4 Agosto 1971
Fra le idee maestre del Concilio, le quali Noi ancora andiamo cercando di individuare e di approfondire, a presidio della nostra fedeltà a questo straordinario avvenimento nella Chiesa di Dio, ed a stimolo dello stile di vita ad esso conforme, primeggia certamente quella del rinnovamento.
Dovremmo rileggere quel magnifico documento che è la Bolla pontificia, con la quale il Nostro venerato Predecessore, il Papa Giovanni XXIII, indisse ufficialmente il Concilio ( 25 dic. 1961 ); e dovremmo riascoltare il discorso d'apertura del Concilio medesimo dello stesso Pontefice ( 11 ott. 1962 ) per risentire l'afflato di speranza, che da quella voce percorse la Chiesa come un annuncio profetico; ai profani parve l'eco del carme virgiliano: magnus ab integro saeculorum nascitur ordo ( Qo 4,4 ); ai fedeli risuonò l'accento biblico: « Ecco ch'Io faccio cose nuove, ed ora verranno in luce » ( Is 43,19 ).
La novità parve la promessa caratteristica del Concilio: il risveglio spirituale, l'aggiornamento, il facile e felice ecumenismo, l'espressione nuova del cristianesimo secondo l'esigenza dei nostri tempi, la riforma della vita e delle leggi della Chiesa.
Questo senso di rinnovamento deve rimanere.
Deve anzi essere operante.
Deve essere accolto davvero come un invito e come un aiuto di Cristo, sommo e unico Capo, ora invisibile, della sua Chiesa per ringiovanirla,
per darle l'intima certezza della sua sopravvivenza dopo secoli logoranti e drammatici d'umana esistenza,
per svegliare nella Chiesa la coscienza delle energie latenti nel suo seno,
per infonderle coraggio a dimostrarsi capace di una sempre migliore conformità allo spirito del Vangelo e della sua Croce rigeneratrice,
per animarla ad osare nuove imprese promotrici della sua missione di salvezza nell'umanità, esaltata dalle sue temporali conquiste, e desolata dal vuoto interiore dei suoi insolubili dubbi, non che afflitta da antiche e nuove miserie sociali; e finalmente
per confortarla, la Chiesa, a misurarsi in una sfida paradossale d'affermazione di fede; una fede spirituale e dottrinale, intatta ed univoca, apparentemente anacronistica e incomprensibile, ma irradiante di verità ed esprimibile in sempre fresca pluralità di linguaggio, col mondo secolarizzato, gigantesco e vorticoso, dei nostri giorni.
E con la fede il messaggio di speranza, una speranza per oggi e per sempre; e con la speranza, propria della Chiesa, il dono gratuito del suo amore, comprovato dalla sua umiltà e dal suo servizio.
Un miraggio di novità, di giovinezza, di coraggio, di letizia e di pace: questo propose il Concilio alla Chiesa.
Come sapete, vi sono stati, e vi sono tuttora, due atteggiamenti davanti a questo scoppio di novità conciliare: uno di diffidenza, quasi si trattasse d'un entusiasmo effimero, anzi dannoso e contrario al compito proprio della Chiesa, che è pur quello di custodire gelosamente il tesoro della rivelazione e della tradizione, di educare i fedeli alla conformità delle sue credenze, alla stabilità delle sue leggi, alla testimonianza della sua indefettibilità.
In certi animi, fiduciosi piuttosto della consuetudine, che della novità, il Concilio ha lasciato un sedimento di disagio, tanto più inquieto e sofferente quanto invece più frettoloso e talvolta impetuoso e radicale si è dimostrato, in non pochi ambienti ecclesiastici, l'atteggiamento contrario, quello favorevole alla novità, al rinnovamento della Chiesa post-conciliare.
E questo secondo atteggiamento, quello del rinnovamento concepito nei giusti termini, e secondo « lo Spirito buono », promesso dal Padre celeste a chi debitamente lo implora ( Cfr. Lc 11,11 ), vuol essere il Nostro è certo il vostro; è quello buono, poi pensiamo, e Noi desideriamo.
Potremmo, per grazia del Signore, darne non poche e non piccole prove, che ci sembrano convincenti, per quanto riguarda la Sede Apostolica, se si pensa alla somma di provvedimenti innovatori emanati in questo periodo, specialmente se si guarda alla riforma liturgica - grande novità! - e ci sembrano queste prove consolanti e promettenti, se si considerano le nuove strutture sorte nella Chiesa, come quella del Sinodo Episcopale e quella delle Conferenze Episcopali; così se si riflette alla revisione delle Regole di tutte le Famiglie religiose, e alla promozione del Laicato cattolico nella collaborazione consultiva e operativa della vita ecclesiale, sia localmente, che negli organismi internazionali.
Siamo inoltre fiduciosi che ancora più si potrà fare per perfezionare, distribuire e accelerare la circolazione della attività del Corpo mistico, se questa operazione di rinnovamento potrà procedere con l'ordine e con il « senso della Chiesa », che a ciò si richiede.
Ma dobbiamo fare attenzione ad alcuni pericoli che la ricerca di novità può produrre, conducendo a risultati opposti a quelli sperati dal Concilio.
Parliamo a chi ama la Chiesa, e ci limitiamo ad alcune semplici osservazioni, su cui ciascuno può riflettere a lungo da sé.
Per esempio, nessuno può desiderare la novità nella Chiesa, là dove la novità significhi tradimento alla norma della fede; la fede non s'inventa, né si manipola; si riceve, si custodisce, si vive; ovvero porti offesa alla comunione che, pur nel riconoscimento dei diritti particolari, quelli della persona umana, della Chiesa locale, della Collegialità, ecc. deve concepire la Chiesa una, comunitaria e gerarchica, organica e concorde, come l'ha voluta il Signore, e come la tradizione apostolica, autentica e legittima l'ha sviluppata.
« Io sono la vite vera, ha detto Cristo Signore; voi i tralci » ( Gv 15,1-6 ); non dimentichiamo mai questa stupenda immagine evangelica, anche quando le fronde della vite hanno bisogno di potatura, cioè di rinnovamento, per togliere le sterili e per provocare nelle altre una maggiore fecondità.
La novità per la novità non sarebbe giustificata.
Specialmente se noi cediamo ad alcune tentazioni caratteristiche del tempo nostro, quella di abolire ogni riguardo alla tradizione, alla storia, alla esperienza, attraverso le quali a noi è giunto il Vangelo e ci è oggi presente la Chiesa.
Forse v'è qualcuno che vorrebbe dimenticare il patrimonio ereditato, e partire da zero per modellare a proprio talento un'impossibile Chiesa totalmente nuova ed arbitraria.
Non c'insegna nulla la passione ecumenica?
Poi. A proprio talento? se si osservano questi tentativi velleitari, sperano di fondare una Chiesa nuova, una propria chiesuola nuova, ripudiando quella esistente, vediamo facilmente ch'essi quasi sempre non sono né nuovi, né liberatori; sono flessioni alla mentalità profana del tempo, alla quale si vorrebbe assimilare la Chiesa con l'intenzione, forse buona, d'inserirla nella vita moderna, ma col risultato di privarla della sua divina, umana ed autentica originalità, e di imprimerle sul volto quei caratteri sociologici e mondani, che riferiti ad altri momenti storici abbiamo, non senza ironia, biasimato come « costantiniani », neo-ellenici, feudali, o altro, non genuinamente ecclesiali.
Così si è parlato tanto del rinnovamento delle « strutture », sognando forse un disegno costituzionale nuovo della Chiesa, svalutando i Concili precedenti, per ricadere, senza badarvi, in un giuridismo nuovo, ovvero per dare all'animazione carismatica del Popolo di Dio una funzione autonoma, o prevalente, dimenticando che essa deve essere concepita in utilità della comunione ecclesiale ( Cfr. 1 Cor 12-14 ), non in disintegrazione della sua compagine ministeriale, dove « tutte le cose devono farsi convenientemente e con ordine » ( 1 Cor 14,30 ).
Fratelli e figli carissimi, desideriamo, sì, ed operiamo per dare alla Chiesa Post-conciliare un volto nuovo! soprattutto col rinnovamento interiore ( Ef 4,23 ), di cui si è altra volta parlato.
È lo sforzo in atto, a cui tutti possiamo concorrere, amandola, la Chiesa, e dando a noi stessi per lei, con umiltà e fervore, il carisma migliore, quello della carità ( Cfr. 2 Cor 12-13 ).
Con la Nostra Apostolica Benedizione.