8 Settembre 1971
Una parola chiave per comprendere la dottrina generale del Concilio è quella che suona « escatologia ».
Parola strana all'orecchio non iniziato al linguaggio biblico e teologico, per la sua etimologia greca, che si risolve in questo significato: scienza delle cose ultime: « escatos » infatti vuole dire ultimo.
E non solo questa parola ( o più spesso il suo significato ) è ricorrente in tanti passi dei documenti conciliari, ma domina tutta la concezione della vita cristiana, della storia, del tempo, dei destini umani oltre la morte ( quelli che il catechismo e la predicazione chiamano i « novissimi », cioè: morte, giudizio, inferno, paradiso ), ma specialmente domina la concezione del disegno divino sull'umanità, sul mondo, sull'epilogo finale, glorioso ed eterno della missione di Cristo.
Questa concezione ci richiama ad una Chiesa in cammino verso un'altra vita, non stabilita definitivamente in questa terra, ma provvisoria, e tesa in un messianismo che si colloca oltre il tempo.
Questa visione dell'« al di là » è di somma importanza per ogni ordine di cose: vi è un « al di là »?
quale sarà? come lo possiamo conoscere?
quale influsso ha su l'« al di qua » la risposta a queste domande?
a vita nostra finisce qui, sulla terra, o continua in qualche maniera, e quale, in un altro mondo?
La stima dei valori umani e temporali, cioè la filosofia della vita, si capisce, dipende dall'esistenza affermata, o negata, o anche solo supposta ( Cfr. Pascal ) di una vita futura, dall'immortalità dell'anima e dalla sua responsabilità di fronte a un Dio giudicante.
Per di più, la sorte di una singola esistenza umana non è estranea al disegno generale che riguarda l'umanità; e se questa è stata pensata da Dio nella intuizione d'un fine, il raggiungimento di questo fine, cioè la fine della scena umana nel tempo, diventa per la legittima e implacabile curiosità estremamente interessante.
L'« al di là », cioè la realtà escatologica, assume dunque un triplice significato, riferito il primo alla condizione del nostro essere personale dopo la morte; riferito il secondo nel senso più proprio al regno di Dio e di Cristo dopo la sua risurrezione e dopo la « fine del mondo »; e il terzo a tutta la realtà soprannaturale.
Ecco dunque l'interesse dell'escatologia: la fine dell'uomo e del tempo che raggiunge il fine dell'umanità e della storia, prestabilito da Dio.
Vediamo come il Concilio ci presenta le cose.
Naturalmente la lampada della fede rischiara l'immenso quadro misterioso del tempo presente e dell'al di là, dove la Chiesa appare appunto come il disegno di Dio tracciato sullo sfondo dell'universo, e rivela il suo proprio essenziale carattere escatologico.
« La Chiesa, - è detto nella costituzione conciliare che la riguarda - alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale mediante la grazia di Dio acquistiamo la santità ( finalità nostra personale ), non avrà il suo compimento se non nella gloria del Cielo, quando verrà il tempo della restaurazione di tutte le cose ( Cfr. At 3,21 ) e col genere umano anche tutto il mondo, il quale è intimamente congiunto con l'uomo e per mezzo di lui raggiunge il suo fine, sarà perfettamente restaurato in Cristo » ( Cfr. Ef 1,10; Col 1,20; 2 Pt 3,10-13 ).
Dunque, vediamo quante verità veniamo subito a conoscere.
Una sapienza governa il mondo, e svolge in esso un piano provvidenziale per l'umanità.
Questo piano diventa logico e operante in Cristo, e per Lui nella Chiesa.
La Chiesa è « in fieri », in divenire, non è al suo stato completo e perfetto; è pellegrina sulla terra e nel tempo.
Esiste una vita futura.
Esiste un regno avvenire, dove la luce, la vita, la felicità saranno concesse in grado di pienezza e senza limiti di durata.
Anche le cose create supereranno lo stato presente, soggetto ad una intrinseca pressione evolutiva, per subire una metamorfosi di nuova perfezione ( Cfr. Rm 8,22 ).
Siamo nella fase intermedia dell'esistenza, cioè tra un grado iniziale e un grado superiore, escatologico.
Siamo nella fase della speranza ( Rm 8,23-25 ).
Così che sappiamo che cosa rispondere all'opinione di quelli che, interpretando gli scritti del Nuovo Testamento circa gli avvenimenti escatologici, sostengono che essi, venuto il Messia, sono già stati realizzati, e quindi non vi sarebbe altro da attendere; il cristianesimo, dicono, riguarda il presente, non il futuro.
Noi stiamo alle parole del Signore, le quali ci assicurano che, venuto Lui nel nostro mondo, già « il regno di Dio è in mezzo a noi » ( Cfr. Lc 17,21 ); già noi ora possediamo, nella Chiesa animata dallo Spirito Santo, immense ricchezze di vita nuova; ma poi, con afflato profetico che respira in tutto il Vangelo, Cristo ci ammonisce che la sua venuta storica, quale noi conosciamo dal Vangelo, non è l'ultima.
L'ultima, quella escatologica, che con altro termine, distinto per noi ora da un significato specifico, chiamiamo la « parusia » ( che vuol dire presenza, avvento, apparizione ), sarà « nel giorno del Signore » ( Cfr. Is 2,12; Is 13,6; ecc. ), quando Cristo ritornerà per « giudicare i vivi ed i morti », e per inaugurare la teofania finale, la visione beatifica dell'eternità.
Tutti certamente ricordiamo i grandi discorsi del Signore su questo tema apocalittico, nei quali le prospettive del futuro si sovrappongono misteriosamente, e sui quali dovrà indugiarsi lo studio attento e docile alla interpretazione della Chiesa.
Abbiamo la certezza circa le catastrofi escatologiche, ma non conosciamo né il quando, né precisamente il come ( Cfr. Mt 24,36-44; Ap 3,3; ecc. ).
Ci è perfino impossibile avere un'immagine adeguata, anche puramente fantastica del mondo escatologico; le profezie dell'Apocalisse si esprimono in linguaggio figurato di non facile interpretazione; anche i tentativi più veggenti e più lirici dei poeti e degli artisti restano rappresentazioni arbitrarie ed impari alla realtà ( vedi « La Divina Commedia » di Dante, i « Paradisi » di Milton; ecc. ).
Questa nube di mistero, che nasconde la visione del mondo escatologico, ha dato origine a teorie inaccettabili sul messianismo di Gesù, quasi fosse puramente escatologico e d'imminente attuazione ( Weiss, Loisy ), e ha dato pretesto a critiche molto negative circa l'interpretazione del Vangelo e circa la mentalità dei primitivi cristiani; come pure offre pretesto alla mentalità moderna di eludere la questione della sorte futura dell'uomo; dei « novissimi » pochi parlano e poco.
Il Concilio, però, ci ricorda le solenni verità escatologiche che ci riguardano, compresa quella terribile d'un possibile eterno castigo, che chiamiamo l'inferno, sul quale Cristo non usò reticenze ( Cfr. Mt 22,13; Mt 25,41 ).
Il capitolo VII della Lumen Gentium ( specialmente nel citato n. 48 ) riassume chiaramente ed energicamente la dottrina escatologica della Chiesa, dottrina che traspare in non pochi altri testi del Concilio ( Cfr. Ad gentes, 9; Gaudium et Spes, 18, n. 38; Lumen gentium, 6, n. 8, n. 35 ) e non attenua, anzi illustra il disegno divino di misericordia, di bontà e di amore della nostra salvezza, di cui tutta la dottrina del Concilio vuol essere documento.
Oggi, mentre da un lato la secolarizzazione ci fa perdere la coscienza del tremendo rischio circa la nostra sorte futura, e mentre dall'altro un facile ricorso ad atteggiamenti carismatici e profetici dà a molti l'ambizioso capogiro d'una propria sufficienza nel sentenziare sulle esigenze rigorose della vita cristiana e sugli umani destini, l'avere presente gli insegnamenti conciliari sui punti cardinali della vita, sui traguardi escatologici della nostra esistenza, quali la Parola di Dio nella Bibbia e il magistero della Chiesa nelle sue autentiche interpretazioni ci assicurano essere realtà, è sommamente provvido e doveroso ( Cfr. Sir 7,36 ), e infonde direzione e vigore al nostro passo, pellegrino nel tempo ( Cfr. Gaudium et Spes, 39; Apostolicam actuositatem, 5 ), mentre il cuore sospira la conclusione escatologica del Nuovo Testamento: « Vieni Signore Gesù! » ( Ap 22,20 ).
Così ripetiamo: « Vieni, Signore Gesù », con la Nostra Benedizione Apostolica.