2 Agosto 1967
Diletti Figli e Figlie!
Il nostro animo è ancora troppo pieno e commosso delle impressioni riportate dal Nostro recente viaggio a Istanbul ( la Bisanzio, anzi la Costantinopoli d'un tempo ) e poi a Efeso e a Smirne, perché Noi, ad una settimana di distanza, vi parliamo d'altro che di questo avvenimento, semplice per sé, ma che ha Noi pare molto significativo.
Non vi diciamo nulla della breve, ma intensa cronaca del Nostro itinerario; già la pubblicità giornalistica e radiotelevisiva vi ha dato amplissima illustrazione; e voi ne siete certo già informati.
Dovremmo piuttosto dire dell'accoglienza ufficiale e gentilissima, che ci è stata riservata dalle Autorità civili della Turchia, accoglienza tanto più apprezzabile per il fatto che la Nostra visita coincideva con giornate funestate dal terremoto in alcune località di quella Nazione, alla quale Noi stessi abbiamo voluto tributare l'espressione del Nostro dolore per tale calamità.
La Turchia è stata molto cortese e deferente per Noi; e Noi serberemo perciò la più grata memoria del Nostro breve soggiorno in quell'illustre Paese, pieno di bellezze naturali, di storia, di arte, ed ora di vivaci impulsi di moderno sviluppo sociale ed economico.
Ma questo aspetto del Nostro viaggio meriterebbe molte considerazioni, piene di drammatiche memorie storiche, ed ora piene invece di stima e di voti per la nuova ed a Noi cara Turchia.
Non è questa la sede per tali commenti.
L'altro tema del Nostro discorso dovrebbe riguardare il Nostro incontro col Patriarca ecumenico Atenagora; incontro da Noi voluto in anticipo su quello ch'egli ha annunciato di procurarCi con una sua prossima visita, affinché davvero non altro stimolo favorisca questo tanto desiderato avvicinamento, se non l'amore; l'amore, di cui parla San Paolo: « Caritate fraternitatis invicem diligentes, honore invicem praevenientes », vogliatevi bene scambievolmente con amore fraterno; prevenitevi gli uni gli altri nel rendervi onore ( Rm 12,10 ).
Ed è sfato incontro bellissimo; degno, sì, di memoria storica nella vita della Chiesa di Dio, se al confronto delle amare controversie del passato, dell'esitante, stagnante e diffidente psicologia reciproca che ne derivò, e delle prospettive, che tale incontro lascia intravedere per il futuro, questo incontro segna un punto nuovo e sublime, successivo e coerente a quello segnato dall'abbraccio di Gerusalemme, nelle relazioni della Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa, del quale incontro perciò Noi pensiamo il primo a godere è in cielo Cristo stesso.
Ed Egli ci assista!
Ma anche questo tema, solo a volerne dire qualche cosa, Ci porterebbe troppo lontano; e poi Noi pensiamo che in altre occasioni dovremo ancora parlarne.
Accenniamo piuttosto, in questa confidenziale conversazione con voi, ad un'altra ragione, che Ci ha indotto ad intraprendere la Nostra rapida escursione; ragione a cui già accennammo in precedenti discorsi, ma meritevole d'essere richiamata per il suo riferimento al nostro recente Concilio, dal quale è sempre preso il Nostro animo e dal quale questi Nostri familiari sermoni settimanali prendono spesso argomento.
E la ragione è questa: il desiderio di onorare la memoria dei primi celebri Concili ecumenici, i quali ebbero nel vicino Oriente le sedi che li definiscono: Nicea ( 325 ), Costantinopoli ( 381 ), Efeso ( 431 ), Calcedonia ( 451 ).
Non sono questi i soli Concili ecumenici celebrati in Oriente; ma questi quattro Concili furono e rimangono degni di particolare riverenza.
Furono essi che diedero alla Chiesa, dopo i primi secoli di vita perseguitata e quasi clandestina, la coscienza della sua compagine costituzionale e unitaria.
Furono essi che misero in evidenza e stabilirono in autorità i dogmi fondamentali della nostra fede, sulla SS.ma Trinità, su Gesù Cristo, sulla Madonna; e che perciò diedero al cristianesimo la sua dottrina basilare, impegnando il pensiero umano, come già gli Apostoli avevano fatto, a esplorare il senso, la realtà teologica, la verità rivelata dal Vangelo, e ad offrire al linguaggio religioso le prime espressioni inequivocabili e irreformabili.
È notissimo come i primi quattro Concili ecumenici ebbero anche in Occidente indiscussa e suprema autorità.
Fra le altre si suole, a questo proposito, citare le parole del Papa Gregorio Magno ( 590- 604 ), il quale, nell'epistola sinodica, da lui inviata ai Patriarchi d'Oriente, non esita ad affermare: Dichiaro di, accettare e di venerare, come i quattro libri del santo Vangelo, così i quattro concili; « sicut sancti evangelii quattuor libros, sic quattuor concilia suscipere et venerari me fateor » ( Ep. 1,25; P.L. 77,478; Hefele, 2,31-33 ).
Motivo questo sul quale il grande Pontefice ritornerà più volte con eguale sentenza.
Ciò fa vedere due cose, ai nostri giorni, meritevoli di considerazione; e cioè fa vedere come una dottrina autorevole e indiscutibile sia derivata, per opera del magistero ecclesiastico, dallo studio e dal culto della sacra Scrittura; e come le definizioni promulgate dai Concili sono rimaste e devono rimanere nel contenuto, ed anche nelle formule che lo esprimono, immutabili.
L'Oriente è maestro; c'insegna come il credente è chiamato alla speculazione della verità rivelata cioè alla formulazione d'una teologia che possiamo dire scientifica ( cf. Denz. Schön. 3135 ss. ); ma altresì è obbligato al riconoscimento del carattere soprannaturale della verità rivelata, il quale non consente di risolverla in termini di pura razionalità naturale, ed esige un testuale rispetto anche alla terminologia con cui essa è stata autorevolmente enunciata ( cf. Denz. Schön. [ 824 ] [ 442 ], 2831 [ 1658 ] ).
L'Oriente ci dà l'esempio di fedeltà al patrimonio dottrinale, e ci ricorda la norma, ch'è pur nostra, spesso oggi da Noi riaffermata nell'insorgenza dei tentativi, tante volte bene intenzionati, ma non sempre riusciti, di esprimere una nuova teologia conforme alla mentalità contemporanea; la norma del Concilio Vaticano primo, che auspica un progresso nella « intelligenza, scienza e sapienza » della dottrina della Chiesa, purché tale dottrina rimanga sempre pari a se stessa ( cf. De fide, IV; Vincenzo Lerin., Commonitorium, 28; P.L. 50, 668 ).
E all'Oriente, col Nostro viaggio; abbiamo voluto dare assicurazione che la fede nei Concili, celebrati in quella terra benedetta e riconosciuti dalla Chiesa latina come ecumenici, è tuttora la nostra fede; essa costituisce una base molto larga e molto solida per avviare gli studi intesi alla ricomposizione della perfetta comunione cristiana fra la Chiesa ortodossa e la Chiesa cattolica in quella dottrina univoca e ferma, che il magistero ecclesiastico, guidato dallo Spirito Santo, proclama autentica.
Vi esortiamo perciò, Figli carissimi, a venerare anche voi l'Oriente cristiano, a conoscere le questioni religiose e dottrinali che lo riguardano ed a pregare per la loro felice soluzione. Con la Nostra Benedizione Apostolica.