Supplemento alla III parte

Indice

Articolo 4 - Se le opere compiute senza la carità meritino almeno qualche bene temporale

Pare che le opere compiute senza la carità meritino almeno qualche bene temporale.

Infatti:

1. Come la pena sta all'atto cattivo, così il premio sta all'atto buono.

Ma nessun atto cattivo rimane impunito presso Dio « giusto giudice » [ 2 Tm 4,8 ].

Quindi nessun atto buono rimane senza rimunerazione.

Quindi con tale atto si merita qualcosa.

2. La ricompensa non viene data che per un merito.

Ora, per le opere fatte senza la carità viene data una ricompensa: poiché così si esprime il Vangelo [ Mt 6,2.5.16 ] a proposito di coloro che compiono le opere buone per la gloria umana: « Hanno già ricevuto la loro ricompensa ».

Perciò tali opere furono meritorie di qualche bene.

3. Due peccatori, di cui l'uno compie molte opere buone, sia per il loro oggetto che per la loro circostanza, e l'altro nessuna, non sono ugualmente preparati a ricevere i beni di Dio: altrimenti al primo non bisognerebbe consigliare di fare del bene.

Ma chi più si avvicina a Dio percepisce più abbondantemente i suoi beni.

Quindi costui merita qualcosa da Dio con le opere buone che compie.

In contrario:

1. S. Agostino [ Ambrosiaster, in Tt 1,15 ] afferma che « il peccatore non è degno del pane che mangia ».

Egli quindi non può meritare nulla da Dio.

2. Chi è nulla non può meritare nulla.

Ma il peccatore, non avendo la carità, « è nulla » nell'ordine delle realtà spirituali, come afferma S. Paolo [ 1 Cor 13,2 ].

Quindi non può meritare nulla.

Dimostrazione:

Propriamente si dice merito l'azione [ o disposizione ] per cui a colui che agisce è giusto che si dia qualcosa.

Ma della giustizia si può parlare in due modi.

Primo, in senso proprio: considerando il dovuto dalla parte di chi deve riceverlo.

Secondo, in senso quasi metaforico, considerando il dovuto dalla parte di chi deve accordarlo: infatti un compenso può essere opportuno dalla parte di chi deve darlo, senza tuttavia che chi deve riceverlo ne abbia un vero diritto.

E in questo senso la giustizia può definirsi « ciò che si addice alla bontà divina »: per cui S. Anselmo [ Proslog. 10 ] afferma che « Dio è giusto quando perdona ai peccatori, poiché ciò gli si addice ».

E in base a ciò vengono indicati due tipi di merito.

Primo, l'atto per cui chi agisce ha personalmente il diritto di ricevere.

E questo è il merito de condigno.

Secondo, l'atto in virtù del quale colui che dà è tenuto a dare secondo la convenienza della sua bontà.

E questo merito viene denominato de congruo.

Ora, siccome il primo motivo della donazione di quei beni che sono offerti gratuitamente è l'amore, è impossibile che possa acquistare un diritto su di essi uno che sia escluso dall'amicizia.

E poiché tutti i beni, sia temporali che eterni, vengono dati dalla liberalità divina, nessuno può acquistare il diritto di riceverne senza la carità verso Dio.

Di conseguenza le opere compiute senza la carità non meritano de condigno presso Dio né il bene eterno, né i beni temporali.

Ma poiché si addice alla bontà divina condurre a perfezione tutte le buone disposizioni, si dice che alcuni meritano qualcosa con le opere buone fatte senza la carità.

E in questo senso tali opere valgono a ottenere tre tipi di beni: i beni temporali, la disposizione alla grazia e l'abitudine a fare del bene.

Siccome però non si tratta di merito in senso proprio, è più giusto dire che queste opere non meritano nulla piuttosto che dire che meritano qualcosa.

Analisi delle obiezioni:

1. Il figlio, come nota il Filosofo [ Ethic. 8,14 ], con tutto ciò che può fare non può rendere a suo padre nulla di uguale a ciò che ne ha ricevuto, per cui il padre non può mai diventare debitore del figlio.

Ora, molto meno l'uomo è in grado di rendere Dio suo debitore con un'opera equivalente.

Quindi nessuna delle nostre opere per la grandezza della sua bontà può pretendere di meritare qualcosa, ma ciò è dovuto alla carità, che rende comuni le cose appartenenti agli amici.

Quindi, per quanto grande sia l'opera buona compiuta senza la carità, essa non può far sì che uno acquisti presso Dio, in senso proprio, il diritto a riceverne un compenso.

Invece un'opera cattiva merita una pena equivalente per la gravità della propria malizia: poiché le azioni cattive non sono, come quelle buone, dei doni di Dio.

Sebbene quindi una cattiva azione meriti de condigno la pena, tuttavia senza la carità l'opera buona non merita de condigno il premio.

2, 3. La seconda e la terza obiezioni valgono per il merito de congruo.

Le altre ragioni [ s. c. ] valgono invece per il merito de condigno.

Indice