Summa Teologica - III

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Articolo 6 - Se in Cristo ci fosse la tristezza

In 3 Sent., d. 15, q. 2, a. 2, sol. 1, expos.; De Verit., q. 26, a. 8; Comp. Theol., c. 232; In Matth., c. 26

Pare che in Cristo non ci fosse la tristezza.

Infatti:

1. Isaia [ Is 42,4 Vg ] dice di Cristo: « Non sarà triste né turbolento ».

2. Nei Proverbi [ Pr 12,21 Vg ] si legge che « il giusto non si rattrista mai, qualunque cosa gli accada ».

E gli Stoici spiegavano questo fatto dicendo che ci si rattrista soltanto della perdita dei propri beni, e d'altra parte il giusto considera suoi beni solo la giustizia e la virtù, che non può perdere.

Altrimenti il giusto sarebbe in balìa della fortuna, se si rattristasse per la perdita dei beni di fortuna.

Ma Cristo era sommamente giusto, secondo le parole di Geremia [ Ger 23,6 ]: « Questo sarà il nome con cui lo chiameranno: Signore nostra giustizia ».

Quindi non c'era in lui la tristezza.

3. Il Filosofo [ Ethic. 7,13 ] asserisce che ogni tristezza è « un male e da fuggirsi ».

Ma in Cristo non c'era alcuna cosa cattiva o da fuggirsi.

Quindi in Cristo non c'era la tristezza.

4. S. Agostino [ De civ. Dei 14, cc. 6,15 ] dice che « la tristezza ha per oggetto le cose che accadono contro la nostra volontà ».

Ma Cristo non ha sofferto nulla contro la sua volontà, poiché sta scritto [ Is 53,7 ]: « È stato immolato perché egli stesso lo ha voluto ».

Quindi in Cristo non c'era la tristezza.

In contrario:

Il Vangelo [ Mt 26,38 ] attesta queste parole del Signore: « La mia anima è triste fino alla morte ».

E S. Ambrogio [ De Trin. 2,7 ] scrive: « Ebbe la tristezza come uomo: prese infatti la mia tristezza.

E senza esitazione dico tristezza, poiché predico la croce ».

Dimostrazione:

Come si è detto sopra [ a. prec., ad 3 ], il gaudio della contemplazione di Dio per intervento della potenza divina era così circoscritto nell'anima di Cristo da non giungere alle facoltà sensitive e da non impedire quindi il dolore sensibile.

Ma come il dolore sensibile, così anche la tristezza ha sede nell'appetito sensitivo, con una differenza però quanto al motivo od oggetto.

Infatti l'oggetto e il motivo del dolore è una lesione percepita dal tatto, per esempio una ferita.

Invece l'oggetto e il motivo della tristezza è un danno o un male percepibile interiormente con la ragione o con l'immaginazione, come si è visto nella Seconda Parte [ I-II, q. 35, aa. 2,7 ]: come la tristezza di aver perso la grazia o il danaro.

Ora, l'anima di Cristo poteva percepire interiormente qualcosa di nocivo per sé, come la passione e la morte, e per gli altri, come il peccato dei discepoli, o dei Giudei che lo uccidevano.

Quindi come in Cristo ci poteva essere un vero dolore, così ci poteva essere una vera tristezza: diversamente però da noi, per quelle tre ragioni già ricordate quando abbiamo parlato della passibilità di Cristo [ a. 4 ].

Analisi delle obiezioni:

1. La tristezza in Cristo va negata come passione vera, ma non come propassione.

Il Vangelo [ Mt 26,37 ] dice infatti che « cominciò a provare tristezza e angoscia ».

Ora altro è rattristarsi, altro cominciare a rattristarsi, come osserva S. Girolamo [ In Mt 4, ib. ].

2. Come scrive S. Agostino [ De civ. Dei 14,8 ], « gli Stoici al posto dei tre turbamenti dell'animo », cioè del desiderio, del godimento e del timore, « ponevano nell'animo del sapiente tre eupatie », o buone passioni, cioè « la volontà al posto del desiderio, il gaudio al posto del godimento, la prudenza al posto del timore.

Ma non ammettevano che ci potesse essere qualcosa nell'animo del sapiente al posto della tristezza, poiché essa viene sentita per un male che è già accaduto, e d'altra parte nessun male, dicono, può accadere al sapiente ».

E questo perché giudicavano buono solo ciò che è onesto e che rende buoni, cattivo invece solo ciò che è disonesto e che rende cattivi.

Ora, per quanto sia vero che l'onestà è il bene principale dell'uomo e la disonestà il suo male principale, trattandosi di cose che riguardano la ragione, che è l'elemento primario dell'uomo, tuttavia esistono dei beni umani secondari che riguardano il corpo stesso, o cose esterne utili al corpo.

Ora, in base a ciò può sorgere nell'animo del sapiente la tristezza dalla parte dell'appetito sensitivo per la percezione di questi mali: senza però che tale tristezza turbi la ragione.

E in questo senso è vero che « il giusto non si rattrista mai, qualunque cosa gli accada », poiché nessun avvenimento turba la sua mente.

E così la tristezza si trovava in Cristo come propassione, non come passione.

3. La tristezza è sempre una pena, ma non sempre è una colpa: lo è infatti soltanto quando nasce da un sentimento disordinato.

Per cui scrive S. Agostino [ De civ. Dei 14,9 ]: « Se queste passioni obbediscono alla retta ragione e vengono adoperate quando e dove occorre, chi oserebbe chiamarle ancora morbose o viziose? ».

4. Ciò che per se stesso è contrario alla volontà può essere voluto come mezzo per un determinato fine: come una medicina amara non è voluta per se stessa, ma solo in quanto è un mezzo per guarire.

E similmente la morte e la passione di Cristo, considerate in se stesse, ripugnavano alla sua volontà e gli causavano tristezza; e tuttavia come mezzi per il fine della redenzione del genere umano erano volontarie.

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