Summa Teologica - II-II

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Articolo 8 - Se i religiosi promossi all'episcopato siano tenuti alle osservanze regolari

Supra, q. 88, a. 11, ad 4; In 4 Sent., d. 38, q. 1, a. 4, sol. 1, ad 5

Pare che i religiosi promossi all'episcopato non siano tenuti alle osservanze regolari.

Infatti:

1. Nei Canoni [ Decr. di Graz. 2,18,1,1 ] si legge che « l'elezione canonica scioglie il monaco dal giogo della regola monastica, e la sacra ordinazione ne fa un vescovo ».

Ora, le osservanze regolari rientrano nel giogo della regola.

Quindi i religiosi che sono assunti all'episcopato non sono tenuti alle osservanze regolari.

2. Chi ascende a un grado superiore non è più tenuto agli obblighi del grado inferiore: il religioso, p. es., non è tenuto a osservare i voti fatti nella vita secolare, come sopra [ q. 88, a. 12, ad 1 ] si è visto.

Ma il religioso assunto all'episcopato ascende a un grado superiore, stando alle spiegazioni date [ q. 184, a. 7 ].

Perciò egli non è più obbligato alle osservanze dello stato religioso.

3. Gli obblighi più importanti della vita religiosa sono l'obbedienza e la povertà.

Ma i religiosi assunti all'episcopato non sono più tenuti a ubbidire ai prelati del loro ordine: poiché sono superiori ad essi.

E neppure sono tenuti alla povertà: poiché, come dice il Decreto [ di Graz., l. cit. ], « il monaco creato vescovo dalla sacra ordinazione può reclamare a norma del diritto l'eredità paterna ».

Inoltre talora viene ad essi concesso di fare testamento.

Molto meno, dunque, sono tenuti alle altre osservanze regolari.

In contrario:

Nel Decreto [ di Graz. 2,16,1,3 ] si legge: « Riguardo ai monaci che dopo essere vissuti a lungo in monastero sono stati assunti allo stato clericale, ordiniamo che essi non debbono recedere dal proposito precedente ».

Dimostrazione:

Secondo le cose già dette [ a. 1, ad 2 ], lo stato religioso sta alla perfezione come la via che ad essa conduce, mentre lo stato episcopale sta alla perfezione come un certo magistero di perfezione.

Per cui lo stato religioso sta allo stato episcopale come il tirocinio scolastico all'insegnamento, e la disposizione alla perfezione correlativa.

Ora, la disposizione non viene eliminata al sopraggiungere della perfezione; se non forse in ciò che è incompatibile con la perfezione stessa, mentre in ciò che si accorda con la perfezione si ha piuttosto un potenziamento.

Come uno studente giunto al magistero non è più tenuto ad andare a scuola, ma è tenuto a leggere e a meditare, anche più di prima.

Così dunque tra le osservanze regolari ce ne sono alcune che non impediscono l'ufficio pastorale, ma servono piuttosto a salvaguardare la perfezione, come la continenza, la povertà e simili: ad esse il religioso è tenuto anche dopo l'elezione a vescovo; ed è obbligato a portare l'abito della sua religione, che è il segno esterno dell'obbligo suddetto.

Se invece tra le osservanze regolari ve ne sono alcune che risultano incompatibili con l'ufficio pastorale, come la solitudine, il silenzio e certe gravi astinenze o vigilie che rendono il corpo incapace di attendere al proprio ufficio, allora il vescovo non è tenuto a tali osservanze.

Tuttavia anche rispetto alle altre osservanze egli può usare della dispensa, secondo le necessità della sua persona o del suo ufficio o la condizione degli uomini con cui vive, come anche i prelati dei vari ordini fanno con se stessi.

Analisi delle obiezioni:

1. Chi da monaco è fatto vescovo viene sciolto dal giogo della professione monastica non in tutto, ma solo in ciò che è incompatibile con l'ufficio pastorale, come si è spiegato [ nel corpo ].

2. I voti fatti nella vita secolare stanno ai voti religiosi come un singolare sta all'universale, secondo le spiegazioni date [ q. 88, a. 12, ad 1 ].

Invece i voti religiosi stanno alla dignità episcopale come la disposizione sta alla perfezione.

Ora, mentre il singolare diviene superfluo in presenza dell'universale, la disposizione è necessaria anche dopo che si è conseguita la perfezione.

3. Che i vescovi religiosi non siano tenuti a ubbidire ai prelati del loro ordine è un fatto accidentale, avendo essi cessato di essere sudditi, come del resto gli stessi superiori religiosi.

L'obbligazione del voto dunque rimane virtualmente: cioè nel senso che costoro sarebbero tenuti a ubbidire se venisse loro preposto un superiore legittimo; poiché sono tenuti a ubbidire alle disposizioni della regola nel modo indicato [ nel corpo ], e ai loro superiori, nel caso che li abbiano.

In nessun modo però hanno la facoltà di possedere personalmente.

Infatti non reclamano l'eredità paterna come una cosa propria, ma come un bene della Chiesa.

Il Decreto [ l. cit. nell'ob. ] infatti aggiunge che, « una volta ordinato, il vescovo deve restituire all'altare per cui è stato ordinato ciò che avesse potuto acquistare ».

In nessun modo poi il vescovo religioso può fare testamento, poiché a lui è affidata la sola amministrazione dei beni ecclesiastici, che finisce con la morte, a partire dalla quale comincia a valere il testamento, come dice l'Apostolo [ Eb 9,16s ].

E se fa testamento per concessione del Papa non si deve intendere che egli lo faccia dei propri beni, ma piuttosto che il potere della sua amministrazione viene esteso per autorità apostolica in modo che possa valere dopo la morte.

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