2 Aprile 1969
Diletti Figli e Figlie!
Giorni di riposo, giorni di svago, giorni di festa sono questi per voi, cari nostri visitatori, che venite a Roma durante la Settimana Santa, profittando, la maggior parte di voi, della vacanza scolastica o professionale, che l'annuale ricorrenza pasquale vi concede.
Ma se voi desiderate, come lo dimostra la vostra presenza a questa Udienza, partecipare in qualche modo allo stato d'animo della Chiesa durante la Settimana Santa, che precede la celebrazione del massimo avvenimento della storia e dei destini umani, cioè la risurrezione del Signore Gesù, voi trovate la Chiesa non in festa, ma tutta assorta in una grave e dolorosa meditazione, quella della Passione di Cristo, delle sue ineffabili sofferenze, della sua Croce, della sua morte.
Meditazione penosissima, perché obbliga il nostro pensiero a considerare in Cristo, il primogenito dell'umanità ( cfr. Rm 8,29; Col 1,15 ), i misteri più oscuri e più ripugnanti, e tuttavia realissimi, quelli del dolore, del peccato, della morte, non solo riferiti a Gesù e alla tragedia inconcepibile della fine della sua vita nell'economia temporale presente, ma a considerarli altresì riferiti a noi, a ciascuno di noi, in un rapporto così diretto e così inevitabile da riflettere, anzi da rinnovare misticamente in noi quel dramma sconfinato, fino a farcelo capire, per quanto a noi possibile, come il sacrificio per eccellenza, il sacrificio dell'Agnello di Dio, il sacrificio dell'incomparabile, oceanico amore di Cristo per noi, e insieme come la fonte beatissima della nostra fortuna, cioè della nostra Redenzione.
Figli carissimi, capiteci ( cfr. 2 Cor 7,2 ).
La Chiesa, in questa misteriosa liturgia, è presa da immensa pena.
Ricorda, ripete nei suoi riti, rivive nei suoi sentimenti la Passione di Cristo.
Essa stessa ne prende coscienza, ne soffre, ne piange.
Non disturbate il suo lutto, non distraete il suo pensiero, non irridete al suo rimorso, non crediate follia la sua angoscia.
Anche voi circondate del vostro silenzio il grido del suo dolore; compiangetela; onoratela della partecipazione al suo altissimo e spirituale cordoglio.
A questo invito, che ogni fedele sente risuonare nel suo cuore in questo momento grande ed amaro, « dies magna et amara valde » ( Resp. 3 ad 1 noct. in Sabbato Sancto ), come singhiozza con lirica emozione la liturgia, possiamo aggiungere due considerazioni.
La prima, com'è nostra abitudine in questi familiari incontri settimanali, ci riporta agli insegnamenti del Concilio.
È stato giustamente notato come dal Concilio si è diffusa nella Chiesa e nel mondo un'onda di serenità e di ottimismo; un cristianesimo confortante e positivo, potremmo dire; un cristianesimo amico della vita, degli uomini, degli stessi valori terrestri, della nostra società, della nostra storia.
Potremmo quasi vedere nel Concilio un'intenzione di rendere accettabile ed amabile il cristianesimo, un cristianesimo indulgente ed aperto, spoglio d'ogni rigorismo medievale e di ogni interpretazione pessimistica sugli uomini, sui loro costumi, sulle loro mutazioni e sulle loro esigenze.
Questo è vero.
Ma facciamo attenzione.
Il Concilio non ha dimenticato che la Croce sta al centro del cristianesimo.
Anch'esso ha avuto una rigorosa fedeltà alla parola di San Paolo: « Che non sia resa vana la Croce di Cristo »: « ut non evacuetur crux Christi » ( 1 Cor 1,17 ); anch'esso, come l'Apostolo, ha detto a se stesso: « Non giudicai di sapere qualche cosa fra voi, se non Gesù Cristo, e questo crocifisso » ( 1 Cor 2,2 ).
Potremmo ricordare come le grandi linee teologiche, mistiche ed ascetiche della associazione dei fedeli alla Passione del Signore percorrano le pagine dei documenti conciliari ( si vedano, ad esempio, quelli della grande Costituzione dogmatica sulla Chiesa, Lumen Gentium, n. 7, n. 8, n. 11, n. 34, n. 49 … ).
Basti questa citazione: « Come Cristo ha compiuto l'opera della redenzione nella povertà e nella persecuzione, così pure la Chiesa è chiamata a prendere la stessa per comunicare agli uomini i frutti della salvezza … » ( ib. n. 8 ).
E qui si presenta al nostro spirito una seconda considerazione che deriva dalla prima, cioé dal rapporto che intercede fra Cristo paziente e la sua Chiesa, fra il Capo ed il Corpo mistico, fra il Vangelo della Passione del Signore e la storia dolorosa della Chiesa.
La Passione del Signore, diciamo brevissimamente, si riverbera nella Chiesa non solo per la testimonianza ch'essa con la sua predicazione e la sua dottrina le dà; non solo per l'imitazione che l'esempio eroico e magnanimo di Cristo riflette sui cristiani e li induce a seguirlo ( cfr. Abelardo ); non solo per la comunicazione sacramentale, che applica ad ogni fedele l'assimilazione mistica alla morte e alla risurrezione del Signore ( cfr. Rm 6,3 ); ma in certo modo si rinnova, si riproduce, si ripete; e non tanto in ogni singolo seguace di Cristo ( cfr. Col 1,24: « Io vado completando - scrive San Paolo - nella mia carne ciò che manca alle sofferenze di Cristo » ), ma nella Chiesa intera, considerata quale comunità, quale complesso delle membra di Cristo, quale vita di lui prolungata nella storia; e perciò si perpetua.
Si perpetua, e dura ancora.
E in questa ricorrenza pasquale la Chiesa, più che in ogni altro momento, prende coscienza dei propri dolori, li assapora, li patisce, li accetta umilmente, e cerca di santificarli, e di estrarne il documento della sua identità a Cristo Signore e Maestro, del suo amore desideroso di fondere le proprie pene con quelle del Crocifisso ( cfr. il tema ricorrente dello Stabat Mater ), e di convértire le proprie umiliazioni e le proprie sconfitte in meriti di penitenza, di purificazione, di redenzione.
Di maggiore virtù, di maggiore coraggio, di maggiore speranza.
È così? Soffre oggi la Chiesa?
Figli, Figli carissimi!
Sì, oggi la Chiesa è alla prova di grandi sofferenze!
Ma come? Dopo il Concilio? Sì, dopo il Concilio!
Il Signore ci sperimenta.
Soffre la Chiesa, voi lo sapete, della opprimente mancanza di legittima libertà in tanti Paesi del mondo.
Soffre per l'abbandono di tanti cattolici della fedeltà, che la tradizione secolare le meriterebbe, e lo sforzo pastorale, pieno di comprensione e di amore, le dovrebbe ottenere.
Soffre soprattutto per l'insorgenza inquieta, critica, indocile e demolitrice di tanti suoi figli, i prediletti - sacerdoti, maestri, laici, dedicati al servizio e alla testimonianza di Cristo vivente nella Chiesa viva -, contro la sua intima e indispensabile comunione, contro la sua istituzionale esistenza, contro la sua norma canonica, la sua tradizione, la sua interiore coesione; contro la sua autorità, insostituibile principio di verità, di unità, di carità; contro le sue stesse esigenze di santità e di sacrificio ( cfr. Boyer, La décomposition du catholicisme, 1968 ); soffre per la defezione e per lo scandalo di certi ecclesiastici e religiosi, che crocifiggono oggi la Chiesa.
Carissimi Figli, non rifiutateci la vostra solidarietà spirituale e la vostra preghiera.
Non lasciatevi prendere dalla paura, dallo scoraggiamento, dallo scetticismo, né tanto meno dal mimetismo, che oggi, mediante la suggestione dei mezzi d'informazione sociale, fa strage fra tanti spiriti deboli e impressionabili, e alcune volte anche fra spiriti forti e giovani.
Ma soffrite ed amate con la Chiesa.
Con la Chiesa operate e sperate.
E a tanto vi conforti la nostra Benedizione Apostolica, con migliore e gioioso augurio pasquale.