23 Agosto 1967
Diletti Figli e Figlie, La Chiesa è in un periodo di rinnovamento.
Questo rinnovamento può consistere nel dare nuove forme all'organizzazione esteriore e sociale della Chiesa, come può consistere nell'imprimere
nuova attività alle membra della Chiesa,
nuovo fervore,
nuovo movimento,
e può anche consistere nello svegliare nel Popolo di Dio, nel Clero e nei Fedeli, una coscienza nuova:
la coscienza della propria vocazione,
della propria elevazione,
della propria destinazione;
la coscienza del proprio carattere messianico,
della propria santità,
del proprio concorso alla missione profetica della Chiesa,
del proprio soprannaturale rapporto con Dio,
della propria configurazione nell'unità e nella dignità del Corpo mistico, che è la Chiesa.
Questo risveglio di coscienza nella Chiesa e della Chiesa, cioè del suo proprio essere, del mistero suo proprio, che fa degli uomini seguaci di Cristo un Popolo distinto ed eletto, è stato particolarmente studiato dal Concilio ecumenico, testé celebrato; ed è certamente nelle sue maggiori intenzioni di illustrarlo e di promuoverlo, come uno dei fattori principali del rinnovamento cristiano.
Quale risultato di questo sforzo di chiarezza interiore e di ricerca della radice rinnovatrice della vita della Chiesa è stata la migliore valutazione del carattere sacro degli appartenenti alla Chiesa stessa, la considerazione approfondita del « sacerdozio regale », di cui sono investiti tutti i cristiani.
Si è così ampiamente parlato di questo sacerdozio regale, cioè del sacerdozio comune a tutti i Fedeli.
Questa considerazione interessa, e giustamente, la curiosità delle correnti spirituali, che oggi percorrono lo studio teologico e la meditazione religiosa dei commentatori del Concilio, ed ha in sé la speranza dell'auspicato rinnovamento della coscienza e della vita della Chiesa.
Non è considerazione nuova, non è una scoperta; ma il suo ritorno nell'attenzione comune può avere grande importanza.
Non è nuova, diciamo; essa ha una storia, ha una tradizione ricchissima ( cf. Dabin, Le Sacerdoce royal des Fidèles, 2 voll. 1941 e 1950 ).
Com'è noto, la parola, che fa perno in questa dottrina, è quella della prima lettera dell'Apostolo Pietro: « Sacerdotium sanctum », « Regale sacerdotium » ( 1 Pt 2,5-9 ), con la quale l'Apostolo, scrivendo a gruppi di primi cristiani dell'Asia minore, convertiti per lo più dal paganesimo ( cf. Holzmeister, Commentarius, 155 ), intende confortarli, derisi e accusati com'erano, ricordando a quei neofiti « i privilegi dei quali furono insigniti, entrando nel Cristianesimo.
Tra questi, a due riprese, elenca la dignità sacerdotale » ( De Ambroggi, Scuola Catt. 1947, 52-57 ).
Ma S. Pietro fa proprie reminiscenze bibliche ( Es 19,6; Is 43,21, ecc.), e trasferisce in nuovo significato ciò ch'era detto d'Israele, essere questo quasi un popolo sacro dedicato al culto di Dio e rivestito di dignità regale, affermando che l'incorporazione a Cristo fa dei fedeli una stirpe eletta, un tempio spirituale, ch'è la Chiesa, formata da pietre spiritualmente vive, che sono i fedeli stessi, destinati a offrire sacrifici interiori e spirituali ( cf. Cerfaux, Regale Sacerdotium, « Revue de Sc. Phil. et Théol. » 1939, p. 25 ).
La tradizione commenterà senza fine questo nucleo di antropologia cristiana, chi esagerando nel vedere in queste espressioni di S. Pietro la definizione di un solo sacerdozio cristiano concesso a tutti i credenti, come se non esistesse altro Sacerdozio ( cf. Tertulliano, De exhort. cast. 7; P.L. 2, 922; così poi i Riformatori Protestanti ); chi invece vedendovi una prerogativa sacra comune ai laici e al clero ( cf. S. Ambrogio: « Omnes autem sumus … iustitiae sacerdotes », In Luc. 1, 8, 52; P.L. 15, 1782; « Populus ipse qui est nisi sacerdotalis? ». De Sacram. 4, 1, 3; P.L. 16, 436; ecc. ).
S. Tommaso preciserà che i fedeli tutti, i quali hanno ricevuto l'impronta di Cristo, cioè il carattere sacramentale nel battesimo e poi nella confermazione, sono in qualche misura resi partecipi del sacerdozio di Cristo ( III, 63, 3 ).
Così che, come splendidamente insegna il Concilio, « i battezzati, mediante la rigenerazione e l'unzione dello Spirito Santo, sono consacrati a formare un tempio spirituale e un sacerdozio santo, per offrire con tutte le opere del cristiano spirituali sacrifici » ( Lumen Gent. 10 ); tutta la vita cristiana diventa sacra, ed insieme idonea, com'è proprio del sacerdozio, a comunicare con Dio; anzi, dice ancora il Concilio: « Tutti i discepoli di Cristo, perseverando nella preghiera e lodando insieme Iddio, offrono se stessi come vittima viva, santa e gradevole … » a Dio medesimo; sacerdoti perciò e vittime essi stessi, come appunto fu Cristo, unico e sommo sacerdote e unica vittima efficacemente espiatoria.
Ma due sono i sacerdozi nella Chiesa di Dio, quello comune e quello ministeriale, perché, soggiunge ancora il Concilio, « il sacerdozio comune dei fedelli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, sebbene differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo.
Il sacerdozio ministeriale, con la potestà sacra di cui è investito, forma e regge il popolo sacerdotale, compie il sacrificio eucaristico in persona di Cristo e lo offre a Dio a nome di tutto il popolo; i fedeli, in virtù del regale loro sacerdozio, concorrono all'oblazione dell'Eucaristia e lo esercitano col ricevere i sacramenti, con la preghiera e il ringraziamento, con la testimonianza d'una vita santa, con l'abnegazione e con l'operosa carità » ( Lumen Gent. 10 ).
Da ciò si vede, Figli carissimi, come sia nuova e come sia essenzialmente religiosa la vita del cristiano.
Non si può avere un concetto adeguato di lui senza pensare alla sua elevazione soprannaturale, alla sua personale dignità.
Vengono alla memoria le celebri parole di San Leone Magno: « Agnosce, christiane, dignitatem tuam », renditi conto, o cristiano, della tua dignità; e si presentano allo spirito le conseguenze e le esigenze, sia morali che ecclesiali, derivanti da tale coscienza della personalità cristiana.
Dobbiamo chiedere a noi stessi se tale coscienza del carattere sacro della nostra vita, compaginata a quella di Cristo, sia davvero in noi sveglia ed operante; se essa ci aiuti a ben giudicare del bene e del male morale; e se la doverosa premura di distinguere il sacro dal profano, tanto nel campo del sapere come in quello dell'operare, ci faccia spesso dimenticare che siamo tutti rivestiti d'un carattere sacerdotale, per dissacrare la nostra mentalità, il nostro abito, la nostra attività; vi è una tendenza a far scomparire il nome di cattolico, a tutto laicizzare e desacralizzare.
Sarebbe tale tendenza conforme allo spirito del Concilio?
avrebbe essa la virtù di animare quel rinnovamento che il Concilio intende promuovere?
Fatte le debite distinzioni, a Noi non sembra.
Ed a voi, chiamati dal Concilio alla consapevolezza e all'esercizio del « sacerdozio regale » d'ogni cristiano, che cosa sembra?
Vi aiuti a ben riflettere e a ben rispondere la Nostra Benedizione Apostolica.