Francesco Fonti

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Il passaggio delle consegne

Gli anni '35-'36 furono molto difficili sia dal punto di vista economico ( l'Italia era soggetta alle sanzioni ), sia dal punto di vista familiare.

In quel periodo Pietro era stato richiamato per il servizio militare, a seguito della guerra d'Etiopia, anche se poi, fortunatamente, non era stato imbarcato.

Il padre Luigi, intanto, veniva colpito da un tumore alla ghiandola surrenale e si vedeva costretto a diminuire drasticamente i suoi impegni di lavoro: un medico di rara competenza, conoscente della famiglia, gli aveva diagnosticato con certezza l'esito infausto del male dandogli non più di 8 mesi di vita.

I figli erano stati messi sull'avviso per tempo.

In quei mesi drammatici, Luigi Fonti abituò il figlio Francesco a trattare con le banche, anche perché, ormai, si sentiva completamente inabile a svolgere tale mansione.

Quando, nel 1936, a soli 56 anni, il capofamiglia venne a mancare, i Fonti non ebbero alternative: uno dei tre fratelli doveva prendere il posto del padre e dimostrare di esserne il degno successore.

In questa situazione, per molti aspetti drammatica e concitata ( il grave lutto, la guerra, la crisi economica, il richiamo di Pietro ) Francesco Fonti, compiuti i 27 anni, iniziò la sua carriera di imprenditore.

Con grande soddisfazione di dipendenti e familiari, il giovane neo-titolare rivelò una buona predisposizione per le questioni amministrative, denotando uno stile e una abilità "diplomatica", nel trattare con le autorità e i creditori, che Giovanni, dotato di un carattere più "geniale" e operativo, possedeva in minor misura.

Anche in questa fase critica la sorella Giuseppina fece sentire la sua presenza rassicurante, assumendo la responsabilità delle lettere commerciali e della contabilità corrente, proprio per dare modo al fratello di agire con più speditezza.

Francesco, dal '36 al secondo dopoguerra, affrontò 15 anni di magra ( dovuti all'autarchia, all'economia di guerra, alla distruzione delle infrastrutture ), caratterizzati spesso da debiti e da spese impreviste; in tutti questi frangenti, la solidità del suo carattere - che pure, nell'infanzia, sembrava tanto fragile - fu tale da garantirgli la stima e la considerazione delle persone "che contavano": ma il segreto di questo successo risiedeva anche altrove.

Mio fratello ha avuto la fortuna di incontrare ed assumere degli uomini molto validi - sia sul piano umano che su quello professionale - che l'avrebbero accompagnato e validamente sostenuto per tutta l'esistenza.

Sono arrivati in ditta quando avevano dodici, tredici anni e frequentavano ancora l'oratorio, ma si sono congedati solo al momento della pensione, dopo almeno 40 anni di onorata professione.

Hanno attraversato tutte le fasi del lavoro: sono stati apprendisti, operai, impiegati, dirigenti.

Uno di questi è Giovanni Obialero, subentrato in qualità di titolare dopo il tentativo, poco felice, di trasformare la ditta in una cooperativa ( cosa assai difficile da attuare con operai abituati allo stipendio sicuro, perché c'era da rischiare di tasca propria ); Obialero ha iniziato come apprendista, appena terminata la scuola media, poi è diventato capo dell'officina meccanica.

Nel secondo dopoguerra entrarono in azienda molti "giovanissimi" che nel volgere di qualche anno diventarono capireparto ( si tenga presente che allora la scuola dell'obbligo terminava con la quinta elementare ).

Fu anche il caso di Bruno Malan, capo dei verniciatori, e di Amilcare Ostellino per la falegnameria.

Aldo Gravino, l'addetto alle spedizioni, è stato assunto all'età di 12 anni. ( Pietro Fonti )

Gli eventi del 1936, avendo portato Francesco ai vertici dell'azienda, spinsero anche gli altri due fratelli ad assumere nuovi ruoli direttivi.

Giovanni si occupò dell'innovazione meccanica ( inventava e brevettava nuovi macchinari e procedimenti tecnici ) e dei rapporti con la clientela, quindi cominciò a viaggiare molto.

Pietro Fonti, invece, ultimato il servizio militare, prese in consegna la gestione del personale d'officina.

Con il resto della famiglia c'era un rapporto di contiguità: abitando nell'appartamento sovrastante, la sorella Giuseppina e la madre scendevano spesso in ditta, non se ne stavano in disparte.

Durante il secondo conflitto mondiale la ditta Fonti arrivò a contare 60 dipendenti ( una cosa incredibile per dei locali di appena 500 metri quadrati ), a causa di una commessa di guerra ottenuta dall'aviazione militare.

Bisognava costruire 240 cassoni da trasporto per il motore Alfa Romeo di un nuovo aereo da ricognizione ( probabilmente l'idrovolante Cant. Z 506 B "Airone" dotato di un motore Alfa Romeo 126 R. C. 30 ).

Erano cassoni enormi: lunghi tre metri e alti un metro e venti, contenenti all'interno un telaio in legno fatto apposta per accogliere le varie parti del motore.

Una cosa concepita in maniera geniale per ridurre al minimo l'uso del metallo che in Italia scarseggiava.

Questi enormi "scatoloni" venivano poi caricati sul treno diretto a Castellamare di Stabia ( uno per ciascun vagone! ): destinazione gli stabilimenti Avio.

Quella commessa è stata davvero un'avventura al limite delle nostre possibilità: abbiamo saldato, fucinato, fatto di tutto.

Lavoravamo giorno e notte.

Ha qualcosa di prodigioso l'essere riusciti a soddisfare nei tempi previsti questa "fornitura sussidiaria", come si chiamava allora, dell'Aeronautica.

I problemi, infatti, non mancavano.

L'improvviso aumento degli ingombri ci costrinse ad affittare nuovi locali per immagazzinare il materiale necessario alla lavorazione: tra affitto, tempi di trasporto e inconvenienti di vario genere questo magazzino improvvisato fu un vero strazio sia sotto il profilo economico, che in ordine ai disagi procurati dalla sua lontananza. ( P. Fonti )

Dopo gli anni eroici della guerra, la situazione economica finalmente si sbloccò quando la famiglia Fonti decise il trasferimento della ditta nella nuova sede di via Lorenzini.

Tutti i parziali ampliamenti eseguiti in via Pesare si erano rivelati dispendiosi e poco funzionali.

Una cosa banale come l'uso del montacarichi per portare gli attrezzi nel reparto di verniciatura, dava già l'idea delle ristrettezze in cui si era obbligati a lavorare.

Probabilmente la maggiore ampiezza dei nuovi locali e la più agile organizzazione logistica permisero di gestire al meglio l'azienda che, grazie alle nuove commesse della ricostruzione, giungerà a contare fino a 80 dipendenti.

Mio fratello, nelle foto giovanili, appare molto esile, quasi insignificante.

Eppure, alla morte di papa, diede prova di energia e coraggio davvero notevoli.

Lo stesso coraggio che, vinte le iniziali perplessità, seppe dimostrare quando decidemmo di trasferire la sede dell'azienda in via Lorenzini.

In breve siamo passati da 500 a 5000 metri quadrati e non è cosa da poco.

Nel dopoguerra, come molti, eravamo praticamente senza soldi, nondimeno il trasferimento è avvenuto proprio negli anni 1949-50. ( P. Fonti )

Dopo la morte del padre, il giovane Francesco, per più di cinquant'anni ( 1936-1991 ) affrontò e superò con un'olimpica serenità tempeste e crisi di ogni genere.

Anche quando venne il momento di cedere l'azienda a Giovanni Obialero ( 1991 ), suo ex dipendente e fidatissimo consigliere, non mostrò mai segni di contrarietà: il commercialista che seguiva le transazioni diceva: "questi non bisticciano mai!".

Le origini di questo equilibrio interiore affondano nell'educazione spirituale ricevuta da Fratel Teodoreto Garberoglio, fondatore dell'Unione Catechisti.

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