Summa Teologica - II-II

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Articolo 8 - Se i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi siano più perfetti dei religiosi

Quodl., 3, q. 6, a. 3; De perf. vitae spir., cc. 20 sqq.; In Matth., c. 19

Pare che i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi siano più perfetti dei religiosi.

Infatti:

1. Il Crisostomo [ De sac. 6,4 ] scrive: « Anche se tu mi presenti un monaco che sia, per modo di dire, un altro Elia, tuttavia egli non è da paragonarsi a colui che, dedicatosi al popolo e costretto a portare i peccati di molti, perseverà immobile e forte ».

E poco dopo [ n. 7 ] aggiunge: « Se mi si proponesse di scegliere tra il piacere a Dio nell'ufficio sacerdotale oppure nella solitudine monastica, senza dubitare affatto sceglierei il primo partito ».

E nel medesimo libro [ n. 5 ] si legge: « Se si confrontano con il sacerdozio bene amministrato i travagli della professione monastica, si troverà che queste due cose distano tra loro quanto un re da una persona privata ».

Quindi i sacerdoti in cura d'anime sono più perfetti dei religiosi.

2. S. Agostino [ Epist. 21 ] così scriveva a Valerio: « Consideri la tua religiosa prudenza che in questa vita, e specialmente ai nostri tempi, non c'è nulla di più difficile, penoso e laborioso dell'ufficio del vescovo, del sacerdote o del diacono; ma presso Dio non c'è niente di più splendido, se si combatte come comanda il nostro capo ».

Perciò i religiosi non sono più perfetti dei sacerdoti, o dei diaconi.

3. S. Agostino [ Epist. 60 ] afferma ancora: « Sarebbe molto deplorevole esporre i monaci a una perniciosa superbia, e imporre ai chierici un grave affronto », dicendo che « un cattivo monaco equivale a un buon chierico, poiché talora anche un buon monaco difficilmente arriva a fare un buon chierico ».

E poco prima aveva detto che « non si deve dare occasione ai servi di Dio », cioè ai monaci, « di pensare che essi saranno scelti più facilmente a una cosa migliore », cioè al chiericato, « diventando peggiori », cioè con l'abbandono della vita monastica.

Quindi chi è nello stato clericale è più perfetto dei religiosi.

4. Non è mai lecito passare da uno stato superiore a uno inferiore.

Ma dallo stato religioso è lecito passare all'ufficio di sacerdote in cura d'anime, come appare dal decreto di Papa Gelasio [ Decr. di Graz. 2,16,1,28 ]: « Se un monaco, venerabile per i suoi meriti, appare degno del sacerdozio, e l'Abate sotto il cui comando combatte per Cristo chiede che diventi sacerdote, il vescovo dovrà chiamarlo, e ordinarlo nel luogo che giudicherà opportuno ».

E S. Girolamo [ Epist. 125 ] scrive al monaco Rustico: « Vivi nel monastero in modo da meritare di essere chierico ».

Quindi i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi sono più perfetti dei religiosi.

5. I vescovi, come si è dimostrato [ a. 7 ], sono in uno stato più perfetto dei religiosi.

Ma i sacerdoti parroci e gli arcidiaconi, per il fatto che sono in cura d'anime, assomigliano ai vescovi più dei religiosi.

Quindi sono più perfetti di costoro.

6. Secondo Aristotele [ Ethic. 2,3 ] « la virtù ha per oggetto il bene arduo ».

Ora, è una cosa più ardua vivere bene nell'ufficio di parroco o di arcidiacono che nello stato religioso.

Quindi i parroci e gli arcidiaconi hanno una virtù più perfetta dei religiosi.

In contrario:

Nel Decreto [ di Graz. 2,19,2,2 ] si legge: « Se uno che regge il popolo in una chiesa sotto l'autorità del vescovo, vivendo da secolare, mosso dallo Spirito Santo vuole salvare se stesso in un monastero o tra i canonici regolari, allora egli è guidato da una legge personale, per cui nessun diritto può esigere che venga costretto dalla legge pubblica ».

Ora, uno non può essere mosso dalla legge dello Spirito Santo, che qui è chiamata « personale », se non a qualcosa di più perfetto.

Quindi i religiosi sono più perfetti degli arcidiaconi e dei parroci.

Dimostrazione:

La superiorità di una cosa su un'altra non risulta da ciò che le due cose hanno in comune, ma da ciò che le differenzia.

Ora, nei parroci e negli arcidiaconi si devono considerare tre cose: lo stato, l'ordine e l'ufficio.

Per lo stato essi sono secolari, per l'ordine sono sacerdoti o diaconi e per l'ufficio sono in cura d'anime.

Ora, se ad essi confrontiamo dei religiosi che siano diaconi o sacerdoti e in cura d'anime, come lo sono certi monaci e canonici regolari, allora questi ultimi sono superiori per lo stato e alla pari per il resto.

- Se invece questi ultimi differiscono dai primi per lo stato e per l'ufficio, ma convengono nell'ordine, come i religiosi sacerdoti e diaconi che non sono in cura d'anime, allora è evidente che i secondi rispetto ai primi sono superiori nello stato, inferiori nell'ufficio e uguali nell'ordine.

- Perciò bisogna considerare quale preminenza sia più importante: se quella dello stato o quella dell'ufficio.

In proposito si deve tener conto di due cose: della bontà e della obiezioni.

Se il confronto avviene sulla bontà, allora lo stato religioso va preferito all'ufficio di parroco o di arcidiacono: poiché il religioso impegna tutta la sua vita nell'acquisto della perfezione, mentre il sacerdote parroco e l'arcidiacono non impegnano tutta la loro vita nella cura delle anime, come fa invece il vescovo; e neppure hanno, come i vescovi, l'incombenza diretta e principale nella cura dei sudditi, ma al loro ufficio spettano solo delle mansioni particolari relative alla cura delle anime, come sopra [ a. 6, ad 2,3 ] si è spiegato.

Perciò lo stato religioso si trova a essere, nei confronti del loro ufficio, come un universale rispetto al particolare; o come l'olocausto rispetto al sacrificio, che stando alle spiegazioni di S. Gregorio [ In Ez hom. 20 ] è inferiore all'olocausto.

Da cui la prescrizione [ Decr. di Graz. 2,19,1,1 ]: « Il vescovo è tenuto a concedere la libertà di entrare in monastero ai chierici che lo desiderano, poiché costoro vogliono seguire una vita migliore ».

Però questa superiorità va intesa secondo il genere dell'opera: poiché secondo la carità degli operanti talora capita che un'opera inferiore per il suo genere sia più meritoria, essendo fatta con una maggiore carità.

Se invece si considera la obiezioni di condurre una vita santa in religione e in cura d'anime, allora è più difficile vivere bene in cura d'anime, dati i pericoli esterni; sebbene la vita religiosa sia più difficile quanto alla natura dei suoi atti, dato il rigore dell'osservanza regolare.

Se però i religiosi sono senza ordini sacri, come nel caso dei fratelli conversi, allora è evidente che la preminenza degli ordini eccelle in dignità: poiché con l'ordine sacro uno viene consacrato a ministeri nobilissimi, con i quali si serve a Cristo medesimo nel Sacramento dell'altare, per cui è richiesta una santità maggiore di quella richiesta dallo stato religioso: come infatti insegna Dionigi [ De eccl. hier. 6 ], « l'ordine monastico deve seguire gli ordini sacerdotali, e a loro imitazione elevarsi alle realtà divine ».

Perciò, a parità di condizioni, nel compiere un atto incompatibile con la santità un chierico ordinato pecca più gravemente di un religioso privo degli ordini sacri; sebbene il religioso laico sia tenuto alle osservanze regolari, a cui non è tenuto il chierico suddetto.

Analisi delle obiezioni:

1. A proposito di quei testi del Crisostomo si potrebbe rispondere brevemente che egli non parla del sacerdote parroco, ma del vescovo, da lui denominato « sommo sacerdote ».

E ciò in consonanza con il fine del suo libro, col quale si proponeva di consolare se stesso e Basilio del fatto che erano stati eletti vescovi.

Ma a parte questo, bisogna rispondere che egli fa una questione di obiezioni.

Infatti poco prima [ n. 6 ] aveva scritto: « Quando il pilota, trovandosi in mezzo ai flutti, è capace di salvare la nave dalla tempesta, allora merita da parte di tutti il titolo di perfetto pilota ».

E conclude con le parole riportate [ nell'ob. ], relative al monaco, il quale « non è da paragonare a colui che, dedicatosi al popolo, persevera immobile »; e ne porta la ragione: « perché sa governare se stesso nella tempesta come nella calma ».

Ora, da ciò non si può arguire se non che lo stato di chi è in cura d'anime è più pericoloso dello stato religioso: poiché conservarsi innocenti nel pericolo è un indizio di maggiore virtù.

Ma è un indizio di grande virtù anche l'entrare in religione per evitare i pericoli.

Perciò egli non dice che « preferirebbe essere nell'ufficio sacerdotale piuttosto che nella solitudine monastica », ma che « preferirebbe piacere [ a Dio ] in tale ufficio », poiché ciò è un indizio di maggiore virtù.

2. Anche questo testo di S. Agostino si riferisce alla obiezioni, o arduità, che è un indizio di maggiore virtù in coloro che la sanno superare, come si è detto [ ad 1 ].

3. S. Agostino paragona qui i monaci ai chierici quanto alla differenza degli ordini sacri, non quanto alla differenza fra stato religioso e vita secolare.

4. Coloro che sono assunti alla cura delle anime dallo stato religioso essendo già ordinati, acquistano certamente qualcosa che prima non avevano, vale a dire il nuovo ufficio, ma non lasciano quanto avevano già, cioè lo stato religioso: infatti nel Decreto [ di Graz. 2,16,1,3 ] si legge: « Quanto al monaco che, dopo essere vissuto a lungo nel monastero, diventa chierico assumendo gli ordini sacri, ordiniamo che non abbandoni il proposito precedente ».

Invece i preti parroci e gli arcidiaconi, quando entrano in religione, depongono il loro ufficio per conseguire lo stato di perfezione.

Ciò dimostra dunque la superiorità della vita religiosa.

Quando poi dei religiosi laici vengono assunti agli ordini sacri, è chiaro che sono promossi a qualcosa di superiore, come si è detto [ nell'ob. e nel corpo ].

E ciò appare anche dalle parole di S. Girolamo: « Vivi nel monastero in modo da meritare di essere chierico ».

5. I parroci e gli arcidiaconi sono più dei religiosi simili ai vescovi sotto un certo aspetto, cioè quanto alla cura delle anime, che è loro affidata in modo subordinato.

Quanto però all'obbligo perpetuo richiesto dallo stato di perfezione sono più simili ai vescovi i religiosi, come si è già dimostrato [ aa. 5,6 ].

6. Le obiezioni dovute all'arduità di un'opera contribuiscono alla grandezza della virtù, ma le obiezioni provenienti dagli impedimenti esterni talora ne diminuiscono l'eccellenza, come quando uno non ama la virtù fino a evitarne gli ostacoli, secondo le parole di S. Paolo [ 1 Cor 9,25 ]: « Ogni atleta è temperante in tutto ».

Talora dunque l'esistenza delle obiezioni è indizio di una virtù perfetta: per es. quando uno in casi imprevisti o per cause inevitabili incontra ostacoli alla virtù, e tuttavia non la abbandona.

Ora, nello stato religioso vi sono maggiori obiezioni a motivo dell'eccellenza delle opere da praticare, mentre per quelli che vivono nel mondo in qualsiasi modo la maggiore obiezioni nasce da quegli ostacoli alla virtù che i religiosi provvidamente hanno evitato.

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