16 Giugno 1971
Noi faremo bene a rivedere continuamente il piano direttivo della nostra vita.
Diciamo noi, rivolgendo il nostro pensiero a coloro che vogliono appartenere alla sequela di Cristo e che oggi si dimostrano esigenti circa l'autenticità della propria professione cristiana.
Una serie di influssi esercita sopra di noi una forza spesso determinante: la tradizione, ad esempio, l'abitudine, il costume ereditato, la storia passata; e questo è uno degli influssi che la presente generazione sopporta meno; siamo smaniosi di novità, di originalità, d'indipendenza da quanto ci precede; i giovani specialmente, se sempre hanno tentato di affrancarsi dalla soggezione degli anziani e degli antichi, oggi sono più che mai restii, refrattari, ribelli alla tradizione, sono contestatori, vogliono una propria libertà, vogliono autodeterminarsi, anche se questo atteggiamento li porta a privarsi di preziose eredità: quelle dell'esperienza, della saggezza, e talora dello stesso progresso acquisito.
E cercano nuovi criteri e nuove forme di vita.
Ma la tradizione non è sola ad influire sulla vita stessa; vi è anche l'attualità, cioè l'ambiente, la moda, il mondo esterno.
Questo influsso è fortissimo, e tende a ridurre gli uomini ad un solo tipo, ad una statura morale comune, ad una democrazia impersonale.
I giovani si arrendono assai facilmente a questa potestà anonima del modello dominante, della maggioranza prevalente, del tipo imposto da fattori esteriori oggi operanti con estrema invadenza e con insensibile ma preponderante efficacia.
Pensate ai mezzi di comunicazione sociale: stampa, radio, televisione, cinema, teatro, letteratura ( i così detti « best-sellers » ); pensate ai fenomeni collettivi della scuola, dello sport, delle correnti sociali, della politica …
L'uomo non è più persona; è individuo, più o meno cosciente; è numero anonimo nel gregge trascinante della moltitudine.
Giustamente si apprezza in questo fenomeno quantitativo un fatto qualitativo di primario valore, e cioè la società che si compagina in modo unitario, la comunità, la umanità rivolta a caratteri universali e concordi.
Ma resta la questione per il cristiano avido di modellarsi secondo il vero, sommo ed unico archetipo dell'umanità, cioè Cristo.
Può l'uomo moderno, circondato e sopraffatto dall'organizzazione dominante ed aggressiva del mondo presente, difendere, conservare e promuovere una sua propria personalità, autenticamente fedele al modello evangelico e divino?
Ciascuno comprende come sia difficile rispondere, specialmente sul piano pratico, realistico, a simile domanda!
Altro influsso, dal quale oggi, con simultaneità che sa di mimetismo, tutti cercano di sottrarsi è l'autorità.
Una volta era considerata con immenso rispetto, anzi con gratitudine.
È ricorrente nella storia e nella prassi umana che chi comanda sia considerato un benefattore ( Cfr. Lc 22,25 ); e tale è il superiore che fa dell'esercizio dell'autorità non un motivo di prestigio egoista, ma un servizio.
Ma il fatto è che oggi, anche se resa più indispensabile d'un tempo, a causa della complessità sociale, l'autorità è considerata nemica della libertà personale e collettiva, al punto da renderne più incombente e pressante la funzione; donde si rinnova la questione circa la necessità di verificare se la nostra vita segua, rispetto all'orientamento cristiano, una linea diritta, una norma sua propria, un'interpretazione personale e fedele.
Noi ci limiteremo, per questa volta, ad affidare alla vostra riflessione una sentenza scritturale, la quale non solo è sempre valida, ma pare a Noi che ci offra un criterio fondamentale per mantenere e per perfezionare un vero carattere cristiano alla nostra vita, assediata da tanti pericoli che ne possono deformare, come dicevamo, l'autenticità cristiana.
La sentenza è di S. Paolo, e suona così: « Se noi viviamo dello Spirito, camminiamo anche secondo lo Spirito » ( Gal 5,25 ).
Non è qui che noi possiamo fornire l'esegesi d'una proposizione, nella quale si condensa grande parte della dottrina dell'Apostolo.
Diremo soltanto che essa, mentre è liberatrice dall'osservanza della legalità propria dell'Antico Testamento, trasferisce, come già Cristo fece nel Vangelo e specialmente nel discorso della montagna, nell'interno dell'uomo la radice della vita morale, diciamo pure ( salvo integrare questi termini con le debite spiegazioni relative ): nella coscienza, nella libertà della persona umana.
E dobbiamo subito domandarci: che cosa vuol dire « vivere dello Spirito »?
Qui si apre la teologia della vita cristiana, la quale non si può concepire fuori del piano di salvezza, instaurato da Cristo.
La nostra vita non è un fenomeno isolato, non è un fatto che sia fine a se stesso.
È un'esistenza, chiamata ad un destino straordinario, che la trascende e l'avvolge nello stesso tempo, al quale possiamo e dobbiamo aderire mediante un atto capitale, che si chiama la fede; e la fede ci mette nel circolo d'una vitale comunicazione divina che si chiama la grazia, e la grazia è l'azione dello Spirito Santo in noi; è una partecipazione alla vita divina ( Cfr. Lagrange, Epître aux Galates, p. 147 ).
Tutto questo suppone un magistero e un ministero: la Chiesa ce li offre, e ci rende possibile « vivere dello Spirito ».
Questo è il principio autentico della vita cristiana.
Osserviamo una cosa importantissima: la vita ha necessità di principi.
Le confusioni e le rivoluzioni, di cui soffre la nostra vita moderna, derivano principalmente da questo: che essa non ha principi veri, saldi, fecondi.
O li ha errati e mutevoli; o mitici, gratuiti e utopistici.
Posticci e arbitrari.
Ammessi per l'occasione, per comodità e necessità di azione; ma senza vera radice nella realtà.
E pur troppo la nostra età si è rassegnata a questo scetticismo di pensiero e di morale.
Non sappiamo affermare la verità, oggettiva e stabile; si gioca sulle teorie e sulle opinioni.
Non avendo più un patrimonio sicuro e valido di idee, necessario per dare alla vita la sua espressione ideale, coerente ed organica, sostituiamo sistemi provvisori di volontarismi, teorici o personali, nello sforzo di salvarci dal baratro dell'anarchia speculativa e pratica.
Occorre una filosofia vera ed umana.
Ricordiamo ancora Pascal: … travaillons à bien penser; voilà le principe de la morale: sforzarsi di pensare bene, questa è la base della vita morale ( Pensées, 186 ).
E per un cristiano, sopra il castello delle verità razionali, deve splendere la luce della fede; diciamo per ora: lo Spirito.
Donde la grande norma della vita cristiana: la logica, la coerenza, la fedeltà.
Ammesso un principio, bisogna avere la lucidità e l'energia per derivarne le conseguenze.
Il cristiano è un uomo coerente, un uomo di « carattere ».
« L'uomo giusto, dice ancora S. Paolo, vive di fede » ( Gal 3,11 ).
Non soltanto con la fede, ma di fede.
Questa coerenza qualifica la autenticità del cristiano.
Essere insigniti di questo nome senza aderire alle esigenze, ch'esso comporta, è doppiezza, è fariseismo, è forse utilitarismo e conformismo.
Se vogliamo edificare un cristianesimo sincero e forte, bisogna fare legge a se stessi di questa dirittura logica e morale: non è un arcaismo etico, non è un'intransigenza cieca sulla complessità della storia; è sequela di Cristo.
Ci aiuti Lui stesso, Cristo: con la Nostra Benedizione Apostolica.