Summa Teologica - II-II

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Articolo 2 - Se le acconciature delle donne siano esenti dal peccato mortale

In Is., c. 3

Pare che le acconciature delle donne non siano esenti dal peccato mortale.

Infatti:

1. Tutto ciò che è contro un comando della legge divina è peccato mortale.

Ma l'acconciatura delle donne è contro un comando della legge divina, poiché sta scritto [ 1 Pt 3,3 ]: « L'ornamento delle donne non sia quello esteriore: capelli intrecciati, collane d'oro, sfoggio di vestiti ».

E S. Cipriano [ De habitu virg. 15 ] spiega: « Quelle che si vestono di seta e di porpora non possono sinceramente rivestirsi di Cristo; quelle che si ornano d'oro, di gemme e di gioielli hanno perduto l'abbigliamento dell'anima e del corpo ».

Ma ciò non avviene se non per un peccato mortale.

Quindi l'acconciatura delle donne non è esente dal peccato mortale.

2. Scrive ancora S. Cipriano [ ib. ]: « Non soltanto le vergini e le vedove, ma anche le maritate e tutte le donne devono essere sconsigliate dall'adulterare l'opera e la creazione di Dio, usando tinture bionde o polveri nere o rosse, o cambiando con qualsiasi ritrovato i lineamenti originali ».

E continua: « Quelle mani fanno violenza a Dio quando cercano di riformare ciò che egli ha formato.

Questo è un andare contro l'opera di Dio, è un tradire la verità.

Tu non potrai vedere Dio quando non hai più gli occhi che Dio ha fatto, ma quelli che il diavolo ha contraffatto: agghindata dal tuo nemico, brucerai insieme con lui ».

Ora, ciò non è dovuto che al peccato mortale.

Quindi le acconciature delle donne non sono esenti dal peccato mortale.

3. Come per una donna è indecente vestirsi da uomo, così è indecente fare uso di un abbigliamento esagerato.

Ma la prima di queste cose è peccaminosa, poiché sta scritto nel Deuteronomio [ Dt 22,5 ]: « La donna non si vestirà da uomo, né l'uomo da donna ».

Perciò l'abbigliamento esagerato delle donne è un peccato mortale.

In contrario:

Se così fosse, gli artigiani che preparano questi abbigliamenti commetterebbero un peccato mortale.

Dimostrazione:

A proposito delle acconciature delle donne vanno applicate le considerazioni fatte in generale sull'abbigliamento [ a. prec. ], aggiungendo questa particolarità: che l'abbigliamento della donna può provocare gli uomini all'impudicizia, come si legge nella Scrittura [ Pr 7,10 ]: « Ecco farglisi incontro una donna in vesti di prostituta e preparata a ingannare le anime ».

Tuttavia la donna può lecitamente industriarsi di piacere al proprio marito, per timore che questi la disprezzi e cada in adulterio.

Da cui le parole di S. Paolo [ 1 Cor 7,34 ]: « La donna sposata si preoccupa delle cose del mondo, come possa piacere al marito ».

Se quindi una donna sposata si abbellisce per piacere al marito, lo può fare senza peccato.

Invece le donne che non hanno marito, e non aspirano ad averlo, o sono in stato di non poterlo avere, non possono desiderare senza peccato di piacere sensualmente agli uomini: poiché questo è dare ad essi un incentivo a peccare.

Se quindi si acconciano con l'intenzione di provocare qualcuno alla concupiscenza, peccano mortalmente.

Se invece lo fanno per leggerezza, o anche per vanità e ostentazione, non sempre è peccato mortale, ma talvolta è veniale.

E la stessa considerazione vale per gli uomini.

Scriveva perciò S. Agostino a Possidio [ Epist. 245 ]: « Io non vorrei che tu fossi precipitoso nel proibire i gioielli e le vesti preziose; a meno che non si tratti di coloro che non sono coniugati, e che non desiderando di esserlo devono pensare solo a come piacere al Signore.

Gli altri invece pensano alle cose del mondo, e come piacere alle mogli, se sono mariti, o ai mariti, se sono mogli; che però le donne stiano a capo scoperto non è ammesso neppure per le maritate, secondo il comando dell'Apostolo, che ordina loro di velare il capo ».

Tuttavia anche qui può darsi che alcune siano scusate dal peccato se non lo fanno per vanità, ma a causa di un'usanza contraria: sebbene una simile usanza non sia lodevole.

Analisi delle obiezioni:

1. Come spiega la Glossa [ ord. ], « le mogli di coloro che erano nella tribolazione disprezzavano i loro mariti, e si abbellivano per piacere ad altri: ed è questo che l'Apostolo proibisce ».

E anche S. Cipriano parla di questa situazione; tuttavia egli non proibisce alle donne sposate di abbigliarsi per piacere ai mariti onde togliere ad essi e ad altre donne l'occasione di peccare.

L'Apostolo [ 1 Tm 2,9 ] infatti scrive: « Alla stessa maniera facciano le donne, con abiti decenti, adornandosi di pudore e di riservatezza, non di trecce, ornamenti d'oro, di perle o di vesti sontuose »; dal che si ricava che alle donne non è proibito l'abbigliamento sobrio e moderato, ma quello eccessivo, inverecondo e impudico.

2. Il trucco delle donne di cui parla S. Cipriano è una specie di falsificazione, che non può essere senza peccato.

Da cui le parole di S. Agostino [ Epist. 245 ]: « Truccarsi per apparire di carnagione più rosea o più bianca è una falsificazione e un inganno, col quale penso non vogliano essere ingannati neppure i mariti, in vista dei quali soltanto si può permettere, come concessione e non come comando, l'acconciatura delle donne ».

Tuttavia non sempre questo truccarsi è un peccato mortale, ma solo quando lo si fa per uno scopo lascivo, come accenna S. Cipriano, o per disprezzo di Dio.

Si deve poi notare che altra cosa è fingere una bellezza che non si possiede, altra è nascondere una bruttura provocata da una malattia o da altre cause.

Ciò infatti è lecito, poiché secondo l'Apostolo [ 1 Cor 12,23 ] « le membra del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di un maggiore rispetto ».

3. L'abbigliamento esterno deve essere adatto alla condizione di ogni persona secondo le comuni usanze, come si è detto [ a. prec. ].

Quindi di per sé è peccaminoso che una donna si vesta da uomo, e viceversa: specialmente perché ciò può essere causa di impudicizia.

Ed è espressamente proibito dalla legge antica perché i pagani ricorrevano a tali mutamenti di abiti nelle pratiche dell'idolatria.

- Tuttavia qualche volta ciò può essere fatto senza peccato per qualche necessità: o per sfuggire ai nemici, o per mancanza di altre vesti, o per altre circostanze del genere.

4. [ S. c. ]. Se c'è un mestiere che serve a fabbricare degli oggetti che non possono essere usati senza peccato, gli artigiani che vi lavorano commettono un peccato, poiché offrono ad altri direttamente l'occasione di peccare: tale è ad es. il caso di chi fabbrica gli idoli, o altri oggetti attinenti al culto idolatrico.

Se invece ci sono dei mestieri i cui prodotti possono essere usati bene o male, come le spade, le frecce e altre cose consimili, l'esercizio di questi mestieri non è un peccato: e soltanto questi a tutto rigore meritano il nome di mestieri, o di arti.

Da cui le parole del Crisostomo [ In Mt hom. 49 ]: « Si devono chiamare arti solo quelle che costruiscono e producono cose necessarie alla vita ».

- Se tuttavia un mestiere ha per oggetto cose di cui per lo più si abusa allora, sebbene esso di per sé non sia illecito, tuttavia, come insegna Platone [ Civit. 3,12 ], va proscritto dall'autorità civile.

Ora, siccome le donne possono abbigliarsi lecitamente, o per conservare il decoro del proprio stato, o per piacere ai loro mariti, è chiaro che gli artigiani che ne producono gli ornamenti non peccano nell'esercizio della loro arte; a meno che non esagerino nell'inventare acconciature inutili e ricercate.

Il Crisostomo [ l. cit. ] infatti afferma: « C'è molto da togliere anche nell'arte dei calzolai e dei tessitori.

Poiché essi hanno orientato verso il lusso, distruggendone la necessità, dei mestieri sani che hanno mescolato ad arti malvagie».

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