9 Settembre 1970
Cercare Dio, noi diciamo, è dovere.
Dovere che rimane, anzi emerge per noi moderni, che siamo pieni, fino a sembrare sazi, di tanta scienza, di tanta cultura; e proprio per questo abbiamo maggiore bisogno e maggiore obbligo di cercare la ragione superiore e prima di tutte le cose che conosciamo, pena non capire più il senso profondo di esse, e naufragare nel dubbio e infine nella disperazione, o condannare il nostro pensiero ad un qualunquismo mediocre e convenzionale.
Rimane ed emerge questo assillante dovere, anche perché oggi è trascurato e negato, e la fame di Dio, una fame non forse riconosciuta, ma invadente a suo malgrado nello spirito umano, proteso a saziarsi di surrogati, nobili talvolta, ignobili spesso, così che « dopo il pasto ha più fame che pria » ( Dante, Inf. 1,99 ).
Cercare, cercare sempre.
Ma una domanda qui si impone spontanea: e quando trovarlo, Iddio?
lo possiamo anche trovare? Noi moderni? e come?
e se lo troviamo, che cosa succede?
siamo paghi o delusi? felici o infelici?
Ecco dunque un'altra questione, che fa parte della grande discussione religiosa di tutti i tempi, e del nostro non meno.
Lo possiamo trovare Dio, e in quale modo?
ovvero la nostra ricerca è senza fine e senza risultato?
Facciamo attenzione: la nostra ricerca dev'essere senza fine, in questa vita, pellegrinante verso il traguardo dell'incontro finale, pieno ed eterno con Dio, quando « lo vedremo come Egli è » ( 1 Gv 3,2 ), « faccia a faccia » ( 1 Cor 13,12 ).
Ma non senza risultato fin da questa vita, la quale, rispetto alla conoscenza e al possesso di Dio, si svolge nell'oscurità, come in una notte, in una vigilia, non senza stelle, non senza il lumen Christi della veglia pasquale.
Cioè noi in qualche modo, in qualche misura, possiamo trovare Dio fino da questa presente condizione della nostra esistenza.
Ricordiamolo bene: noi possiamo trovare Dio.
Noi lo abbiamo in certi dati modi già trovato.
Già trovato: come?
Qui si ripresentano le celebri parole di Pascal: « Tu non mi cercheresti se tu già non mi possedessi » ( Le mystère de Jésus, in fine ).
Cercare è già trovare, è già avere, se davvero non possiamo conoscere Dio senza di Lui, senza un suo lume, naturale o soprannaturale ( Cfr. Rm 1,11 ), interiore o esteriore che sia ( S. TH., In Ep. ad Rom. 1,6 ), Dio è già presente in colui e per colui che lo cerca.
Se comprendiamo questo, noi possiamo già navigare nell'oceano della preghiera: « Dio, Dio mio, io veglio e fino dall'alba io anelo a Te » ( Sal 62,1 ).
Ma ciò non basta.
Noi vogliamo qualche cosa di più.
Trovare che cosa significa?
Significa sapere con certezza, conoscere come conosciamo le cose di questo mondo, con evidenza, con concretezza.
Possiamo trovare Dio così?
Oh! com'è complesso il mondo della nostra conoscenza!
Noi dobbiamo essere compresi della impossibilità di trovare Dio come si trova una qualsiasi altra cosa: non sarebbe più Dio l'oggetto della nostra ricerca, se Egli fosse reperibile nella concretezza con cui noi conosciamo le cose; non sarebbe più Dio, diciamo, sarebbe una cosa: « Nessun nome si adatta convenientemente a Dio », dice S. Tommaso, secondo il nostro modo di concepire le cose esistenti ( Cfr. S. TH., Contra Cent. 1, 30 ).
Noi dobbiamo renderci conto della drammatica ambiguità dei nomi che attribuiamo a Dio: per un verso li possiamo affermare, per esempio: Dio è buono, Dio è vivo, Dio è Padre, per la bontà, la vitalità, la paternità, che Gli sono proprie; ma dobbiamo al tempo stesso negare ch'egli sia buono, vivo, padre allo stesso modo degli esseri di cui abbiamo conoscenza ordinaria, e che qualifichiamo con questi termini ( Ibid.; De Potentia, 7, 2, ad I et II ).
Questo è il punto più difficile, ma anche più fecondo del nostro itinerario alla scoperta di Dio.
Meriterebbe lungo discorso sulla conoscenza così detta analogica, cioè vera, ma non identica, che noi possiamo avere di Dio ( Cfr. S. TH., I, 13, 1); così sul modo di affermare la divina realtà negando i limiti, nei quali ogni nostro concetto si esprime ( Dio non è finito, Dio non è corporeo, Dio non è mortale, ecc.:
è la così detta via remotionis, un'affermazione cioè include la realtà da noi concepibile e ne esclude i confini in modo da noi inconcepibile );
così pure la via excellentiae, il modo di attribuire in misura sublime a Dio le realtà positive da noi conosciute: Dio è sapiente, cioè infinitamente sapiente; Dio è buono, cioè infinitamente buono, ecc. …
Per ciò quando pretendiamo di trovare Dio, ce lo vediamo quasi sfuggire nel suo cielo profondo d'infinito mistero proprio quando speravamo d'averlo raggiunto: Egli rimane assolutamente trascendente, ineffabile, misterioso.
Non sarebbe il vero Dio, quello che speriamo trovare, se così non fosse.
Noi possiamo riconoscere che Egli esiste e quali attributi convengono alla sua sovrana esistenza; non possiamo conoscere adeguatamente nulla di Lui.
E avviene così che la nostra ricerca non sarà in riposo; è una corsa che non finisce mai durante questa vita.
E allora? siamo sconfitti nella nostra ricerca? non lo troveremo mai?
No, rimane ancora molto da dire.
Vi è un altro grado di ricerca e di conquista di Dio; è più che la conoscenza razionale, è l'esperienza spirituale.
L'esperienza mistica, l'esperienza vitale.
Anche questa ha una sua scala, che parte da quei segni della presenza e dell'azione divina, che chiamiamo miracoli.
Strana cosa: di nessun fatto è così curioso il nostro mondo incredulo quanto del miracolo; soltanto lo esige vero, reale.
Ma se tale si presenta, la folla accorre.
Sono i miracoli che hanno attirato l'interesse, la fiducia e poi la fede della gente nella scena del Vangelo verso Gesù.
Un desiderio di miracolo è in fondo ad ogni anima; i critici moderni sono in guardia per contestarne la veridicità, la realtà; ma di fatto ne hanno paura, che è quasi un presagio; le persone profane ne sono invece le più avide e le più curiose; i fedeli, sì, sarebbero felici di vedere un miracolo, ma sanno che questa è una forma eccezionale e rarissima, di cui il Signore si serve per venire a nostro contatto ( Cfr. Zsolt Aradi, I miracoli, Vita e Pensiero, 1961 ).
Il Signore ci vuole normalmente condurre a sé non per via di queste esperienze meravigliose, ma sensibili, ma per altre vie, spirituali e morali, quella della fede, quella dell'amore, quella dell'esempio dei Santi da cui traspare un rapporto con Dio, quella della voce autorizzata della Chiesa.
Però dobbiamo registrare una forma, meno rara forse di quanto si potrebbe credere, un altro gradino verso il contatto mistico con Dio: è quello della grazia gelosamente custodita nell'anima; è la manifestazione interiore di Gesù, promessa a colui che veramente lo ama; Egli ha detto: « Manifesterò me stesso a lui » ( Gv 14,21 ).
È quel « lume dei cuori », che fa della fede una luce, una sicurezza; è l'ispirazione dello Spirito Santo, la guida che Dio, nell'economia della grazia, esercita sulle anime fedeli, specialmente su quelle votate al silenzio interiore, all'orazione, alla contemplazione.
Si tratta d'un dono, o d'un frutto dello Spirito ( Cfr. Gal 5,22; Ef 5,9 ), d'un carisma che effonde nel cuore un'attrattiva inconfondibile verso l'Essere Vivente e Presente di Dio.
Su questo piano dell'incontro mistico con Dio si svolge una vegetazione spirituale rara, ma molto varia e molto ricca, il cui fiore più bello e caratteristico è la conoscenza per via d'amore.
Noi decreteremo tra poco il titolo di Dottore della santa Chiesa a due Sante, Teresa d'Avila e Caterina da Siena, che hanno raggiunto, sofferto e goduto tale conoscenza mistica e ne hanno lasciato alla Chiesa e all'umanità mirabili documenti.
Così molti altri Santi; ricordate, ad esempio, la visione di Stefano ( At 7,55 ), di S. Pietro in Joppe ( At 10,11 ), di S. Paolo rapito fino al terzo cielo ( 2 Cor 12,4 ), di S. Giovanni a Patos ( Apoc., passim. ), di S. Agostino ad Ostia, ecc.
La fenomenologia della vita mistica, tanto sotto l'aspetto psicologico ( Cfr. Plotino, sec. III ), quanto sotto l'aspetto teologico ( Cfr. Dionigi, detto l'Areopagita, sec. V ), è ricchissima, e forma un ramo speciale della teologia e dell'agiografia.
Ma sembra riguardare una categoria singolare di persone religiose privilegiate.
Sì, ma ciò basta a provare che trovare Dio è possibile.
E potremmo venire ai tempi nostri e scendere in mezzo agli uomini contemporanei per avere testimonianze letterarie ( Cfr. Bernanos ), filosofiche ( Bergons, Mariain ) e vissute ( Cfr. Merton; A. Fkossard: Dieu existe, je l'ai rencontré, Fayard, 1969 ), che ce ne danno conferma.
Quanto a noi, se vogliamo davvero trovare con le nostre umili forze, ci ricorderemo della parola di Gesù all'apostolo Filippo: « Chi vede me, vede anche il Padre » ( Gv 14,9 ).
Con la Nostra Apostolica Benedizione.