21 Dicembre 1966
Diletti Figli e Figlie!
Questa udienza nell'imminenza del Santo Natale non Ci consente di pensare ad altro e di parlare d'altro che del grande fatto, del grande mistero dell'Incarnazione, della nascita di nostro Signor Gesù Cristo, due volte generato, come diceva un'iscrizione nell'antica Basilica di San Pietro: senza madre in cielo, senza padre in terra, cioè Figlio eterno di Dio Padre, e Figlio nel tempo di Maria, uno nella Persona divina del Verbo, che associa alla sua divinità l'umanità di Gesù l'uomo-Dio, nostro Salvatore, nostro Maestro, nostro fratello, Sacerdote sommo fra cielo e terra, centro della storia e dell'universo.
Chi avverte la realtà di questo avvenimento non può occuparsi d'altro; e quanto più esso supera la nostra capacità di comprensione tanto più attrae ed impegna la nostra avidità di contemplazione; tutto in Cristo si concentra, tutto s'illumina.
E la grande meraviglia è poi questa, che ciascuno di noi è interessato al fatto prodigioso; esso ci tocca personalmente, e non in modo accidentale e fortuito, ma in modo essenziale; il nostro destino è collegato con esso; nessuno di noi può prescindere dal rapporto che la nascita di Cristo stabilisce fra Lui e ognuno di noi.
Se non che questo non è il momento per sostare in simile meditazione, di cui Ci basta qui fare ricordo per esortarvi a cercare nella prossima celebrazione della dolcissima festa ciò che ne costituisce il punto focale, il mistero cioè della venuta di Cristo fra noi.
Tante sono le esteriorità che ornano e abbelliscono il Natale, che spesso il suo significato vero ci resta nascosto, così che ciò che abbiamo accumulato di feste, di riti, di lumi, di canti, di doni, di pranzi, di giochi intorno al Natale per farcene gustare la serena bellezza finisce talvolta per ostacolare il godimento del suo valore spirituale.
Questo fatto, sembra a Noi, ha una sua spiegazione indulgente e legittima: se il Signore, Noi pensiamo, è venuto a questo mondo, fra noi, piccolo e povero, partecipe anche Lui della nostra scena terrena, vuol dire che possiamo andare a Lui per i sentieri comuni della nostra esperienza vissuta e sensibile; la maestà e l'ineffabilità di Dio si sono velate delle nostre sembianze umane; la sua umanità ci ha tolto il timore e la fatica di cercare per vie angeliche, più alte e difficili, l'incontro con Lui.
Celebre, a questo proposito, la parola del grande dottore dell'Incarnazione, S. Leone Magno: il Figlio di Dio « invisibilis in suis, visibilis est factus in nostris », invisibile di sua natura, si è fatto visibile nella nostra ( Sermo 22, 2 - PL. 54, 195 ).
E questa è grande cosa: vuol dire che tutta la nostra espressività umana: logica, sentimentale, simbolica, artistica, popolare … può servire, se bene usata, al linguaggio religioso, senza profanarne la sacralità: è questa la giustificazione teologica dell'apparato esteriore liturgico, dell'arte, e, nel caso nostro, del decoro natalizio e specialmente del presepio.
La rappresentazione scenica del racconto evangelico sulla nascita di Gesù a Betlemme ha nel modo scelto da Dio per immettersi nel dramma umano la sua giustificazione.
Il Prefazio della Messa natatalizia ce lo insegna: « Dum visibiliter Deum cognoscimus, per hunc in invisibilium amorem rapiamur », mentre veniamo a conoscere Dio in modo visibile, siamo da Lui attratti all'amore delle cose invisibili.
E allora: se noi ci chiediamo qual è la via centrale e diritta del nostro mondo terreno, che ci porta a quell'umanità di Cristo, nella quale troviamo la rivelazione di Dio e la nostra salvezza, la risposta è pronta e bellissima: quella via è la Madonna, è Maria Santissima, è la Madre di Cristo, e perciò Madre di Dio e Madre nostra.
Questo volevamo ricordare a voi in questa attesa del Natale.
Se vogliamo entrare nello spirito del Natale, nel segreto del Natale, nel godimento del Natale, dobbiamo avvicinarci a Maria, la cristifera, la portatrice di Cristo nel mondo.
Dalla maternità virginale di Maria possiamo introdurci alla umanità di Cristo Uomo-Dio.
Questa è la migliore stagione liturgica del culto alla Madonna.
Dovremmo meditare ciò che il Concilio c'insegna sul culto che le è dovuto, e dovremmo lasciare che le nostre anime fossero invase dal fervore e dalla poesia, che tale culto suscita ed esige.
Uno dei grandi Padri greci, S. Cirillo Alessandrino, il protagonista del Concilio di Efeso ( a. 431 ), nel quale fu proclamata Maria Madre di Dio, essendo di Gesù Cristo riconosciuta la divinità, pronunciando « la più celebre predica che su Maria abbia l'antichità » ( Bardenhewer, Patrologie, 321; cfr. Grisar, Roma … I, 338, 2 ), esclama: « Salve, o Maria, Madre di Dio, tesoro venerando di tutto il mondo, lucerna che mai non si spegne, fulgida corona della verginità, tempio indistruttibile, madre e vergine ad un tempo; da Te infatti è nato Colui, del quale dice il Vangelo: benedetto quegli che viene nel nome del Signore » ( PG. 77, 1054 ).
Così dovremmo ripetere noi, traendo dai nostri cuori, ciascuno da sé e tutti insieme, la medesima lode, quale voce gentile e affettuosa per la Donna benedetta, che portò la Luce della salvezza del mondo.
È ciò che, a ricordo di questa Udienza, vi raccomandiamo, mentre a tutti impartiamo la Nostra Benedizione Apostolica.