Evidenza di un amore

Un Vangelo concreto nel secolo dell'immagine

27 - La Sindone, antico lenzuolo funerario, reca in negativo la doppia impronta di un uomo composto nella tragica solennità della morte, con le braccia incrociate.

Ad una osservazione attenta appaiono molti particolari: numerose ferite inferte con un flagello su tutto il corpo; macchie di sangue sulla fronte e sulla nuca prodotte da trafitture profonde, trafitture sui polsi e sui piedi, colature sulle braccia, una grande ferita al costato, con copiosa fuoriuscita di sangue e liquido sieroso nella zona lombare, contusione sulla scapola e sulla spalla con escoriazioni provocate da un oggetto pesante e rugoso, piedi sovrapposti e contratti nella rigidità cadaverica.

Sul volto dell'Uomo della Sindone appaiono ferite, ecchimosi e tumefazioni d'ogni genere.

L'impressionante corrispondenza tra l'immagine sindonica e la figura evangelica dell'Uomo dei dolori crocifisso a Gerusalemme quand'era Procuratore Ponzio Filato rende possibile - la scienza moderna dice anzi "estremamente probabile" che il lenzuolo conservato a Torino sia efettivamente quello che avvolse il corpo di Cristo 2000 fa.

Per questo la Sindone è venerata come la più preziosa reliquia, come un misterioso Vangelo della Passione, concreta e toccante cristologia della sofferenza.

La Chiesa, pur onorando le reliquie che conservano nel tempo il ricordo di importanti eventi e testimoniano concretamente una presenza che può elevare fino a Dio, non ha mai riconosciuto ufficialmente l'autenticità della Sindone, anche se non mancano significative testimonianze di devozione e di fede.

Pio XI scriveva al Cardinal Fossati Arcivescovo di Torino: "Abbiamo seguito personalmente gli studi sulla Sindone e ci siamo persuasi della autenticità.

Si sono fatte tante opposizioni, ma, non reggono."

Al fotografo Enrie, che gli aveva presentato le nuove e bellissime foto della Sindone il Papa disse che esse, da sole, valevano più che tutta la ricerca storica messa insieme.

Papa Giovanni XXIII diceva: "Qui c'è il dito di Dio".

E Giovanni Paolo II, che aveva voluto visitarla durante l'Ostensione del 1978, un mese prima di salire al soglio pontificio, saluta la Sindone come la più splendida reliquia della Passione e della Resurrezione del Signore, testimone muto ma meravigliosamente eloquente.

La Sindone può a ragione definirsi "Il Vangelo sceneggiato della Passione" e un'osservazione attenta di quella tragica fotografia di sangue è un'intensa meditazione.

28 - L'Uomo dei dolori si è addossato le nostre iniquità come Agnello condotto al macello

L'Uomo della Sindone è alto circa 1 metro e 75, ha un fisico imponente, d'armonica proporzione ed è soffuso d'una calma, solenne bellezza.

Il volto, pur nella strana incongruenza del negativo, appare in una sovrumana compostezza, inspiegabile dopo una così tormentosa agonia: è un particolare che impressiona.

Normalmente i giustiziati spirano in tragiche smorfie disperate.

Qui il Giusto, immolato, giudica il mondo dal trono muto e severo del suo composto dolore.

Il volto è sfigurato, sulla fronte c'è un'ampia ecchimosi e una tumefazione rotonda da percossa, l'occhio destro, la guancia e lo zigomo sono deformati e tumefatti, il setto nasale è deformato e la cartilagine infranta, il labbro superiore è gonfio, e la mandibola visibilmente tumefatta, forse lussata.

All'analisi attenta dei moderni strumenti di misura tutto il volto appare insanguinato, anche se mani pietose l'han forse deterso.

Ciascuno di questi particolari rimanda all'Uomo dei dolori e alla sua Passione narrati dai Vangeli.

Leggiamo nel testo di Luca: "Giunto al monte degli Ulivi in preda all'angoscia pregava e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra". ( Lc 22,44 )

Giovanni ricorda: "Allora legarono Gesù e lo condussero da Anna, suocero di Caifa, che era sommo Sacerdote in quell'anno, e una delle guardie presenti diede uno schiaffo a Gesù dicendo: Così rispondi al Sommo Sacerdote?" ( Gv 18,13.22 )

Il Vangelo di Marco annota; "Il Sommo Sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: Che bisogno abbiamo ancora di testimoni?

Avete udito la bestemmia, che ve ne pare? Tutti sentenziarono che era reo di morte.

Allora alcuni cominciarono a sputargli addosso, a coprirgli il volto e a schiaffeggiarlo dicendogli: Indovina! E i servi lo percuotevano." ( Mc 14,63-65 )

Ma cerchiamo di leggere nei particolari quel Vangelo di sangue che è la Sindone.

29 - L'Uomo della Sindone fu flagellato secondo l'uso romano

Sono evidenti sul Corpo sindonico i segni di una terribile flagellazione inferta secondo l'uso romano, senza limitazione di colpi.

È una testimonianza agghiacciante di un supplizio condotto con bestiale accanimento da due aguzzini posti al lati del condannato, non soltanto sulle spalle, ma su tutto il tronco e sugli arti, sia posteriormente che anteriormente.

Il terribile "flagrum" o flagello romano era uno strumento di tortura riservato agli schiavi e consisteva in un breve manico con due o tre lacci con piccoli ossicini o palline di piombo che ad ogni colpo laceravano la carne del condannato.

La legge romana vietava di flagellare un cittadino romano, mentre gli ebrei limitavano questo tormento ad un massimo di 40 colpi.

L'Uomo della Sindone reca sul suo corpo i segni di non meno di 120 ferite da flagello.

Normalmente i condannati alla croce erano colpiti dai flagelli lungo il percorso verso il luogo del supplizio.

Era una forma di orribile pietà, perché in tal modo il condannato si indeboliva perdendo molto sangue e avrebbe avuto un'agonia più breve.

Nel caso dell'Uomo della Sindone però, la flagellazione fu inferta a parte, con attenta distribuzione a raggiera e con precisa geometria dei colpi, dai due lati della vittima.

Anche le spalle sono lacerate dal flagello e ciò dimostra che mentre veniva flagellato l'Uomo della Sindone non portava il patibolo.

Solo la regione intorno al cuore fu risparmiata dai carnefici, evidentemente il condannato non doveva morire sotto i flagelli e gli aguzzini sapevano bene che flagellando il pericardio si provocano reazioni mortali.

Dal Vangelo sappiamo che Filato fece flagellare Gesù per impietosire i suoi nemici ed evitare di condannarlo a morte.

Narra infatti l'Evangelista Giovanni: "Pilato fece prendere Gesù e lo fece flagellare.

Pilato intanto uscì di nuovo e disse: 'Ecco, io ve lo conduco fuori perché sappiate che non trovo in lui nessuna colpa. '

Allora Gesù uscì, portando la corona di spine ed il mantello di porpora, e Pilato disse loro: 'Ecco l'uomo'.

Al vederlo i sommi Sacerdoti e le guardie gridarono: Crocifiggilo! Crocifiggilo! " ( Gv 19,1-6 )

30 - L'Uomo della Sindone fu coronato di spine

La fronte e la nuca dell'Uomo della Sindone sono segnati da colature di sangue provocate da strumenti a punta, aculeati, calcati e strisciati.

Sulla nuca le ferite sono disposte a raggiera e le colature fanno pensare che le spine fossero non una corona ordinata, come spesso vediamo nei dipinti tradizionali, ma piuttosto disposte come un casco tenuto insieme da una brutale legatura, che stringendo i capelli favorì un ampio coagulo.

"Dunque tu sei re" aveva chiesto Pilato a Gesù.

E Gesù aveva risposto! "Io sono re, per questo sono nato e per questo sono venuto nel mondo, per rendere testimonianza alla verità". ( Gv 18,37 )

Una manciata di sterpi spinosi, la celebre "spina Christi" palestinese, raccattata vicino al fuoco, divenne il satanico diadema per questo re da burla.

"E intrecciata una corona di spine", dicono i Vangeli, "gliela posero sul capo, e gli misero addosso un mantello di porpora, quindi gli venivano davanti e gli dicevano; 'Salve, re dei Giudei'  e gli percotevano il capo con una canna". ( Gv 19,2-3 )

È impressionante la colatura sulla fronte a forma di epsilon greca o di tre rovesciato, originata dalla trafittura dell'arteria temporale, che documenta il movimento del capo a destra e a sinistra e insieme il corrugamento della fronte per le dolorose contrazioni del muscolo frontale.

Recenti esami a luce ultravioletta, che mette in risalto i residui organici, dimostrano che il volto è tutta una maschera di sangue, nonostante che appaia, all'osservazione diretta, più pulito del corpo.

Forse una pietosa Veronica deterse quel volto, come dimostra anche la duplice colatura di sangue sui capelli, all'altezza della tempia, interrotta vicino alle gote e visibile nuovamente più in basso.

È forse una conferma della pietà cristiana che venera, fin dall'antichità la Vera Icone, o Veronica del Salvatore in un lino antichissimo, conservato già nella Basilica Costantiniana di S. Pietro e successivamente in Santa Maria del Sudario, ricordato anche da Dante.

Oggi su quel lino è svanita ogni traccia di immagine, ma fino al 1800 circa numerose testimonianze affermano che assomigliava alla Sindone e vari artisti fecero anche dei confronti fotometrici.

Inoltre, le macchie di sangue sulla nuca pendono tutte verso sinistra perché, nel terribile tormento, l'Uomo della Sindone teneva il capo leggermente piegato a destra, mentre le colature del volto non hanno quella direzione.

Evidentemente il volto fu deterso e le macchie di sangue che ora vediamo sul volto si sono formate dopo.

Un particolare interessante notato dai medici legali è che il sangue fuoriuscito dalle trafitture delle spine è sicuramente vivo, avendo intorno la fibrina per il coagulo.

La lastra all'ultravioletto documenta anche che l'Uomo della Sindone non era svenuto quando le trafitture delle spine sanguinavano, perché le palpebre, aprendosi e chiudendosi, hanno corrugato il rivolo di sangue che le tocca.

Le occhiaie, relativamente libere dal sangue, dimostrano che la colatura è avvenuta quando l'uomo era eretto, col capo inclinato in avanti e non durante o dopo la deposizione nel sepolcro.

L'impronta circolare sulla palpebra destra pare documentare una pressione regolare e prolungata.

Fu forse una monetina, posta sugli occhi dell'Uomo della Sindone, per tenerli chiusi nel rigore della morte?

Tale uso, comune ai tempi di Cristo, scomparve nel II secolo.

31 - L'Uomo della Sindone portò sulle spalle un pesante patibolo

Due vaste escoriazioni segnano la zona scapolare destra e sottoscapolare sinistra dell'Uomo della Sindone.

Lo sfregamento di un corpo pesante, verosimilmente un trave, portato sulle spalle dopo la flagellazione e probabilmente sopra il vestito, riaprì le ferite allargandone i bordi e deformandole.

Si tratta del patibulum, cioè del trave della croce che i condannati dovevano portare legato alle braccia fino al luogo del supplizio, ove si trovava già infisso nel terreno il palo dell'esecuzione.

Ricorda il Vangelo di Marco: "Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo". ( Mc 15,20 )

L'Evangelista Giovanni annota ancora: "Essi presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del cranio, detto in ebraico Golgota". ( Gv 19,17 )

E nel Vangelo di Marco leggiamo: "Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, a portare la croce". ( Mc 15,21 )

Le esecuzioni capitali al tempo di Gesù erano un triste spettacolo regolato da norme precise.

Il condannato non doveva morire durante il percorso verso il supplizio, altrimenti venivano multati gli aguzzini incapaci di portare a termine lo spettacolo.

I condannati, quando erano più di uno, formavano un triste corteo, ciascuno aveva il patibolo sulle spalle, legato alle braccia, e per impedire che smaniasse violetemente o cercasse di fuggire, la corda che fermava il trave gli veniva fissata alla caviglia e i condannati erano legati l'uno all'altro.

Era facile pertanto che si provocassero delle cadute, strattonandosi l'un altro per le asperità del percorso è per le percosse dei soldati.

Gesù, indebolito dalla precedente flagellazione, fu trascinato in rovinose cadute, come dimostra l'ampia escoriazione sul ginocchio sinistro; non potendo attutire la caduta con le braccia legate al patibolo, si cadeva sempre sulle ginocchia.

Anche le tumefazioni sulla fronte e sul volto, deformati, il setto nasale infranto sono forse la testimonianza delle tradizionali cadute della Via Crucis.

32 - L'Uomo della Sindone ebbe i piedi e i polsi trafitti da chiodi

La devozione popolare ha sempre rappresentato il Crocifisso innalzato tra cielo e terra e inchiodato mani e piedi al legno del patibolo.

Normalmente i condannati alla croce, giunti sul luogo dell'esecuzione, venivano semplicemente issati sul palo già infisso nel terreno, legati per le braccia al trave trasversale che avevano portato.

Nel caso di Gesù, siccome il trave era portato dall'uomo di Cirene, giunti sul Golgota venne escogitata la triste soluzione dei chiodi.

Il Salmo 22, che fa eco ai carmi del Servo di Jahvè, cantava profeticamente la sofferenza del Messia: "Io sono un verme, non un uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo, mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo, hanno forato le mie mani e i miei piedi, posso contare tutte le mie ossa, essi si dividono le mie vesti e sul mio vestito gettano la sorte".

La tradizione pittorica poneva nel palmo della mano i chiodi della crocifissione, ispirandosi all'affermazione di Tommaso, che nel Vangelo esclama: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi, non credo". ( Gv 20,25 )

Solo Van Dick dipinse il chiodo nel polso del Crocifisso, forse perché aveva visto la Sindone in una estensione pubblica a Genova.

Secondo gli anatomisti, per reggere il peso del corpo umano, il chiodo deve passare nel cosiddetto punto di Destot, cioè nel carpo tra gli ossicini del polso.

Qui provoca un dolore terribile, ledendo il nervo mediano che contrae il pollice all'interno della mano e a volte provoca un'infezione tetanica.

Nella Sindone i pollici non si vedono e le dita della mano sono molto allungate, forse per una deformazione tetanica o per ipertensione dei tendini flessori anch'essi lesi nel punto di Destot.

Anche i piedi dell'Uomo della Sindone sono trafitti, il sangue sull'intera pianta fa pensare che il piede destro aderisse al legno della croce, mentre il sinistro, rimasto contratto nel rigore cadaverico e ora meno visibile, era sovrapposto.

Non è possibile dalla Sindone stabilire se fu usato un solo chiodo oppure due per inchiodare i piedi, ma è evidente che quando il corpo venne deposto dalla croce la ferita del chiodo sanguinò copiosamente, colando verso il tallone e macchiando in modo simmetrico e rovesciato, fuori dalla figura, il lenzuolo che doveva trovarsi ripiegato e forse avvolto e legato.

Il particolare delle gambe piegate e contratte nel rigore cadaverico, con i piedi sovrapposti e leggermente divaricati, hanno forse provocato una curiosa interpretazione.

Le croci russe riportano sempre in basso un piccolo asse trasversale inclinato, detto "subpedaneo", cioè sostegno dei piedi.

Sulla Cattedrale dei Dodici Apostoli, presso il Cremlino a Mosca svettano ancora, muta testimonianza della Chiesa del silenzio, queste caratteristiche croci.

La pietà popolare spiegava che il Signore in croce aveva la gamba destra più corta della sinistra.

È un'errata interpretazione della Sindone che tutti i venerdì era esposta a Costantinopoli e che i Missionari Bizantini conoscevano bene.

Il Signore non era zoppo, ma la sua immagine sindonica lo mostra così e le croci russe ne sono significatava testimonianza.

33 - L'Uomo della Sindone morì crocifisso

I rivoli di sangue che segnano gli avambracci dell'Uomo della Sindone, formando una strana geometria di anelli irregolari consecutivi, hanno un preciso significato per chi osserva la Sindone come un reperto medico-legale.

Essi fanno pensare ad una agonia lunga e sofferta, a braccia distese, in stato di forte adduzione.

Per capire quella drammatica testimonianza, dobbiamo immaginare il tormento di un crocifisso.

Per non morire in pochi minuti di asfissia e collasso ortostatico, il condannato doveva innalzare la cassa toracica e respirare, puntando sui piedi, poi, per il terribile sforzo, si accasciava, abbandonandosi sulle braccia.

"Questa tragica ginnastica è la causa del rincorrersi ritmico delle colature sanguigne sulle braccia e della triplice colatura al polso sinistro.

Il sangue tendeva a scorrere lungo il braccio, quando questo era più in verticale, mentre tendeva a gocciolare verso terra, attraverso il braccio, quando variava l'angolazione, durante le fasi ritmiche di sollevamento e di accasciamento.

Per questa ragione il colpo di grazia dei crocifissi consisteva in una mazzata che spezzava le gambe.

Venendo a mancare il punto di appoggio per il sollevamento, la morte sopraggiungeva per asfissia.

Sul volto dell'Uomo della Sindone, tutta una maschera di sangue, l'analisi recente ha scoperto che tutti i rivoli scendono verso l'esterno, perché era sospeso sopra un patibolo, con il volto leggermente chinato in avanti.

Il sangue, da vivo, non invade le occhiaie e non colò lateralmente, come sarebbe avvenuto per uno che moriva disteso a terra.

Il Vangelo annota: "Era verso mezzogiorno quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.

Allora il velo del tempio si squarciò nel mezzo e Gesù gridando a gran voce disse: 'Padre, nelle tue mani consegno il mio spirito' e chinato il capo, spirò". ( Lc 23,44-46 )

Evidentemente, Gesù spirò in fase di sollevamento, non cadde in coma, ne si spense nei rantoli dell'asfissia.

L'elaborazione tridimensionale della Sindone documenta che il capo rimase leggermente inclinato in avanti, nella rigidità cadaverica.

34 - L'uomo della Sindone fu trafitto al costato da una lancia romana

Per accelerare la morte dei crocifissi, normalmente si spezzavano loro le gambe, togliendo loro ogni possibilità di respirare.

Ricorda l'Evangelista Giovanni: "Era il giorno della Parasceve e perché i corpi non rimanessero in croce durante il Sabato, era infatti un giorno solenne quel Sabato, chiesero a Pilato che fossero loro spezzate le gambe e fossero portati via.

Vennero dunque i soldati e spezzarono le gambe al primo e all'altro che era stato crocifisso con lui.

Venuti però da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati gli trafisse il costato con la lancia, e subito ne uscì sangue ed acqua". ( Gv 19,31-34 )

L'Uomo della Sindone non ebbe il normale colpo di grazia riservato ai crocifissi; ha le gambe intatte e una vistosa ferita al costato, con una abbondante colatura sanguigna e sierosa che durante la deposizione e la sepoltura ha macchiato anche la schiena, probabilmente lungo una legatura della Sindone stessa.

La causa della morte dell'Uomo della Sindone è argomento ancora dibattuto tra gli specialisti.

Il responso che potremmo definire tradizionale ascrive quella morte a un cedimento del cuore.

La relazione presentata al Congresso di Sindonologia dal Professor Ugo prendendo le mosse dalla duplice, evidente colatura provocata dalla trafittura del costato, si domanda: "Da dove proveniva quel sangue e quell'acqua? Dove si era formata una tale raccolta ematica sedimentata?

Il soggetto ha avuto, almeno 60 ore prima della morte un infarto miocardico per shock o spasmo coronarico, che rigonfia il pericardio e invade lo spazio pleurico.

Potremmo porre questo evento durante l'agonia nell'orto del Getzemani colla misteriosa sudorazione di sangue ricordata dai Vangeli? Forse.

Anche se questo costringerebbe a ritoccare la cronologia tradizionale della Settimana Santa, come del resto già impone l'esegesi più accreditata.

L'Ultima Cena sarebbe stata celebrata il mercoledì, o addirittura il martedì sera, in tal modo si spiegherebbero meglio le ingarbugliate fasi del processo religioso e di quello civile, del passaggio di competenza da Erode a Pilato e i tentativi di quest'ultimo per guadagnar tempo e salvare quello strano prigioniero.

Forse, in un ennesimo sforzo, tendente a risollevare il corpo crocifisso, così recita la relazione al Congresso, l'aumento pressorio endocardiaco e l'accelerazione del corpo crearono una possibile fisurazione miocardica.

Il paziente avverte un atroce dolore, lancia un urlo e muore.

I carnefici allora gli risparmiano il clurifragios era inutile ormai spezzargli le gambe, ma un soldato lo trafigge al costato.

La misura della ferita registrata sulla Sindone corrisponde alla forma biconvessa e alla larghezza effettiva di una lancia romana, circa 5 cm.

Il colpo al cuore era un punto d'onore della scherma romana.

Si colpiva il costato destro, perché a sinistra normalmente c'era lo scudo.

E un soldato, con un colpo tipico, frutto di un lungo allenamento, centra da destra il cuore attraverso il quinto spazio intercostale.

La lancia romana lacerò il pericardio, che il precedente infarto aveva riempito di liquido sieroso e l'orecchietta destra del cuore sempre piena di sangue nei cadaveri recenti, mentre se la lancia si fosse diretta verso sinistra avrebbe lacerato i ventricoli che nei cadaveri sono vuoti, scrive il chirurgo Pierre Barbet.

La fibrina raccolta al centro dell'abbondante colatura sanguigna del costato documenta in modo inequivocabile che il sangue fu versato dopo la morte del condannato.

L'Evangelista Giovanni vede in questi fatti un adempimento rituale: Gesù, il nuovo Agnello della nostra Pasqua, è immolato come vuole l'Esodo.

Non gli sarà spezzato alcun osso e, come ha scritto il Profeta Zaccaria, tutti gli uomini volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto. ( Zc 12,10 )

La Passione dell'Uomo della Sindone è conclusa.

Nella sepoltura le ferite si stamperanno nel lenzuolo come impressionante documento del dolore.

Quel Venerdì di Passione, il giorno più lungo della storia umana, del dolore e dell'amore, dalla Sindone continua a parlare.

È ancora la Parasceve della nostra Pasqua.

Inutilmente cerchiamo di togliere il Crocifisso dal patibolo per celebrare in pace la nostra festa.

Quella presenza che ha turbato la storia non si cancella più.

35 - Oltre la Sindone, nei fratelli crocifissi il volto di Cristo

Concludiamo con le parole che il Cardinale Michele Pellegrino, Arcivescovo di Torino, pronunciò in occasione della straordinaria Ostensione televisiva della Sindone il 25 novembre 1973.

"Presentiamoci a Cristo, morto e vivente per sempre, con tutto il peso delle nostre sofferenze, delle sofferenze dei poveri, degli oppressi, dei malati, degli emarginati, dei quali più viva si riflette l'immagine di Cristo, perché, se si può dubitare, come alcuni dubitano, che l'immagine da noi piamente venerata sia veramente l'impronta lasciata dal corpo di Cristo sul lenzuolo nuovo in cui l'avvolse Giuseppe d'Arimatea, una cosa è certa: il volto di Cristo è impresso in quello dei fratelli suoi e nostri, di quanti non hanno per troppi uomini egoisti e indifferenti né volto né voce."

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