lo sfami lo uccidi ».

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