Francesco Fonti

Indice

Breve storia della ditta dal dopoguerra ai giorni nostri

II reparto di Obialero si occupava di carpenteria leggera; nell'immediato dopoguerra il 90% della produzione era costituita da banchi scolastici e arredo affine ( cattedre, lavagne, armadi ), il restante 10% da attrezzi ginnici.

Si arrivarono a produrre ben 16.000 posti banco in un anno ( il modello monoblocco fu poi sostituito da sedia e banco separati ).

Un tempo questi elementi erano interamente in legno.

Dal '49 cominciarono ad essere inseriti i supporti metallici, cosicché venne acquistata una speciale saldatrice per aumentare il ritmo di produzione.

I fratelli Fonti dovettero ottenere una precisa autorizzazione dai miei genitori per abilitarmi alla saldatura elettrica a resistenza ( Pietro Fonti mi aveva insegnato a saldare ) e vincolarmi all'osservanza di tutte le normative di sicurezza.

Da quel momento ( era il 1950 ) i miei rapporti professionali con Francesco Fonti si fecero più intensi. ( Obialero )

Il lavoro non mancava, ma l'insolita produttività poteva creare degli imprevisti: un camion rimorchio diretto a Potenza, ad esempio, venne riempito di banchi fino a 4 metri d'altezza, ma una volta giunto nei pressi di Asti, rimase bloccato dall'arcata di un viadotto.

Anche il reperimento dei materiali ferrosi assorbiva molte energie.

Francesco Fonti mandava Obialero a Milano ( al principio in compagnia di Giovanni Fonti, responsabile delle relazioni esterne ), presso la Ferro Tubi, a selezionare le cosiddette "barre Mannesmann" da mezzo metro; da Milano il materiale arrivava in camion.

Il tecnico, invece, tornava in treno e rientrando in ditta presentava a Francesco Fonti l'elenco delle le spese sostenute.

Nonostante i tempi grami del dopoguerra, Francesco si lasciava andare a "grandi" concessioni.

Ad un certo punto mi disse: "la prossima volta vai pure al ristorante ".

Così presi a frequentare un locale in via Garibaldi a Milano, dove si mangiava con 150 lire; dopo la fame che avevamo patito durante la guerra, quello mi appariva come il "paradiso" ( Obialero ).

A Torino, invece, in zona Martinetto, il capo-officina prelevava i residuati bellici che un certo Waltingeuer aveva comprato dall'Esercito ed accatastato nei locali del vecchio rifugio antiaereo.

Il materiale una volta selezionato veniva portato nella trafileria di un ex allievo della Casa di Carità, conoscente di Obialero, che si era installato nelle vicinanze del deposito.

Quando veniva il momento di ritirare i tubi lavorati, Obialero inforcava un "triciclo" con le gomme piene e macinava chilometri di strada.

Cosa non sempre piacevole. Una volta, in pieno inverno, dopo aver caricato 70 chili di ferro, sono rimasto bloccato nella neve che arrivava oltre il ginocchio; così ho dovuto scaricare una parte dei tubi, nasconderla sotto la neve per tornare a riprenderla in seguito. ( Obialero )

Dopo il trasferimento in via Lorenzini gli ambienti di lavoro diventarono più agibili ( ampi capannoni, vasti cortili, uffici centralizzati ) e così anche i rapporti di lavoro che Francesco Fonti intratteneva con gli addetti alla carpenteria metallica si fecero più stretti; ogni giorno passava a verificare il "rendimento produttivo" degli operai: "quante sedie, quanti banchi abbiamo fabbricato oggi?

Siete riusciti ad evadere quell'ordinativo?".

Nei periodi di maggiore domanda l'azienda veniva letteralmente sommersa dalle forniture e Obialero si vedeva costretto ad obiettare che il reparto verniciatura era intasato da quintali di lavoro arretrato.

In quelle occasioni, quando cioè si rischiava il collasso produttivo, il capo-officina si rendeva conto di quanto fosse fondata la prima impressione ricevuta dalla madre, il giorno della sua iscrizione alla Casa di Carità: il ferreo autodominio4 unito ad uno spirito d'efficienza prodigioso consentivano a Francesco Fonti di cadenzare e rimettere in carreggiata tutte le varie forniture, impedendo che si affastellassero nel caos più totale.

Per evitare di incorrere in spiacevoli penalità, era essenziale che le consegne avvenissero nei tempi previsti; in questo senso, la mano ferma dell'amministratore era una garanzia per clienti ed operai.

Tenere in pugno la situazione, rispettare le scadenze, infondere un forte senso di sicurezza nei collaboratori, erano le qualità professionali che meglio denotavano il carattere del Fonti imprenditore.

Indice

4 "Francesco Fonti non perdeva mai la calma. Non l'ho mai visto alterato o in preda all'ira.
Non si faceva impressionare dai problemi perché riponeva la massima fiducia nella Provvidenza.
Per coprire i debiti della scuola si esponeva in prima persona, mettendo sul piatto la sua credibilità, la sua rispettabilità professionale.
E per una persona sensibile come lui doveva essere un sacrificio non da poco. Amava dire: "Se questa è un'Opera voluta veramente dal Signore, non dobbiamo perdere la speranza, il buon Dio ci aiuterà sempre". ( Domenico Bovero )