10 Marzo 1971
Per noi, - che guardiamo la scena umana con estremo interesse l'interesse del Pastore, l'interesse della guida, l'interesse dell'amore -, appare sempre fenomeno di somma importanza osservare dove vanno gli uomini, dove si dirigono, dove tendono e dove arrivano.
Vediamo, nel mondo contemporaneo, che tutti corrono: cioè vediamo che l'attività umana ha assunto una accelerazione impressionante.
Fra tutti i valori umani primeggia l'azione.
Fare, fare, fare è quello che oggi importa.
Muoversi, cambiare, produrre, godere è il programma comune.
L'intensità dell'operare è il parametro per giudicare il merito di una persona, d'una società, ovvero d'uno strumento, d'un qualsiasi sistema organizzato.
L'energia ha il primo posto fra le cose desiderabili.
La potenza quindi, la velocità, la novità, la rivoluzione sono alla testa delle valutazioni correnti.
La ridda degli avvenimenti alimenta l'attenzione comune; l'opinione pubblica ambisce l'eccitazione continua, traumatica dei fatti in continua successione; la psicologia della gente è tesa verso l'avvenire immediato; la speranza di cose grandiose e impreviste riempie i sogni d'una fantascienza che lascia intravedere forme immaginarie ed iperboliche della vita di domani; ma anche l'incertezza, la paura, l'angoscia dominano gli spiriti, perché, in realtà, non si sa dove l'umanità andrà a finire minacciata com'è dagli ordigni della sua capacità distruttiva, dalla segreta disperazione, che, riflettendo, porta nel cuore.
L'uomo corre, ma come un gigante cieco.
Non sa dove va, precisamente.
L'attività è diventata fine a se stessa.
Si organizza, sì, si perfeziona, s'incanta di se stessa; ma in realtà non sa alla fine dare ragione di se stessa.
Crea una civiltà; ma poi contesta se stessa, e diventa inquieta e furiosa; vorrebbe tutto sovvertire e distruggersi.
Manca qualche cosa di essenziale.
L'azione si è francata da ogni catena; la legge esteriore è ridotta al minimo per conservare un ordine convenzionale e operativo; la libertà di agire e di operare come meglio piace è la norma preferita, perché è l'abolizione della norma estrinseca ed obbligante: è una perfezione, è una pienezza umana, è un antropocentrismo, un personalismo, che finalmente sembra giustificare tutto il raggiunto sistema operativo; la coscienza rimarrà l'unica cattedra di giudizio, l'unica responsabilità.
Ma questa parola magica e terribile di « responsabilità » rompe l'incantesimo del sistema soggettivo: perché postula l'elemento mancante, postula il dovere, postula il fine, il fine trascendente l'azione, postula la molla della libera volontà, postula il concetto e l'esistenza del Bene ( Cfr. S. TH., I-IIæ, 1, 1 ).
Che, in fin dei conti, è Dio.
Cioè: noi riscontriamo che l'attività umana, oggi così intensa, così complessa, così progredita, può generare in se stessa disfunzioni e disordini, perché difetta di qualche cosa di essenziale, che è il fine, il centro, il perché di tanto suo movimento; difetta dell'autentica nota che rende veramente umana l'azione ed è la moralità, la scienza del dovere, la scienza del Bene, la scienza del vero fine.
Dire umano e dire morale è dire la stessa cosa ( Cfr. S. TH., I-IIæ, 1, 3 ).
L'uomo moderno è enormemente progredito nella scienza dei mezzi; rimane invece incerto in quella dei fini; e siccome questa si connette essenzialmente con la religione, il processo di disintegrazione del pensiero religioso e della vita che ne deriva ha generato confusione nella coscienza e nell'attività umana.
Dio è l'asse della vita umana, della vita umana guidata dal senso morale, perché ha ragione di fine; e la causa finale, dice bene S. Tommaso, è fra tutte primaria ( Cfr. S. TH., I-IIæ, 1, 2 ).
Perciò è sommamente importante che questo asse sia determinato nel campo della nostra attività, e determinato secondo la vera rettitudine che fa buona, perfetta e felice la vita dell'uomo.
Bisogna rettificare l'orientamento della nostra vita.
È la raccomandazione, che forma il prologo della salvezza: « Raddrizzate la via del Signore » ( Gv 1,23 ).
E che torna opportuno, non solo per questa stagione liturgica che precede la Pasqua, ma per la pianificazione ideale di tutta la nostra vita operativa.
È facile renderci conto di questa rettitudine, se l'abbiamo, ovvero se la direzione della nostra esistenza è aberrante, rivolgendo a noi stessi, nel segreto del cuore, queste semplici, ma significative domande: che cosa io desidero di più nella mia vita?
Che cosa influisce di più sulle mie scelte?
Che cosa considero più importante?
Dov'è rivolto il mio amore primario?
Qual è il criterio che più influisce sulla mia coscienza?
Che cosa mi preme sopra ogni altra cosa?
il primo precetto del mio vivere?
Possiamo dire con una similitudine: quale direzione segna la bussola del mio viaggio nel tempo?
E lo possiamo ripetere con un termine biblico, che la liturgia attualizza per questa stagione: « la metanoia », cioè la rettifica della propria mentalità in ordine alla vera e indispensabile interpretazione della vita, la salvezza, dove mi indirizza?
Bisogna non lasciarsi travolgere dal turbine babelico del mondo circostante; bisogna dare a se stessi un punto di riferimento, un polo direttivo, un senso ( cioè un significato e un indirizzo ) per la vita, affinché sia veramente umana, sia cristiana.
Ed ecco Gesù, il Maestro, che ammonisce: « Amerai Dio con tutto il cuore, sopra ogni cosa; amerai il prossimo come te stesso » ( Cfr. Mt 22,37-39 ).
Questo, anche e soprattutto per il nostro tempo, è l'orientamento buono, anzi l'unico buono.
Che ciascuno lo faccia proprio!
Con la Nostra Benedizione Apostolica.