Carlo Demaria

Un "martirio" vivificante

Il Nostro trascorre gli ultimi anni di vita in un nuovo appartamento, situato in Via Magenta 50.

Il suo martirio si consumò nel segno della malattia: colpito da un male incurabile dovette subire continui interventi per l'aspirazione dell'acqua accumulata nei polmoni in seguito alla pleurite.

Quelle operazioni lo angustiavano oltre ogni dire: "È come se mi infliggessero tante pugnalate" diceva ai parenti che si recavano a trovarlo a Pietra Ligure, presso l'Ospedale di Santa Corona, dove era stato ricoverato.

Padre Gandolfo lo ricordava in sala mensa seduto all'angolo di un tavolo, confuso tra pazienti di ogni estrazione sociale, ricavandone una grande lezione di umiltà cristiana: "Quanta edificazione mi diede vederlo insieme a persone di condizione sociale tanto inferiore a lui!

Pensavo che il Dott. Demaria avesse veramente imparato le grandi lezioni che Gesù ci da dalla Croce".

Il calvario durò più di un anno, un anno che egli seppe far fruttare anche in termini di apostolato.

I poveri che negli anni aveva tanto favorito non si stancavano di chiedere notizie sulla salute del loro benefattore, pregando per una guarigione miracolosa.

Anche in ospedale Carlo si comunicava spesso, trasmettendo al prossimo la forza rigenerante del suo fervore.

Grazie a quel mirabile esempio, un vicino di letto dopo un lunghissimo digiuno spirituale si era riaccostato ai Sacramenti della Confessione e della Comunione rendendo grazie al Cielo per quella malattia che gli aveva permesso di ritrovare, dopo tanta desolazione, la speranza.

Nella sofferenza Demaria si sforzava di assimilarsi pienamente al Cristo, con effetti davvero edificanti.

Durante la degenza ospedaliera non mancarono alcuni momenti di riflessione che, a distanza di tanti anni, ce lo fanno sentire umanamente più vicino.

Parlando con un parente giunto a visitarlo, disse: "Fino a quando si tratta di confortare e sostenere a parole i malati è tutto facile … ma quando siamo noi a soffrire allora tutto si complica" ( Sig.ra Salomone ).

Pronunciate da una persona così devota, queste parole possono dare un'idea del terribile supplizio che dovette sopportare in quei giorni: la solitudine che si può vivere nell'agonia, momento definitivo e drammatico di confronto con Sorella Morte, può richiamare, infatti la terribile sensazione di abbandono che anche Cristo visse sulla Croce. Padre Agostino Gandolfo sottolinea l'aspetto "provvidenziale" di quella prova estrema cui il Signore l'aveva sottoposto.

Una prova destinata a metterne in luce il livello di virtù raggiunta dopo tanto esercizio al sacrificio, ma pure utile a fargli acquisire, dopo le tante sofferenze segrete del cuore, quei meriti eterni che, nell'economia della salvezza, più di tutto servono a raggiungere la definitiva purificazione per l'accesso alle gioie celesti.

Carlo Demaria era perfettamente cosciente di questo fatto e,  nelle ultime lettere scritte a Padre Gandolfo, questa consapevolezza assume i toni di un testamento spirituale: "Penso a quanto saremo riconoscenti alla nostra umanità che fu compagna fedele della nostra anima e sua degna abitazione.

Il ricordo di tutto ciò che ha sofferto e meritato sarà una bella consolazione al termine della nostra carriera mortale" ( 3-9-60 ).

In data 6-8-60: "Mi sento molto più animato a soffrire quel tanto che il Divin Padre vorrà, con la sicurezza che alla fine tutto ridonderà alla maggior gloria di Dio" ( 6-8-60 ).

"Questi frequenti interventi … mi sembrano tante pugnalate nella schiena.

E fino a quando? Lo sa il signore!

Si direbbe che egli rinnovi sempre l'acqua e il sangue - leggi pleurite ndr. - perché lo possa versare in unione col sangue e l'acqua sgorgati dal divino Crocifisso e così unito lo possa offrire al Divin Padre per gli stessi fini per i quali N.S. si immola continuamente sugli altari".

Qui riemerge con forza un tema caro alla mistica cattolica: la condivisione della Croce mediante l'offerta al Cielo delle proprie sofferenze.

L'oblazione del dolore consacrato a Dio testimonia anche una pratica sublime della carità: se prima si donavano ai giovani ( ossia al prossimo ) lavoro e tempo libero, ora molto più drasticamente e direttamente si donano al Signore le sofferenze dell'agonia.

Qui l'assimilazione virtuosa al Calvario di Cristo, così presente nella spiritualità francescana di Fra Leopoldo Musso - il propugnatore della nota Adorazione al Crocifisso - diventa realtà vissuta.

Il seme lanciato dal frate di Terruggia incomincia a germogliare.

Carlo morì il 4 maggio 1961. Due giorni dopo, alle 17,30, il feretro, sostando dinnanzi alla Casa di Carità, venne accolto da una folla di studenti, che, in commosso silenzio, resero all'illustre insegnante l'ultimo omaggio.

Il personaggio era stato umanamente "grande", ma così umile nei modi e nelle pretese da lasciare pochi ricordi palpabili: di lui non ci restano, a quanto risulta, ne scritti, ne memorie.

Pur tuttavia, ancora nel recente 1996, gli amici e i colleghi rimasti, onoravano la sua memoria con messe di suffragio e generose donazioni.

L'eredità morale impressa da Carlo nei loro cuori, evidentemente, non è stata consunta dal tempo, ma ha continuato a brillare fino ai nostri giorni.

Il ricordo di quello stile di vita esemplare, come la torcia tenuta in mano da un atleta della fede, va consegnato alle nuove generazioni di Catechisti nella speranza che susciti, nei cuori dubbiosi, il calore della carità cristiana.

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