15 Maggio 1968
Diletti Figli e Figlie!
La presenza di tanti visitatori, tra i quali Ci piace avvertire belle e care schiere giovanili, Ci porta grande consolazione e Ci conforta a supporre che quanti qui siete abbiate compreso l'affermazione del recente Concilio, che vuole « rendere più intensa l'attività apostolica del Popolo di Dio » ( Ap. act. n. 1 ), e che attende anche dai Laici, come membri vivi del Corpo mistico di Cristo, che è la Chiesa, il contributo d'una viva e personale collaborazione sia alla missione salvifica della Chiesa ( cfr. Lumen gentium n. 33 ), sia all'instaurazione dell'ordine temporale secondo il disegno di Dio ( cfr. Ap. act. n. 5 ).
Questa affermazione non è per se stessa una novità, perché scaturisce dalla natura stessa della vocazione cristiana; ma è stata messa in tale evidenza dal Concilio, e intimata con tale autorità e ripetuta con tanta insistenza, da costituire per il cristiano cosciente una questione nuova, quella cioè dell'attività che ogni cristiano deve apportare alla vitalità e allo sviluppo della Chiesa.
Per Noi, in questo momento d'incontro spirituale ed ecclesiale, la questione si traduce in una domanda, alla quale Noi pensiamo, con paterna fiducia, che voi tutti vogliate dare risposta positiva.
Questi visitatori, Noi ci chiediamo, hanno compreso ciò che la Chiesa del secolo ventesimo chiede da loro?
Sono essi veramente i fedeli del Popolo di Dio?
Ci sono essi veramente amici?
Ci vogliono aiutare a conservare e a diffondere il senso cristiano nella vita moderna?
Qual è il loro vero atteggiamento verso la Chiesa?
Un atteggiamento passivo e inconsapevole, o attivo e cosciente?
Son essi qui per una visita puramente occasionale, ovvero per rinnovare e rinfrancare la loro fede in Cristo e la loro adesione alla Chiesa?
Sono qui come curiosi turisti, o come figli desiderosi di sperimentare qualche cosa della virtù segreta che fa di essi degli autentici seguaci di Cristo, degli attenti discepoli del Vangelo, anzi degli apostoli?
Noi crediamo che sì.
Se Noi, ad esempio, vi dicessimo più distesamente ciò che la Chiesa pensa oggi di voi, di ciascuno di voi, accettereste il suo giudizio come una definizione impegnativa?
LimitiamoCi a dire: la Chiesa vi pensa come cristiani veri, chiamati a quella forma di amore a Cristo e alla sua Chiesa, la quale si esplica nell'azione, o, come ora comunemente si dice, nell'apostolato.
Siete disposti, siete disponibili a professare questa forma di amore?
L'azione, l'apostolato?
La prospettiva dell'azione, dell'apostolato spaventa molti.
Chi mai si sente idoneo ad agire per il nome di Cristo?
Quanti si mettono sulle difese, quando si chiede loro qualche offerta, qualche loro cosa; quale resistenza farebbero, se con la Chiesa Noi ripetessimo le parole di San Paolo: « Non domando le vostre cose, domando voi stessi »? ( 2 Cor 12,14 ).
È comprensibile.
Ma fate attenzione.
È ancora San Paolo che offre la soluzione alla nostra perplessità dinanzi alla vocazione all'apostolato, cioè alla funzionalità del cristiano inserito nella comunità ecclesiale, egli c'insegna la diversità, la pluralità delle forme, mediante le quali un cristiano può cooperare al bene generale della causa di Cristo, sempre insistendo sull'immagine del corpo, in cui molte sono le membra, differenti le singole loro funzioni, unico il bene del corpo, così variamente organizzato ( 1 Cor 12,12ss ).
Il Concilio, parlando dei Laici, raccoglie questo insegnamento, e per chiarezza didattica lo semplifica affermando che due sono i campi in cui può esercitarsi il loro apostolato multiforme, un campo interno nella Chiesa e un campo esterno ( cfr. Ap. act. nn. 9-10 ).
Questa elementare divisione è molto importante, perché toglie molte esitazioni e consente l'esplicazione delle varie attitudini, secondo il temperamento e la preparazione, che ognuno può offrire alla collaborazione apostolica.
E qui, fermando ora l'attenzione sulla collaborazione apostolica all'interno della Chiesa, dovremo osservare che questo campo è aperto a tutti, mentre l'altro campo, quello esteriore, non sempre a tutti è praticamente accessibile.
Ciascuno infatti, d'ogni età e d'ogni condizione, può e deve offrire il suo contributo d'amore attivo a Cristo e alla sua Chiesa, aderendo di sua volontà ad una, o a più delle tante forme d'attività, che alimentano il fervore, la spiritualità, l'efficacia, la compagine organizzativa della comunità riunita autenticamente intorno al nome di Cristo, cioè della Chiesa.
Importante innanzi tutto è scoprire il carattere comunitario, organizzato, non solo ideale e spirituale, ma visibile, concreto, istituzionale ( come ora si dice ), della Chiesa; e dare a questa Chiesa sociale, che riflette e perpetua il mistero dell'Incarnazione, e che, umana qual è, non è senza i suoi limiti e i suoi difetti, la propria fedele e cordiale adesione.
Questo è il primo apostolato.
Chieda ciascuno a se stesso quale sia il grado di questa sua adesione: totale o parziale, sincero o ambiguo, amoroso o dispettoso, operante o inerte, stabile o intermittente, fidato o infido, eccetera.
E chieda anche se egli abbia un concetto esatto di quella primigenia espressione della comunità cristiana, che è la Parrocchia, la sua Parrocchia; e se per questo organismo ecclesiastico, prima fonte autorizzata e responsabile della Parola di Dio e della grazia di Cristo, egli, da buon fedele, faccia qualche cosa, non foss'altro con l'affezione, la frequenza, l'aiuto.
Questo è un secondo grado di apostolato, a cui nessuno è inabile, e a cui nessuno dovrebbe sottrarsi.
Se noi riuscissimo a dare alla istituzione parrocchiale la sua pienezza di preghiera e di carità, di organizzazione e di solidarietà, di coscienza ecclesiale e di esercizio benefico e pedagogico, noi avremmo già compiuto opera grande, moderna e ottima d'apostolato.
E qui si vede come tutti possono collaborare; e, cosa meravigliosa, i più piccoli sono i primi a dare alla Parrocchia il suo profondo senso apostolico: i ragazzi che frequentano le scuole di catechismo, o d'altro, che vi hanno un oratorio, - questa magnifica istituzione polivalente: pedagogica, ricreativa, religiosa, sociale -, o che s'inseriscono in apposite associazioni e rallegrano le feste della comunità, compiono opera anch'essi d'apostolato interno, di alta qualità e di grande merito.
Che diremo dei Poveri, che onorano della loro pazienza e che accettano l'umile pane del Parroco; non dànno forse alla Chiesa l'aureola apostolica della carità?
Che diremo dei Malati, che dalla Parrocchia accettano amicizia ed assistenza, dei Disoccupati, dei bisognosi in genere, che, accordando a questo centro di carità, impari certamente a rispondere a tutti in modo adeguato, la loro fiducia, fanno a loro modo l'apologia migliore della Chiesa di Cristo, Chiesa dei Poveri?
Il tema dell'apostolato interno alla Chiesa non avrebbe più fine se volessimo ricordare l'apparato organizzativo, di cui oggi dispone la comunità cattolica: dall'apostolato della preghiera all'Azione Cattolica, specialmente alle associazioni d'ogni specie, come quelle degli Esploratori Cattolici, alle biblioteche parrocchiali, alle Società di San Vincenzo, ai gruppi sportivi, e così via.
Chi dà nome, opera, obolo, preghiera e cuore a queste molteplici forme di buona e qualificata attività, compie opera d'apostolato degnissima.
Vorremmo parlarvi della Famiglia cristiana, concepita e organizzata come comunità d'amore cristiano, d'educazione umana e religiosa, di testimonianza morale e spirituale, per farne l'altissimo elogio, ch'essa ha meritato dal Concilio, proprio come focolare d'apostolato ( cfr. Apost. act. n. 11, n. 30; etc. ).
Ma qui basti l'averne fatto menzione, per illustrare con un irrecusabile argomento la semplice tesi di queste parole: tutti siamo chiamati oggi all'apostolato, voi Laici con esortazioni speciali; e tutti, almeno in qualche forma e misura nell'interno della Chiesa, lo possiamo, lo dobbiamo.
Ed a ciò vi assista la Nostra Benedizione Apostolica.