Pietro Bagna

Il calvario della malattia

Alla Casa di Carità, Bagna esercitò la "missione laica" di docente per circa un ventennio.

A partire dal 1948 prese ad insegnare Religione e Cultura nelle classi serali e festive e, tra sospensioni e riavvii, portò avanti la sua collaborazione sino al 1966, anno in cui sospese in via definitiva la propria attività a causa dei postumi di un esaurimento nervoso che lo aveva gravemente indebolito.

Prima di questo tragico evento ( 1960 ), il suo già intenso ritmo di lavoro era stato ulteriormente appesantito dalle lezioni tenute, presumibilmente tra il 1958 ed il 1960, presso la scuola serale delle Vallette ( attività completamente gratuita, nonostante l'avviso contrario del padre ).

Questa nuova incombenza diede il colpo di grazia alla sua già fragile costituzione.

Il padre, ad un certo punto, resosi conto del suo progressivo deperimento psico-fisico cercò di metterlo in guardia da pericolosi sovraccarichi di lavoro, ma Piero, preso com'era da una catena di impegni sempre più urgenti, non sentiva ragione.

" Purtroppo si assunse anche l'onere di insegnare in una scuola pubblica ( ovviamente serale ) delle Vallette.

Ma quei "delinquenti" di allievi gli hanno rovinato la salute.

Mio padre ha lottato duramente per distoglierlo da quel lavoro, ma Piero si è sempre rifiutato di cedere alla stanchezza, cocciuto com'era.

Alla sera, dopo cena, doveva prendere il tram per arrivare fin laggiù dove lo attendevano nuovi affanni e questo ennesimo sforzo è stata la classica goccia che ha fatto traboccare il vaso. " ( Teresio Bagna )

Del resto la sua salute era sempre stata molto delicata: tra i venti ed i trent'anni aveva sopportato dolori continui alla spina dorsale, dovuti ad un misterioso "mal di schiena" che spesso lo costringeva a letto.

Tali disturbi col tempo scomparvero, ma ne sopraggiunsero altri legati all'affaticamento da lavoro.

Erano i prodromi, spesso non compresi nella loro reale gravità, dell'"atrofia cerebrale diffusa", ovvero di un decadimento neurologico che avrebbe gradualmente invalidato tutte le sue facoltà psico-motorie.

Già nel 1949, in seguito ad un grave affaticamento, Pietro Fonti aveva dovuto sostituirlo alla Teofilo Rossi; in seguito, la presenza alla Casa di Carità ( 1948-1966 ) sarà scandita da due sospensioni dell'attività didattica motivate, a quanto pare, dai suoi ricorrenti malesseri.

La prima sosta forzata risale al periodo 1955-1956; l'anno seguente Piero tentò di riprendere l'insegnamento e, a costo di grandi sacrifici, tenne duro fino al 1959, quindi fu costretto a chiedere un nuovo periodo di sospensione per motivi di salute.

Nel 1960 questo rosario di spine culminò con un grave esaurimento nervoso che lo portò a trascorrere un anno di riposo a Val della Torre, presso la canonica del parroco Don Bergera, dal quale Don Giuseppe Marocco, noto docente del Seminario di Torino e cognato di Vittorio Bagna, aveva ottenuto la disponibilità di due camere.

Qui il Catechista, accompagnato dai genitori, ritrovò la quiete agognata, ma non riuscì a liberarsi del tutto da uno stato di depressione latente.

Come accennato, queste erano solo le amare avvisaglie di futuri e assai più gravi sconquassi fisici che lo avrebbero piegato per sempre.

Se bene o male l'insegnamento presso l'Alessandro Manzoni si prolungò fino alla metà degli anni '70, già col biennio scolastico '63-'64 /'65-'66 la sua presenza alla Casa di Carità giunse al termine.

Superato questo tormentato periodo, Piero era tornato più volte con la mente alle giovanili ambizioni che lo avrebbero voluto sacerdote o missionario in qualche remota regione del pianeta, ma i genitori lo avevano pregato di desistere e lui non si era sentito di abbandonarli al loro destino, specie la madre che, dopo il matrimonio degli altri due figli e la scomparsa del marito avvenuta nel 1968, temeva di essere lasciata anche dal primogenito.

D'altro canto, l'intenzione di intraprendere una vita religiosa più ritirata, una volta andato in pensione, ( idea probabilmente ispirata dall'esempio di Carlo Carretto col quale aveva intrattenuto una significativa corrispondenza ) sfumò definitivamente a causa di una serie di sventure che misero a durissima prova la sua tempra di consacrato.

Nel 1974 anche la madre era passata a miglior vita abbandonandolo proprio nel periodo più critico della sua esistenza, quando cioè dovette imparare a convivere con quella "atrofia cerebrale diffusa" che lo avrebbe privato completamente di ogni normale relazione col prossimo.

Don Carlo Quaglia, che fu parroco di Sant'Alfonso tra il 1968 ed il 1985, all'inizio degli anni '70 riconobbe in Piero qualche labile segno di depressione, ma certo non pensava ad una malattia neurologica, anzi vedeva nella crescente angoscia del Catechista l'indice di una certa fragilità psicologica.

In verità, Piero percepiva distintamente l'inesorabile peggioramento della propria condizione mentale e questa consapevolezza lo angustiava profondamente.

" Fin da quando mi frequentava, presentava dei sintomi di smarrimento: all'improvviso gli veniva meno la parola e non riusciva più ad articolare i suoi pensieri.

Io ingenuamente pensavo che qualche gita in montagna fosse sufficiente a calmare queste crisi nervose, poi la cosa si è aggravata finché non è arrivato il colpo di grazia dell'ictus.

Lui inizialmente reagiva con ottimismo a questa progressiva debilitazione, in seguito ha cominciato a preoccuparsi seriamente.

Pensavo che lo facesse per eccessivo scrupolo personale e così lo incoraggiavo a riprendersi, per recuperare un minimo di equilibrio.

Piero non guidava l'auto, perciò, quando cominciò a dare i primi segni della malattia, lo portavo talvolta in gita nelle valli di Cuneo, del Pinerolese, in Valle d'Aosta, per farlo evadere un po' dal grigiore metropolitano.

Durante le inevitabili soste che cadenzavano queste escursioni, approfondivamo varie tematiche spirituali.

Quando il sentiero si faceva troppo aspro lo lasciavo presso la chiesa di qualche località più a valle, non so … a Limone Piemonte o a San Dalmazzo di Tenda; quindi facevo la mia brava scarpinata in alta montagna e al mio rientro mangiavamo qualcosa assieme.

Lui non era propenso a camminare troppo, io, invece avevo una vera passione per le escursioni.

Dopo essere rientrati, alla sera, si teneva ancora qualche riunione coi viceparroci durante le quali si svolgevano altre riflessioni, finché Bagna ci salutava." ( Don Carlo Quaglia ).

Dopo la morte della madre, Piero, grazie alla collaborazione di Leonardo Rollino, prese in affitto un piccolo alloggio di due vani in via Campiglia 7 dove, dal 19 marzo 1969, aveva sede il "Convitto" dell'Unione che allora comprendeva sei appartamenti.

Le Costituzioni dell'Istituto secolare, infatti, raccomandavano questa forma di convivenza per i Catechisti rimasti soli, anche perché oltre a favorire una proficua collaborazione reciproca, "permetteva di sviluppare, al di fuori del lavoro e dell'apostolato, lo spirito di "fraternità" più volte caldeggiato da Fr. Teodoreto" ( L. Rollino ).

Nel frattempo, però, la salute del Catechista subiva nuovi colpi: agli strascichi del vecchio esaurimento nervoso si andava sommando una grave forma di ipertensione che in pochi mesi gli avrebbe procurato gravissimi problemi circolatori.

L'episodio più drammatico si verificò nel 1975 quando, durante un soggiorno estivo a Baldissero, alla presenza di un gruppo di Catechisti e di alcuni giovani, Piero venne colpito da un ictus degenerativo progressivo, un male cerebrale estremamente insidioso che avrebbe minato in modo irreparabile la sua già compromessa integrità psicofisica.

Il catechista Roggero ricorda come Bagna frequentasse con grande piacere il "Centro di Vita Spirituale" ( più noto come "la Sorgente" ) avviato da Claudio Brusa a Baldissero, trovandovi compagnia e un valido sollievo a quel senso di smarrimento e solitudine che da qualche tempo - specie dopo la scomparsa dei genitori - rischiava di separarlo completamente dal resto del mondo.

Bagna, pur non avendo pratica di pentole e fornelli cercò di dare il suo contributo in cucina e si adattò a pelar patate, a pulire la verdura, a preparare l'occorrente per i momenti conviviali.

Insomma, disponibile com'era, scendeva dallo scranno professorale, metteva da parte la cultura e la pedagogia e improvvisava la sua corvèe cucina come una recluta di primo pelo.

Sono cose facili a dirsi, ma che a molti laici comuni, gelosi della propria autorevolezza e reputazione professionale, costerebbero più di un occhio della testa.

Bagna le accettava senza sforzo proprio perché guardava al comando dell'umiltà con una fedeltà fattiva, per nulla astrusa, ma anzi quasi ansiosa di imitare in tutto lo stile francescano di Fra Leopoldo, cuoco di professione.

Questo quadro idilliaco fu rotto da un evento che per la gravità delle conseguenze ricorda, in parte, l'incidente stradale occorso al Catechista Brusa.

Una mattina come tante altre, Roggero si recò a Chieri a far la spesa.

Al ritorno incrociò sulla strada un'ambulanza che procedeva nella direzione opposta a gran velocità e i primi sospetti cominciarono a farsi strada nella sua mente.

Infine la conferma: Bagna era stato colto da un malore improvviso e ricoverato d'urgenza all'ospedale di Chieri.

" Anni prima aveva avuto un esaurimento nervoso che cercò di curare Val della Torre, dove mio padre l'aveva portato nella speranza di ravvivarlo un po', ma era subentrata quasi subito una grave depressione.

Tutto è peggiorato in seguito all' ictus.

Era con un gruppo di giovani e doveva recarsi a Baldissero sotto un sole cocente.

Ha cominciato a sudare a più non posso - del resto si era appesantito parecchio, sfiorava i 90 chili - e a quel punto l'ictus lo ha stroncato.

È stato ricoverato all'ospedale di Chieri dove i medici, piuttosto indecisi sul da farsi, ci dissero: "dobbiamo aspettare perché al momento non è operabile"." ( Teresio Bagna )

I legami tra l'ipertensione, l'ictus e la cosiddetta "atrofia cerebrale diffusa" sono noti da tempo alla comunità scientifica.

Tuttavia, negli anni '70, la prevenzione sistematica dei problemi legati alla pressione alta e la tomografia assiale computerizzata ( TAC ) - che permette di rilevare i danni neurologici - non erano certo all'ordine del giorno.

Diagnosi confuse e terapie inadeguate peggiorarono una realtà di per sé già molto critica.

Per Bagna l'ictus segnò l'inizio di una progressiva paralisi ( l'"atrofia cerebrale", per l'appunto ) che, con sviluppi lenti ma micidiali, avrebbe incatenato la sua anima dentro un corpo ormai sfuggito al controllo della volontà.

La situazione si fece subito talmente critica che il fratello Teresio, per alimentare Piero, doveva preoccuparsi di imboccarlo personalmente; in seguito, essendo impossibilitato ad accudirlo giorno per giorno, fu costretto ad assumere un assistente.

Ma la tragedia era solo agli esordi: Piero resterà inchiodato ad un letto per 11 lunghi anni senza poter svolgere alcuna attività.

Se il corpo non rispondeva più agli stimoli, d'altro canto la mente rimaneva perfettamente lucida: possiamo immaginare lo sgomento di una persona autosufficiente e inserita a pieno titolo nella società, che si ritrova improvvisamente costretta a dipendere in tutto e per tutto da perfetti estranei.

La degenza presso l'ospedale di Chieri durò qualche tempo, finché i primari comunicarono ai parenti l'impossibilità di ospitarlo ulteriormente: in pratica, non essendoci più nulla da fare, Bagna veniva congedato in qualità di "incurabile" e invitato a trovare accoglienza presso qualche casa di cura per malati cronici.

Ha inizio così una penosa peregrinazione che costringerà il paziente a subire una snervante trafila di trasferimenti, prima di trovare una sistemazione adeguata.

Nell'ordine seguiranno: ospedale di Chieri, clinica psichiatrica di Trofarello, Villa Patrizia a Piossasco, Convitto dei Catechisti di via Campiglia, Ospedale Cottolengo.

Non sempre la sua degenza fu serena, anzi.

Nella clinica di Trofarello il povero Bagna venne aggredito fisicamente, riportando una serie di vistose tumefazioni al viso.

Neanche i medici andavano tanto per il sottile: in presenza delle crisi che accompagnavano il decorso della malattia, il paziente veniva legato al letto senza tanti complimenti.

Il fratello Teresio ed il Catechista Rollino, si resero ben presto conto della situazione osservando i segni profondi impressi sui polsi e sulle caviglie di Piero; a questo fatto va aggiunta la grave situazione d'isolamento che doveva sopportare: le visite erano ammesse solo la domenica, di conseguenza era costretto a rimanere solo per il resto della settimana.

" I medici dell'ospedale di Chieri tentarono in tutti i modi di abbassargli la pressione del sangue con una terapia d'urto perfino eccessiva.

Dopo averlo imbottito di tranquillanti restarono a corto di argomenti e, in modo forse un po' superficiale, ci consigliarono di farlo ricoverare presso una clinica psichiatrica di Trofarello, dove rimase per un mesetto.

Quando Teresio Bagna ed io entrammo in quel posto notammo la presenza delle "stanze di sicurezza", con tanto di oblò e la cosa ci lasciò perplessi.

Inoltre ci venne imposto un orario di visita molto limitato ( un giorno alla settimana ).

Quando siamo tornati a trovarlo, Piero aveva il volto coperto di lividi ed i polsi segnati dai legacci: roba da denuncia.

A quel punto, di fronte a simili maltrattamenti, si impose il trasferimento a Villa Patrizia.

Giunti sul posto, Piero visibilmente traumatizzato dalla precedente esperienza di ricovero, non voleva entrare.

Il medico responsabile gli è venuto incontro, l'ha tranquillizzato e ci ha detto: "fate decidere a lui. " ( Leonardo Rollino )

Per quanto le cure prestategli a Villa Patrizia fossero puntuali e diligenti, Bagna aveva ormai sviluppato una sorta di rigetto psicologico nei confronti degli ospedali.

Inoltre, l'aspetto finanziario della degenza col passare del tempo diventava sempre più insostenibile.

In breve tempo, il fratello Teresio fu costretto a riportare Piero nell'appartamento situato al pian terreno di via Campiglia 7, dove si trasferì anche lui nell'intento di assisterlo personalmente.

Il peggioramento del quadro clinico, tuttavia, era ormai giunto a un punto tale, che Leonardo Rollino, grazie al buon cuore di una suora, chiese ed ottenne il trasferimento del paziente al Cottolengo, presso il reparto S. Pietro, dove vengono abitualmente ricoverati sacerdoti e religiosi.

" A Villa Patrizia lo trattavano meglio, ma purtroppo le sue condizioni, che talvolta manifestavano segni di miglioramento, sulla lunga distanza peggioravano sempre di più e la retta stava diventando enorme.

Così ci siamo trasferiti in via Campiglia 7, al pian terreno, presso il Convitto dei Catechisti.

Ormai mio fratello era un pensionato "forzato" e io ho dovuto trascurare la mia famiglia così da assisterlo personalmente per due lunghi anni, in quanto non si trovava nessuno disponibile.

Poi, ad un certo punto, mi è risultato impossibile conciliare gli impegni professionali con le sue esigenze igienico-sanitarie e si è reso necessario il ricovero al Cottolengo.

L'hanno ospitato nel reparto dei sacerdoti - infermeria S. Pietro la chiamavano - dove erano presenti anche il Cardinal Pellegrino e Monsignor Vaudagnotti, il suo vecchio insegnante.

Ha cominciato col perdere dapprima la voce, poi il controllo dei riflessi nervosi; non riusciva più a muoversi, bisognava imboccarlo.

C'era un obiettore di coscienza, stanziato lì dall'ufficio leva, che lo imboccava a mezzogiorno; alla sera invece ci pensava il sottoscritto.

Non riusciva neanche ad afferrare il cucchiaio: non faceva più niente, non muoveva un muscolo.

Quando entrò al Cottolengo sillabava a stento qualche cosa, ma dopo due o tre anni è piombato nel mutismo più assoluto; solo con grandissimi sforzi riusciva ad emettere qualche flebile suono gutturale. " ( Teresio Bagna )

" Quando la suora che si era interessata la nostro caso vide da lontano la figura di Bagna avanzare nel corridoio col passo stentato e malfermo, intuì immediatamente la natura della patologia ed esclamò con voce accorata "Ma chi mi avete portato?!".

Il suo reparto, infatti, non prevedeva quel genere di malati.

Ero molto imbarazzato: mai più avrei pensato di poterle creare dei problemi con i superiori.

Così le proposi di annullare tutto, ma lei non volle.

So che da quel giorno la Direzione non ha più accettato malati senza il preventivo consulto dei medici e che la suora è stata trasferita ad un altro reparto. " ( Leonardo Rollino )

Prima di precipitare nella completa atonia muscolare, Piero, se debitamente accompagnato, faceva volentieri due passi lungo i corridoi dell'ospedale.

Il suo incedere era molto esitante, avanzava con passi brevi e affrettati come chi è sul punto di cadere.

Poi, riacquistata la calma, cominciava a camminare in modo più disteso riuscendo perfino a scambiare qualche parola con chi veniva a trovarlo.

Il Catechista Rollino ricorda molto bene gli aspetti più angoscianti di quegli incontri: in particolare, all'arrivo di qualche nuovo visitatore Bagna si agitava come in preda alle convulsioni e solo a fatica l'attuale Presidente dell'Unione riusciva a calmarlo e a vedere in queste reazioni scomposte dei fattori indipendenti dal suo controllo, che nulla avevano a che fare coi sentimenti suscitati nel paziente dai nuovi venuti.

Probabilmente l'imbarazzo dovuto all'impossibilità di esprimersi in modo adeguato, in una persona così attenta alle formalità della buona educazione, sortiva un pessimo effetto sul già precario equilibrio psichico del malato.

Tuttavia le cure prestate da medici, suore e personale volontario del Cottolengo furono amorevoli e impeccabili, anche perché i compagni di reparto avevano nomi importanti: tra questi, come detto, il Cardinal Pellegrino che morirà quattro mesi dopo il decesso di Piero.

In quel periodo di fiducia ritrovata nei medici, se così possiamo dire, il paziente fece la conoscenza di Luigi Amore, un amico avventista di Teresio, che divenuto volontario al Cottolengo si troverà a tagliare i capelli, tanto al Catechista che al Cardinale.

Il nuovo collaboratore, due o tre volte alla settimana, si preoccupava di avvicendare Teresio nell'assistenza materiale e psicologica che il malato richiedeva.

Col suo spirito gioviale ed un modo di fare semplice e accattivante, entrò ben presto in confidenza con Piero, diventando come "uno di famiglia".

" Luigi Amore lavorava come operaio alla catena di montaggio della Carello ( la nota ditta di componenti per auto ) e veniva a trovarmi alla Parini, per farsi correggere alcune poesie che si dilettava a comporre nel tempo libero.

In quel periodo io avevo enormi problemi a conciliare la mia attività scolastica con l'assistenza a Piero, così Luigi si è offerto di aiutarmi.

Già allora aderiva alla Chiesa avventista del settimo giorno, eppure la sua intesa con Piero è stata subito perfetta." ( Teresio Bagna )

" Quando ho distribuito in fabbrica il primo volumetto di poesie, il mio collega Adresco ne ha fatto avere una copia alla figlia che frequentava la scuola Parini.

Il testo è poi finito nelle mani della Prof.ssa Mariangela Re, l'insegnante di italiano, che lo ha fatto leggere al direttore, ovvero al Prof. Teresio Bagna.

Questi ha valutato positivamente i contenuti ora sociali, ora spirituali delle mie poesie e si è offerto di correggere la parte formale.

Io ovviamente ho accettato.

Non mi sembrava vero che un Professore potesse interessarsi agli scritti di un semplice operaio autodidatta.

Durante i nostri incontri, però, spesso si congedava dicendomi: "Deve scusarmi: ora la lascio perché mio fratello mi attende al Cottolengo".

Non volevo essere indiscreto e sulle prime non ho indagato.

Poi, però, quando ho conosciuto meglio la situazione mi sono offerto di aiutarlo come volontario al Cottolengo.

In fondo gli ero debitore delle ore che aveva dedicato a me.

Il volontariato mi ha sempre gratificato molto: anche oggi assisto i tossicodipendenti presso l'associazione ARCO di corso Trapani, diretta da Fratel Celestino.

Io ho conosciuto Piero Bagna nel 1981, quando già aveva perso l'uso della parola e la cosa mi è dispiaciuta moltissimo perché lo consideravo una "persona stupenda" che meritava davvero di essere ascoltata. " ( Luigi Amore )

Amore frequenterà il Catechista per circa 7-8 anni avendo modo di apprezzarne la fortissima fibra interore.

Piero soffriva molto, eppure non lasciava trasparire nulla dal suo sguardo dolce e mansueto, se non una grande carica di benevolenza e sopportazione.

Le suore confidavano di non averlo mai sorpreso a lamentarsi; accettava le tribolazioni praticamente senza reagire.

Un atteggiamento che per certi versi ricorda la cosiddetta "morte mistica" .

" Una mattina lo abbiamo trovato con la testa a ciondoloni.

È rimasto così immobile per parecchio, evidentemente era in uno stato di impressionante prostrazione, eppure non ha levato neanche un lamento.

Mai, però, in nessuna occasione si mostrava depresso o abbattuto, i suoi occhi sprizzavano sempre un'energia positiva.

Questo lo riconoscevano tutti.

Anche mia moglie venne a visitarlo più volte rimanendo impressionata dalla sua particolare spiritualità "muta". " ( Luigi Amore ).

Ormai le facoltà di Piero erano in gran parte ottenebrate dal male, ma chi aveva occasione di visitarlo rilevava in lui il forte desiderio di non arrecare fastidio ad amici e familiari, sempre assumendo quel tono e quella delicatezza di atteggiamenti che lo aveva contraddistinto fin da bambino.

Il rancore che talvolta caratterizza i ricoverati più anziani, quasi si sentissero "offesi" dalla salute pimpante di chi li avvicina ( infermieri o volontari che siano ), era un sentimento assolutamente estraneo alla sua mentalità tutta conformata alla charitas Christi che consuma il corpo, ma non scoraggia il vero Catechista e anzi illumina chi gli sta accanto.

" Piero Bagna ha portato per lunghi anni le sofferenze del Crocifisso nella sua carne; la sua malattia lo testimonia fuor di ogni dubbio; non gli ho mai sentito espressioni di ribellione o fastidio.

Quando mi "parlava" col linguaggio dei segni non si dilungava sui problemi personali, ma preferiva attirare la mia attenzione su questioni spirituali.

Aveva un vivissimo senso del pudore e non perdeva occasione per scusarsi del fatto di dover essere accompagnato in tutti i suoi piccoli spostamenti quotidiani.

Parlava a gesti e con gli occhi e sensibile com'era, avvertiva la mia presenza dal suono della camminata. " ( Luigi Amore )

Quando la progressiva paralisi ha colpito gli organi della fonazione il suo sacrificio si è ulteriormente affinato: stava realmente diventando un "corpo morto" ( come si legge sul Diario di Fra Leopoldo a proposito della santificazione di Fr. Teodoreto ), un olocausto vivente offerto ogni giorno al Signore per la santificazione propria e altrui.

Tuttavia, e qui sta la ragione del dramma, la sua lucidità non diminuiva affatto.

Anzi, aveva sviluppato un acutissimo senso dell'udito ed una sorta di sesto senso grazie al quale riusciva a intuire i sentimenti dei suoi interlocutori in modo impressionante.

" La sua capacità d'ascolto si era estremamente affinata.

Con largo anticipo percepiva il suono dei miei passi sul corridoio agitando gli occhi in modo talmente caratteristico che le suore si dicevano l'una all'altra: "Sta arrivando il fratello, sta arrivando il fratello. " ( Teresio Bagna )

Piero teneva molto al saluto dei Catechisti che, prima di perdere l'uso della parola, accoglieva quasi sempre recitando un'Ave Maria e ripetendo la formula lasalliana "Viva Gesù nei nostri cuori sempre".

Purtroppo gli impegni professionali spesso contrastanti con il severo orario di visita del Cottolengo, impedivano ai sodali una frequentazione assidua del paziente e Bagna soffrì molto per questa inevitabile emarginazione, in quanto, perfino in ospedale voleva continuare a combattere la sua "buona battaglia" di laico consacrato: del resto solo chi capiva il linguaggio degli occhi riusciva a stabilire con lui un minimo di dialogo, gli altri erano costretti a contemplare un corpo praticamente inerte e la situazione, per persone poco avvezze alle malattie neurologiche, poteva risultare davvero penosa.

L'aspetto più inquietante della sua condizione, paradossalmente, consisteva nel suo apparente stato di salute.

Al di fuori della completa atonia muscolare, la malattia non dava esternamente alcun segno di sé.

La digestione regolare, le analisi senza esito negativo: tutto sembrava far di Bagna un malato immaginario.

In verità il cervello stava lentamente perdendo il controllo del corpo.

Nonostante la graduale diminuzione dei contatti con l'Unione Catechisti, Bagna proseguì imperterrito sulla via tracciata da Fr. Teodoreto: trasformare la vita in una "comunione vitale" con Gesù.

Il massimo esempio di assimilazione al Crocifisso lo fornirà restando "inchiodato" ad un letto d'ospedale, umiliato da un mutismo che gli impediva di comunicare i propri sentimenti se non coi lampi degli occhi che quasi nessuno comprendeva, tormentato dalle piaghe di decubito che gli laceravano le carni.

In questa situazione molti amici non ebbero più il coraggio di andarlo a trovare: le domande restavano senza risposta, i tremiti che scuotevano le mani lasciavano interdetti, il confronto col dolore umano era davvero impressionante e apparentemente senza sbocchi.

So che all'epoca della sua malattia era considerato una specie di "santo" proprio per l'atteggiamento di disponibilità col quale aveva scelto di partecipare alla Croce di Cristo per salvare se stesso e gli altri.

In quel periodo sono andato qualche volta a trovarlo al Cottolengo per impartirgli la benedizione, ma non abbiamo avuto modo di scambiarci parole molto significative: la sua condizione psicofisica glielo impediva.( Don Carlo Quaglia )

La sua malattia è stata un'esperienza davvero crocifiggente … lo andavo a trovare volentieri perché per me era proprio come un caro fratello, ma quando ero lì, accanto al letto, provavo una pena infinita a non poter più colloquiare con lui. ( Don Michele Banchio ).

Per quanto si sforzasse, Bagna non poteva nascondere agli amici il peso davvero logorante della croce che si gli era stata caricata sulle spalle: il suo stato di prostrazione fisica, di vigile annichilimento, se così possiamo dire, era per molti aspetti disumano.

Ma il suo spirito resisteva indomito e l'agonia proseguiva.

Questa specie di "morte mistica", ovvero di radicale e concreto distacco dal mondo, mediata dalle tappe forzate della malattia, ha un qualcosa di "tremendum" che davvero fa dire agli uomini sani "Signore, abbi pietà di noi!".

Se questo è infatti il purgatorio che tocca alle anime pure già in questa vita, cosa sarà di noi nell'altra?

Giovanni Trovati, ex direttore della Stampa e vecchio compagno di scuola di Piero, ha giustamente interpretato questo sentimento, scrivendo una riflessione che ci rappresenta un po' tutti: "Penso a lui tutte le sere e lo prego di scongiurare Dio di non mettermi a così dure prove.

Per la comunione dei santi possano le sue sofferenze compensare le nostre mancanze nella misteriosa economia del nostro credo".

Anche questa paura, profondamente umana, ha contribuito a ridurre le visite degli amici al capezzale di Piero.

Il suo volto, la sua condizione era ed è ancora oggi un memento talvolta fin troppo spietato, per chi ripone segretamente ogni speranza nella scienza umana.

" Un giorno sono andato a fargli visita e l'ho trovato in uno stato davvero desolante.

I suoi muscoli erano attraversati da tremiti improvvisi, stringeva e contorceva le mani come se nervi e tendini fossero tormentati da un dolore continuo.

Si aveva l'impressione che il corpo non obbedisse più alla sua mente. " ( Vincenzo Rampino ).

Fra Leopoldo per anni aveva ammonito i "falsi sapienti" che riponevano ogni speranza nell'uomo e nel suo lavoro, proprio perché, di fronte a situazioni analoghe a quelle di Bagna, in cui si contempla un fallimento della scienza medica lungo 11 anni, essi si riducono a considerare solo due strade: oblio o disperazione.

Il laicismo radicale non sopporta di assistere giorno dopo giorno a queste clamorose sconfessioni della fede scientista, segno tangibile dell'impotenza della ragione, e così giunge a suggerire soluzioni ancora più drastiche, come l'eutanasia.

Di contro, l'orizzonte esistenziale di Bagna non finiva nella camera del suo ospedale, ma spaziava oltre, permettendogli di scorgere la "lux recondita" proprio là, nell'oceano della sua sofferenza, dove tutti gli altri vedevano solo le tenebre della desolazione.

Quanta forza in quella debolezza senza fine!

Il fratello Teresio ancora oggi si commuove al ricordo di quell'eroico e usurante cammino di ascesi, del quale furono ammirati testimoni l'amico e assistente Luigi Amore, le suore del Cottolengo e i Catechisti dell'Unione.

Il sigillo di questa commozione è stato da lui impresso in una serie di "Pensieri" che condensano 11 anni di amorevoli cure, scandite dalla quotidiana contemplazione di un fratello sospeso tra il massimo abbassamento della malattia ed il richiamo gioioso dell'eternità, che tutto placa.

" Gli undici anni di sofferenza di Pietro sono come un cumulo di rocce che aumenta sempre più con il trascorrere del tempo, opprimendomi il cuore.

La mia capacità filosofica di reagire alla morte è una modestissima e ridicola cosa, infantile, terribile, vago gioco.

Il problema del dolore cosmico e la sofferenza del puro aumenta il mistero e rende illusoria la capacità razionale dell'uomo …

A uno che voleva solo fare del bene sono capitate cose che non augurerei neppure al più malvagio degli uomini.

Il grido delle notti ripetuto con eco sempre più fievole: "Iddio perché fai questo quando i poveri e i derelitti mi attendono?" risuonerà nel mio animo fino all'angelica tromba dell'Oltretempo …

Per lungo interminabile tempo parlarono solo più i suoi dolcissimi occhi, trasumanato dialogo per puri di cuore,  per cercatori di luce. " ( Teresio Bagna )

L' "immobile santificazione", avvenuta nella limitatezza e nella solitudine di una camera d'ospedale, in fondo ha coinvolto anche chi seguiva Piero da vicino, secondo quella modalità di "impressionare i cuori" che era stata raccomandata da Fratel Teodoreto ai suoi Catechisti.

Parenti e amici più stretti hanno partecipato anch'essi al dolore del paziente, così come questi "cooperava" alla Passione di Cristo, ma ne hanno ottenuto in cambio una straordinaria lezione di vita.

E, in effetti, non potendo articolare suoni, non potendo erudire il prossimo con le categorie della teologia, a Bagna non restava che "immolarsi come ostia umana" nel più perfetto silenzio e nella più penosa immobilità, quasi a voler esercitare una catechesi dei cuori veramente mistica, tutta spirituale, assolutamente sciolta dalla contingenza troppo umana di gesti e parole inutili.

" Del periodo del ricovero ricordo con tristezza la terribile quotidianità che i fratelli dovevano affrontare per occuparsi del loro congiunto, il tutto, com'era nello stile della famiglia, nella massima riservatezza, senza mai esternare nulla. " ( Arch. Giuseppe Varaldo ).

" Senza la fede mio fratello non avrebbe potuto sopportare 11 anni di un simile calvario: ne convenivano tutti, medici, suore, amici. " ( Teresio Bagna )

Il paziente aveva intuito - cosa prodigiosa in assenza di qualsiasi suggerimento esterno - che il suo assistente non era di confessione cattolica ( era infatti avventista ) e così, messa da parte l'Ave Maria, lo invitava con gesti eloquenti a recitare il Padre Nostro.

Questo è già indice di una sensibilità non indifferente, vista la spiritualità di stampo mariano che contraddistingueva Bagna.

Pur essendo così puntiglioso in materia di dottrina, non si tirava indietro quando si trattava di fare dell'autentico "ecumenismo".

Questa disponibilità ovviamente non lo distolse dagli obblighi del suo stato che nei limiti del possibile onorò fino all'ultimo respiro.

Egli partecipò quotidianamente alla Santa Comunione, non solo in termini di sacramentali, ma, ad un livello superiore, con la condivisione dei dolori di Cristo, secondo quella prospettiva, quella seconda iniziazione che Fratel Teodoreto aveva chiaramente indicato nei suoi scritti.

Questa fedeltà al carisma del Fondatore segnò ogni istante della sua agonia.

Bagna, dopo un martirio di 11 anni, moriva il 9 giugno 1987 lasciando un'eredità di cristiana sopportazione che, nei suoi aspetti più intimi, lo avvicina senz'altro ai Catechisti Brusa e Tessitore.

Indice